Capitolo III-1

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Capitolo III Davanti al notevole ingresso a vetri satinati chiuso, il gatto si fermò. Solitamente, rivolgeva alla sua padrona una deliziosa espressione per chiederle gentilmente di aprire, salvo quando voleva manifestare, o ribadire come in quel momento, il suo disappunto. Silvia scosse il capo e poi strisciò la sua tessera identificativa. Dopo aver digitato il suo codice sul tastierino, si udì lo scatto della serratura. Attese qualche attimo, sperando che Charlie si voltasse. Alla sua contegnosa immobilità, si rassegnò ad aprire la porta. Con tutta calma, il felino riprese il suo cammino altezzoso senza degnarla di uno sguardo. "Gli passerà." considerò tra sé, sapendo che l'attaccamento del suo micio per lei, se da un lato la lusingava, dall'altro metteva in evidenza il fatto che l'animale avesse solo lei come compagnia. Sempre seguendolo, percorse il breve vestibolo dell'area che, sviluppandosi a nord del suo attico, ospitava gli uffici. Quelli direzionali, compreso il suo, e la sala riunioni si affacciavano sul perimetro orientale e disponevano di terrazze individuali. Tutti gli altri, pur occupando la parte interna, erano dotati di verande comuni che, oltre ad abbellire i locali, erano a disposizione degli impiegati per le pause. Lungo la strada, si fermò nei vari uffici per salutare i presenti che si congratularono con lei per l'ottima riuscita dell'inaugurazione. Nessuno omise di vezzeggiare Charlie, rafforzando l'autocompiacimento del micio che avrebbe di sicuro protratto il suo risentimento. La sosta da Clarisse Lancy, Prefetta del Circolo, e Wilhelm Metz, il Tesoriere, fu più prolungata. La quarantacinquenne, dai corti capelli sale e pepe, non aveva ancora risolto i suoi problemi famigliari ma, consapevole di essere sulla buona strada, era piuttosto serena. Il merito era anche della fiducia che avevano in lei i colleghi, l'amministratore per primo. Silvia aveva cambiato opinione sul conto di Metz. In quegli ultimi mesi, aveva scoperto che l’individuo pateticamente ossequioso che aveva conosciuto a fine novembre, non solo era un uomo buono e generoso, ma anche pieno di interessi e brillante. Non si era quindi sorpresa nell'apprendere che lui avesse da tempo una relazione, felice e molto discreta, con Giulia Lironi, la dottoressa conosciuta in occasione del suo incidente e che, successivamente, grazie a Wilhelm aveva avuto modo di frequentare e apprezzare. Ambedue entusiasti, la Lancy e Metz le rinnovarono i loro calorosi complimenti e le fecero gli auguri per ciò che l'attendeva di lì a poco. Rincuorata, seppure ancora ansiosa, Silvia entrò finalmente nel suo ufficio. Ampio e inondato dalla luce di un'intera parete a vetri, schermati da pannelli di candida mussola, era arredato con mobili neri di design, come la notevole scrivania in cristallo dalle morbide linee. La cromaticità era affidata a un tappeto moderno dalle vivaci nuance, che si estendeva per buona parte del pavimento di marmo di Carrara, e diversi grandi dipinti contemporanei che risaltavano sulle bianche pareti di stucco veneziano. Si bloccò sulla soglia, rimanendo a bocca aperta per il tripudio di colori offerto dalla quantità impressionante di fiori di ogni tipo che, esaurite le superfici del mobilio, popolavano parecchi angoli del pavimento. "Oh, signorina! Buongiorno!" sentì una voce argentina salutarla alle sue spalle che, mentre lei si voltava, proseguì. "Spero che vada bene come li ho sistemati. Erano così tanti, che ho dovuto per forza metterli anche a terra." Silvia lasciò scorrere lo sguardo su ogni omaggio floreale e quindi approvò con un sorriso. "È perfetto, Liz." Visibilmente sollevata, la ragazza sorrise a sua volta. Minuta, occhi e capelli scuri, lisci e lunghi fino al collo con frangia laterale, Elisabetta – che preferiva farsi chiamare Liz – era assistente di Silvia da metà febbraio. All'inizio dell'anno era emersa la necessità di incrementare l'organico per ogni attività del Circolo, escluso l'Artemis di esclusiva responsabilità di Carlotta. La prima selezione era fatta da Giovanna Ortelli per il maneggio, Debora Baldissera per l'Equester e la Lancy per il Diana, ma poi l'ultima parola spettava a Silvia. Un compito in più, oltre a seguire i lavori di ampliamento e ristrutturazione e, cosa più importante, ai molteplici incontri per organizzare il futuro del club. Il suo incarico era senza dubbio stimolante, ma anche molto oneroso. Avendo anche deciso di proseguire l'attività della Trait-d-Union, non era stato difficile per Metz convincerla che sarebbe stato un bene non solo per lei, ma anche per il