"È davvero uno spettacolo!" dichiararono in molti, elettrizzati alla vista della moltitudine di fiori bianchi che costellavano lo spesso tappeto verde formato dalle loro foglie, che si snodava a perdita d'occhio tra gli alberi.
"Peccato che Alberto non sia qui." si rammaricò Porzia.
"E sì." convenne Babs, dispiaciuta. "Se non avesse dovuto incontrare degli importanti clienti stranieri, un meeting fissato già da tempo, avrebbe di sicuro prenotato. Per tenermi compagnia, mi ha suggerito di portare Rufus. Ed è stata un'ottima idea. Vero, Ciccetto?" Allungò la mano verso il setter, che balzò in alto più volte per confermare la sua felicità. "Ho comunque sperato fino a stamattina in qualche cambiamento, così sarebbe venuto. Gli avrebbe fatto piacere: è da tantissimo tempo che non visita il Parco."
"Sarebbe stato carino. Avremmo avuto un cicerone affascinante a illustrarci queste bellezze." rimarcò Elettra che aggiunse maliziosa. "Allora? A quando le nozze? State insieme ormai da più di tre anni."
"Quasi quattro, in realtà." precisò Barbara, leggermente sovrappensiero. Dopo un breve silenzio, scosse la testa. "No. A lui piacerebbe, ma io sto bene così. Il matrimonio non fa per me."
"Neanche la convivenza?"
"Cosa c'è di diverso? E per cosa poi?"
"Effettivamente. Hai proprio ragione! La libertà è impagabile."
"Anche se per un fusto come Alberto …" considerò Porzia, dubbiosa.
Le tre amiche si guardarono un istante in silenzio e poi ridendo negarono all'unisono. "Noooo."
Silvia rise anche lei tra sé e, notando che le donne avevano iniziato ad approfondire le gioie del nubilato, le lasciò cavalcare in avanti.
Atletico, folta chioma bruna artisticamente spettinata, seducenti occhi verde scuro, resi ancora più profondi dalle consistenti sopracciglia ben curate, bella bocca quasi sempre piegata in un sorriso malandrino, il trentunenne Alberto Giusti era decisamente attraente, ma a Silvia non piaceva. L'aveva conosciuto un paio d'anni prima, quando aveva studiato imprese e professionisti della provincia per la sua futura attività che l'aveva portata a fondare la Trait-d-Union. L'azienda agricola Giustino Giusti & Figli, fondata a metà dell'Ottocento, era tra le più apprezzate. Quando l'aveva incontrato, Alberto Giusti ne era alla guida da un anno, dalla scomparsa del fratello maggiore Armando, deceduto in un incidente stradale con la moglie e i due figli. Se non fosse stato per quella disgrazia, Alberto non si sarebbe mai occupato dell'attività di famiglia: non era un mistero per nessuno che non l'avesse mai amata. Dopo essersi laureato alla Bocconi in economia aziendale e management, aveva trovato la sua strada in finanza, nella quale pareva molto versato, almeno a giudicare dal livello che aveva raggiunto alla sede milanese di una prestigiosa società di investimenti statunitense. Nonostante quella scelta fosse forzata, Alberto si era impegnato con serietà e, superate le difficoltà iniziali, non sembrava gli dispiacesse più di tanto. A lei, comunque, non aveva fatto una buona impressione per il suo atteggiamento rampante e tanto sicuro di sé da risultare sfrontato. In seguito, Silvia aveva saputo che l'azienda aveva adottato metodi di coltura intensiva che, scarsa simpatia per il titolare a parte, l'avrebbe portata in ogni caso a scartare la Giustino Giusti dai fornitori selezionati.
Margherita Cognana, che guidava la comitiva, si fermò per indicare le piante di elleboro che occhieggiavano nel sottobosco. Smontarono tutti per andare ad ammirarle.
"Dovete tornare da maggio a luglio, vi farò vedere le orchidee. Le nostre gemme più preziose fioriscono in quel periodo." comunicò la botanica visibilmente orgogliosa, mentre tornavano ai cavalli.
"Venite." li invitò poco dopo. "Più avanti ci sono dei bellissimi esemplari di Erythronium Dens-canis, il Dente di Cane."
