Il Praesidens fece una pausa; i suoi occhi sembrarono vagare in dispiaceri remoti. “Spesso ... troppo spesso, abbiamo affrontato guerre contro popoli creduti nemici.” L’anziano docente sospirò. “La guerra più sanguinosa, tuttavia, non fu niente in confronto al Dominio del Despota.”
La sua bocca prese una piega amara e gli occhi si velarono. “Bill Halyster era uno studente brillante, particolarmente dotato. Fece una rapida carriera nel Dicastro, diventando il più giovane Chancellor, il Primo Sovraintendente, braccio destro del Senechal. Possedeva un fascino fuori dal comune, un’intelligenza acutissima e ... poteri eccezionali.”
Yolhair tacque per qualche istante, assorto in lontani ricordi. “Le sue geniali intuizioni gli conquistarono in breve fama e consenso. Le sue proposte, anche quelle più temerarie, si rivelarono così efficaci da permettere alla nostra comunità, non solo di superare velocemente la crisi in cui versava da tempo, ma di rafforzarsi sotto tutti i profili.”
Lui colse l’enfasi del Mentor Maximus e si accertò, perplesso. “Mi scusi Magis ... ehm Professore, ma da quanto ha detto finora mi sembra che questo Bill come-si-chiama fosse una persona di grande valore, che ha fatto cose molto positive per ... voi. Eppure ... ho come l’impressione che non sia così.”
Il Magister gli rivolse uno sguardo compiaciuto. “Ciò, che più di tutto, rendeva Bill Halyster speciale, era il modo in cui riusciva a soggiogare le persone, anche i caratteri più forti, le menti più lucide, le personalità più marcate, le volontà più determinate. Il suo segreto era tanto semplice, quanto straordinario. Fin da piccolo, Bill riusciva a capire, o meglio carpire, le pulsioni e i desideri più intimi di chiunque. E riusciva a servirsene, sempre, a suo esclusivo vantaggio, senza che nessuno se ne rendesse mai conto. Così, in breve, assurse al potere. La sua elezione, a larghissima maggioranza, a Senechal venne considerata un evento epocale. Tutti ... quasi tutti ... lo salutarono come il novello Garulf Adamas, uno tra i più grandi e illuminati sovrani di tutti i tempi. Venne osannato a ogni livello come un salvatore. Furono davvero pochi a non partecipare alla gioia collettiva. Solo uno sparuto gruppo di spiriti liberi, mai convinto della sua buonafede, non cedette alle sue lusinghe e cercò con pazienza e tenacia di ... di illuminare ...” La sua voce tremò impercettibilmente. “... le menti.”
Il suo sguardo si incupì. “Al principio, si trattò solo di velati consigli, quindi di marcate esortazioni, poi di raccomandazioni che avevano già il sapore di minaccia e infine il libero pensiero venne ufficialmente bandito. Chi non si schierava apertamente con l’Ordine veniva persuaso con ogni mezzo e, se non capitolava, veniva annientato ... In modo più o meno esemplare.”
Comprese immediatamente cosa intendesse e iniziò a respirare più a fondo e adagio, come sempre gli accadeva quando apprendeva le atrocità di cui erano capaci gli esseri umani.
“Nel giro di qualche anno, al timore e sospetto si sostituirono paura e persecuzione. Halyster si autoproclamò Despota e prese il nome di Belyal. Il Dicastro venne sciolto, il Gotha Supremo dei Decani ridotto a un farsa di succubi. Da allora, regnò il terrore per chiunque non appoggiasse incondizionatamente il Despota e le sue OrdeNere. Coloro che per salvarsi si rifugiarono all’estero vennero bollati di infamia. Non p**o di aver schiacciato la sua gente, nella sua smania di potere, Halyster mosse guerra contro le altre Circoscrizioni che, una dopo l’altra, furono costrette a piegarsi. La stragrande maggioranza dei Lumen di questa Terra si arrese. Si verificarono anche opportune alleanze da parte di governi locali, che credevano di avere più da guadagnare stando col Despota piuttosto che combatterlo, anche a prezzo di moltissime perdite tra i loro compatrioti, senza contare la privazione più grande di tutte: la libertà. Le Jene, il corpo militare privato di Halyster, non davano mai tregua, arrivando sempre dappertutto e dando una caccia spietata a tutti i dissidenti. Chiunque, anche chi fino al giorno prima poteva considerarsi sincero e affidabile, poteva trasformarsi nel peggior nemico. Non si contano le persone, che furono costrette a tradire pur di salvare i propri cari, e anche sé stesse, da una fine orribile, condannando così a morte certa, e atroce, i difensori della libertà che divennero sempre meno, cadendo uno dopo l’altro ... E anche le loro famiglie, nonostante le estreme cautele adottate.”
Il Magister fece una pausa e lui lesse nei suoi occhi un profondo dolore, mai sanato.
“Ma come poté accadere?”
“Innumerevoli furono irretiti dalla sua personalità. Moltissimi invece bramavano il potere e si allearono con lui per arrivarci. Altri, spinti da un’insaziabile cupidigia, lo fecero solo per accumulare ricchezze. Troppi furono vittime della loro stessa paura e si piegarono solo per sopravvivere. E parecchi approfittarono dell’occasione come scusa per dare sfogo alla violenza che, animata da istinti primitivi e spinta da pulsioni primordiali, esprime il peggio di ogni creatura.”
Il suo viso si rabbuiò. “A volte penso che gli uomini non riusciranno mai a guarire dalla ferocia distruttrice che li avvelena. Quando non ci sono motivi seri, e solo a volte legittimi, per combattere, cercano sempre le scuse più varie per muovere guerra contro chiunque ovunque ... O usare violenza, anche per i più futili motivi. Pure attività che dovrebbero essere quanto di più positivo e salutare, come lo sport ad esempio, diventano il pretesto per manifestare la più assurda aggressività.”