successo del Circolo, pensare a un aiuto. Nell'ultima rosa di candidati – tre ragazze e tre giovanotti, tutti laureati in studi umanistici – Silvia aveva scelto Elisabetta Rezzonico. Laureata a pieni voti alla Facoltà di Scienze dei Beni Culturali dell'Università degli Studi di Milano, dopo molti tentativi Liz aveva abbandonato l'idea di potersi davvero occupare della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale del proprio Paese, tanto prezioso e immenso, quanto negletto. Una ricchezza inestimabile, che comprendeva ogni tipo di bellezza naturale e artistica, invidiata da tutto il mondo. I massicci e progressivi tagli a investimenti già risibili avevano portato l'Italia a essere l'ultimo Paese europeo per la spesa in cultura e istruzione. Un ben triste primato. Peggio. Più che dissennata e fallimentare, era una politica criminale che oltre a depauperare il patrimonio comune, distruggeva centinaia di migliaia di posti di lavoro e privava lo Stato, quindi i cittadini, di un gettito di molte decine di miliardi, con una notevole perdita nell’immediato e un danno futuro incalcolabile. Dopo non aver trovato impiego neppure come ultima addetta di museo o biblioteca, Liz si era rassegnata a fare l'animatrice turistica e, se fosse stata fortunata, magari la guida. Sempre vissuta con la famiglia a Varese, dove era nata ventiquattro anni prima, aveva mandato il suo curriculum al Diana non appena aveva letto sulla Provincia che il Circolo cercava personale, augurandosi di avere almeno un colloquio. A Silvia era piaciuta già al primo incontro. Più che per la sua formazione, che era comunque ideale, per il suo carattere e modo di porsi. Garbata, precisa e ordinata, ne aveva intuito disponibilità, discrezione e affidabilità. Fin dall'inizio, Elisabetta le aveva chiesto la cortesia di chiamarla Liz e, se possibile, darle del tu. Lei aveva acconsentito, purché non si rivolgesse a lei col titolo di dottoressa, precisando che al Diana si chiamavano così solo i medici e che le qualifiche professionali delle donne erano tutte declinate al femminile, notizia che Liz aveva salutato come un regalo personale. Giorno dopo giorno, avevano imparato a conoscersi, apprezzandosi a vicenda. Nonostante il breve tempo trascorso, Elisabetta aveva maturato una sincera devozione nei confronti di Silvia che, sapendo di poter ampiamente contare su di lei, sentiva il suo compito meno gravoso. "Hai visto chi li ha mandati?" si informò, avvicinandosi a un mazzo di calle. "Oh no, signorina." si scandalizzò l'assistente. "Ti ringrazio per il tuo tatto. Ora, però, aiutami. Tra poco devo andare e vorrei sapere subito chi ringraziare." Non senza qualche timore, Liz eseguì, consegnandole man mano i cartoncini dopo averglieli letti. Al termine, Silvia le restituì un pacchettino di biglietti, conservandone per sé altrettanti, che mise sulla scrivania. "Per questi, puoi preparare i ringraziamenti che poi firmerò. A questi, invece, penserò personalmente." Quelli che le aveva affidato erano della maggioranza delle personalità che erano intervenute all'inaugurazione, mentre quelli che aveva trattenuto erano dei Consiglieri e soci di capitale, della sua Squadra e degli amici, incluso Stefano che le aveva regalato i fiori che amava di più: gli iris. "Sono le dieci." annunciò, lanciando un'occhiata a Charlie, che si era accoccolato nella sua cuccia vicino alla vetrata. Il gatto non fece una piega e lei si avviò all'uscita. Rivolse uno sguardo inquieto alla sua assistente che la rassicurò. "Non si preoccupi, signorina, andrà tutto benissimo." La ringraziò con un sorriso. Prima che si allontanasse, Liz aggiunse con genuina passione. "Lei è troppo brava." Quelle parole l'accompagnarono fino a destinazione. "Oooh la mi' Silviuccia! O' te tu vien qua, che ti si abbrascia." Mentre le braccia vigorose della Ortelli la stringevano, Silvia pensò che Giovanna era proprio una forza della natura. Senza il suo fattivo contributo, la nuova area equestre non sarebbe stata terminata in tempo e alla perfezione. La riorganizzazione era stata radicale. Della precedente struttura era rimasta solo la club house: un vasto edificio a un piano, articolato in diversi corpi con tetti di tegole rosse e muri imbiancati, le cui vetrate all'inglese si affacciavano sullo spiazzo antistante piantumato, che col bel tempo alloggiava tavolini, sedie e divanetti. Il complesso ospitava l'Equester – il negozio diretto dalla bravissima Debora Baldissera che l'aveva portato da semplice emporio a un grande esercizio dalla ricca gamma di articoli di ottima qualità – e l'area di ristoro. All'accogliente bar era stato aggiunto un ristorantino