Avevano percorso qualche decina di metri quando, del tutto inaspettatamente, il setter che era stato quieto fino a quel momento, si bloccò alzando la testa attentissimo e poi corse via, con una foga tale da strappare il guinzaglio dalle mani della sua padrona.
"Rufus! Ciccio!!" lo richiamò Barbara.
Incurante dei suoi appelli, il cane continuò a correre addentrandosi nella macchia boscosa vicina. La Castiglioni smontò subito e gli andò dietro, scortata dalle amiche e da un paio di altri partecipanti. Silvia rivolse uno sguardo di scuse a Lampugnani, la cui espressione si era rabbuiata, poi seguì anche lei Barbara. Percorso un certo tratto tra le piante, intravide il gruppo che si era fermato. Uscendo dal fitto degli alberi, si trovò anche lei in una piccola radura e notò che tutti sostavano davanti a quella che sembrava l'imboccatura di una grotta, quasi del tutto mascherata dalla vegetazione.
"La conosci?" chiese Silvia a Davide, che era appena sopraggiunto, sapendo che nel Parco, soprattutto in quella zona, c’erano parecchie caverne.
"Ehm …" temporeggiò Stornazzi. Era più che evidente che ne ignorasse la presenza.
"Rufus! Vieni qui, Cicciolo!!" gridò ancora Barbara, che non aveva mai cessato di chiamare il suo cane, mentre entrava nella grotta nonostante le amiche cercassero di dissuaderla.
"Hai una pila elettrica?" si informò Silvia rivolta a Davide, che gliela porse prontamente e lei si avvicinò svelta all'ingresso.
"AAAAAHHHH! AAAAHHHH!! AIUTOOOO! AAAHHH!!"
Le urla terrorizzate che provenivano dall'interno le fecero accelerare il passo. In un attimo, Silvia fu travolta da qualcuno che proveniva in senso contrario e per poco non cadde. Nello scontro, la piccola torcia che la Castiglioni teneva in mano le sfuggì e, cadendo a terra, si spense.
"AAAAHHH!!" urlò di nuovo Barbara.
"Cosa è successo? Ti sei fatta male? Rufus?"
La donna si mise a singhiozzare. "No, no. Non io. Là … Laggiù … C'è … C'è …" Non riuscì a finire e ruppe in pianto.
Silvia le abbracciò le spalle e la condusse fuori.
"Dell'acqua. Per favore, datemi dell'acqua." domandò, mentre cercava qualcosa dove far sedere la giovane.
Qualcuno le diede una borraccia e, riuscendo a bere qualche sorso, Barbara si calmò.
"O' e' 'he 'hosa i' è 'hapitato?" si informò allarmata Giovanna, arrivata assieme a tutti gli altri.
"Cosa è successo, Silvia?" la interrogò Lampugnani.
"Non so. C'è qualcosa là dentro che l'ha spaventata a morte."
Accigliato, l'uomo estrasse la sua torcia da una delle tasche e si avviò.
"Rufus … Rufus … Silvia, per favore … Rufus." la pregò confusamente Babs.
Ben comprendendo la sua preoccupazione, annuì e seguì il caposquadra.
"No, Silvia. Può essere rischioso." la fermò Beppe, non appena la sentì dietro di sé.
"Grazie, ma credo che ci sia qualcosa di orribile, piuttosto che pericoloso."
Lui si fece più torvo, ma lei lo fissò determinata.
L'uomo bofonchiò un rapido assenso. "Stai dietro di me."
Dopo poco, le loro luci traballanti illuminarono uno slargo.
"Woof. Woof."
Lo smorzato richiamo del setter li guidò fino a una sorta di masso circolare. Il cane doveva essere dietro. Silvia pensò che forse era rimasto intrappolato e sperò che non si fosse fatto troppo male. Spostandosi lateralmente lo videro accucciato accanto a qualcosa di indistinguibile. Mentre lei verificava che il cane non fosse ferito, il caposquadra si avvicinò e illuminò una sagoma. Non sembrava che Rufus avesse niente. Era solo immobile. Nonostante le sue carezze non si era mosso. Lei puntò la sua torcia nella stessa direzione dell'uomo.
"AAAAHHH!"
"AAAHH!"
Neppure le loro grida di sgomento fecero spostare Rufus che, rivolgendo uno sguardo triste alla forma a terra, uggiolò sommessamente.