dove poter consumare pasti veloci, ai quali provvedeva la cucina dell'Artemis. Lo spazio dedicato all'equitazione era stato quadruplicato per accogliere gli innumerevoli nuovi soci, molti dei quali con cavalli propri, oltre agli iscritti in costante crescita della Scuola. Le scuderie, per i cavalli del Circolo e dei clienti, e tutte le altre costruzioni – adatte alla nidificazione di rondini e altri insettivori – erano situate a una certa distanza dalla club house, ma facilmente raggiungibili con le car elettriche, a disposizione in abbondanza, o tramite i sottopassaggi che collegavano tutti i corpi, inclusi deposito per equipaggiamenti, attrezzeria, spogliatoi, docce e uffici riservati al personale. Inoltre, per consentire ai soci di accedere direttamente all'area del maneggio dalla strada provinciale, l'accesso laterale era stato ampliato e dotato di un grande parcheggio sotterraneo. "È tutto a posto?" si accertò Silvia, sciogliendosi dall'abbraccio. Il sorriso, che sempre illuminava il viso asciutto e costantemente abbronzato di Giovanna, si fece più radioso. "A puntino." "È già arrivato qualcuno?" "Parecchi." rispose Terry, entrando nell'ufficio della madre. Bionda, dal fisico tonico, era identica a Giovanna con venticinque anni in meno e condivideva con lei l'amore per gli animali. A differenza della madre, però, era più indulgente nei confronti degli esseri umani e, con l'aumento dei corsi, Giovanna le aveva delegato i rapporti con gli iscritti. "Fosca Bisbino, Brenda Sanvito, Oreste Torriani, Lorenzo Ceresol e Jacopo Figini stanno preparando i loro cavalli. Prima di venire qui, la guardia dell'Ingresso Ovest mi ha avvisata che Edoardo Gallotti e Fabio Vergiò stavano entrando." Dlin-dlon. Dlin-dlon. Dlin-dlon. "Sì." rispose Terry al cellulare. "Grazie." Chiuse la comunicazione e lo rimise in una delle tante tasche del giubbotto. "Stanno arrivando Paola Marani e Domenico Brioni. Manca solo lei. Speriamo non tardi … Come suo solito." concluse la venticinquenne con una smorfia significativa. Giovanna grugnì e Silvia sospirò. Lei era Barbara Castiglioni, Babs per gli amici. Croce e delizia del Diana. Ventisettenne unica rampolla di una delle più facoltose famiglie del varesotto, Barbara aveva messo piede per la prima volta al Circolo la notte di Capodanno. Ne era rimasta tanto entusiasta che aveva voluto associarsi al club quella sera stessa e, malgrado il maneggio non fosse ancora attrezzato per ospitare a dovere cavalli di terzi, alcune settimane dopo aveva trasferito lì Phoenix, il suo magnifico purosangue inglese. In pochissimo tempo era diventata una habitué delle Grazie e dell'Artemis, senza mai badare a spese e prodiga di mance principesche. Non solo era una cliente d'oro, ma ne aveva portati numerosi altri altrettanto munifici. La Castiglioni rappresentava quindi una generosa fonte di cospicui ricavi per il Diana. Questa era la delizia. La croce era invece la sua inaffidabilità. Per lei, gli orari erano a dir poco indicativi, così come il resto. Non era mai capitato, infatti, che riservasse un tavolo per un certo numero di persone e arrivasse solo con quelle; a volte erano più del doppio, altre meno della metà. Lo stesso per i trattamenti estetici. Prenotava, per esempio, una rapida ceretta e poi voleva il Sharira Abhyanga a quattro mani che durava non meno di due ore. Non c'era stata, inoltre, una sola volta in cui fosse arrivata puntuale alle lezioni di equitazione. Era una brava cavallerizza ma, volendo imparare il metodo Tellington TTouch insegnato al Circolo, si era iscritta al corso base. L'aspetto principale, tuttavia, era che non si poteva dirle di no. Non tanto per motivi venali e, di sicuro, non per timore di possibili effetti negativi – dato il tipo, non ci sarebbero mai stati – quanto per la sua irresistibile e sempre gentile perseveranza. Alla fine si era guadagnata le simpatie di tutti, anche di Silvia, per cui le si perdonava quel comportamento che non era affatto dovuto al capriccio o, peggio, alla mancanza di rispetto, tutt'altro, quanto perché lei stessa era incapace di negare una cortesia per la sua innata generosità. Era, comunque, indubbio che fosse sempre un po' sopra le righe. Di temperamento espansivo, era esuberante anche nell'abbigliamento per la sovrabbondanza di tonalità accese, in particolare della gamma arancio e rosso, tinte che Silvia amava meno e giudicava poco consone all’appariscente chioma tizianesca della Castiglioni, esaltata dalla perfetta carnagione di porcellana dove spiccavano due notevoli occhi nocciola e una bella bocca sempre incline al sorriso.
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