Ares lo guardò perplesso.
“Scusa, stavo divagando.” osservò l’uomo, passandosi le dita sulla fronte. “Sai, Ares, nel cuore di ognuno di noi vivono ombra e oscurità, che ci mettono pochissimo ad affiorare dal profondo. Mostruosi inganni sono sempre in agguato, ma esiste anche la Luce ed è da sempre la più forte, ma occorre coraggio, molto coraggio, per coltivarla. Purtroppo, sempre più grande è lo sbilanciamento. Il mondo ha bisogno di un ponte per ritrovare l’Equilibrio tra le Forze della Vita.”
Totalmente disorientato, trattenne il fiato. “Mi può dire come ... perché ... sono morti?” Sentì una voce tremante indagare, senza rendersi conto che era la sua.
Yolhair lo fissò negli occhi che volevano sapere la verità, ma anche la temevano, e quindi rivelò adagio. “Sono caduti ... per annientarlo.”
“Ci ... ci sono riusciti?”
“In un certo senso ...”
“E non si sono ... preoccupati di me?”
“È stato proprio per te ... che l’hanno fatto.”
Lo guardò turbato.
“Entrambi i tuoi genitori erano Defensores, Bastioni contro le Tenebre. Tuo padre era un Bellator e tua madre un Vessillo di Luce. Sono stati per tutti il più fulgido esempio di coraggio e amore. Volevano che tu vivessi in un mondo libero.”
Espirò a lungo, sforzandosi di controllare le emozioni che gli ribollivano dentro. Rabbia, dolore, ammirazione, rimpianto, orgoglio. Avrebbe voluto urlare e piangere e invece chiese piano, con voce rotta. “Co-come si chiam… chiamavano?”
“Ensis Fulgens, tuo padre e Ra-et, tua madre.”
“Che nomi strani...” mormorò, stringendo gli occhi.
“Erano i nomi di battaglia che avevano scelto quando hanno iniziato a militare nella Resistenza.”
“Ah! ... Ma quelli veri?”
Il Magister rimase in silenzio, mentre lo guardava con espressione impenetrabile.
“Come si chiamavano ... per davvero, nella realtà?” precisò, pensando di non essere stato chiaro.
L’anziano docente si alzò e andò vicino alla grande vetrata. La luce del sole, diventata più forte col passare delle ore, filtrava attraverso i disegni dei vetri a piombo, gettando lampi multicolori sul pavimento e in tutto il salone.
Dopo qualche minuto, l’uomo si voltò verso di lui, dichiarando serio. “Non è possibile.”
Ares sgranò gli occhi e, credendo di non aver capito bene, ripeté scandendo le parole. “I nomi veri dei miei genitori, per favore.”
Con una sfumatura di afflizione nella voce, Yolhair ribadì. “Non posso. Credimi, comprendo il tuo desiderio e lo condivido. Tuttavia, se non ti dico come si chiamavano, è solo per proteggerti. Potrò rivelarteli quando sarai maturo.”
“Maturo?! Maturo per cosa?” inquisì seccato.
“Lo saprai a tempo debito. Per ora ti basti sapere che sei qui per un motivo.”
“Ecco sì! Parliamo di questo. Perché sono qui?”
“Sei qui per risvegliare la tua coscienza, per allargarne il campo d’azione, per acquisire, o meglio diventare consapevole, delle tue facoltà. Come direbbe un grande Lumen, per risvegliare la zona silente del tuo intelletto, che non è solo il tuo cervello.”
Lo guardò sconcertato. “Perché io?” indagò lentamente in tono più basso, temendo di sapere.
“Tu hai capacità innate notevoli.” dichiarò con serenità il Magister.
Aspettò che aggiungesse qualche parola chiarificatrice, ma l’uomo continuò a fissarlo in silenzio. “Vuol dire che imparo in fretta, vero?” si accertò dubbioso, sperando di ricevere una conferma che fugasse i suoi timori, ma il Mentor Maximus gli lanciò un’occhiata scettica, come a invitarlo a palesare ciò che sapeva benissimo.
Ares non voleva arrendersi davanti all’evidente conclusione logica: il Praesidens si riferiva alle sue stranezze. Rimase in silenzio augurandosi di essere presto smentito.
“Ti sei mai chiesto …”
Tremò: le sue ansie si stavano concretizzando.
“perché riuscissi a fare certe ... cose?”
Deglutì, strinse le labbra e iniziò a respirare adagio. Nella sua mente si affastellavano spiacevoli ricordi di volti sgomenti, espressioni sconvolte e ... paura. La paura di tutti coloro che lo rimandavano alle Esperidi. E il faccione addolorato di Tricheco.
“Tu hai particolari doti ...”
“Ah, sì! Belle doti! Belle doti, davvero!” esclamò, rivolgendogli uno sguardo incollerito
Il Praesidens sembrò non fare caso al suo sfogo e citò con noncuranza, come a voler liquidare una seccatura. “Qualche vetro rotto, un paio di oggetti di dubbio gusto in frantumi ...”
“Già. E orologi che impazzivano, mobili che si spostavano da soli, cose che cambiavano forma ...”
Il Mentor Maximus fece un gesto di sufficienza.
“Le piante dei giardini che cambiavano di posto, i cani e gatti di casa che mutavano colore.” aggiunse lui torvo, suscitando un rapido sbuffo.
”Ragazzate.”
“Ragazzate?!” ripeté con veemenza, sbarrando gli occhi incredulo. “E lei, la totale distruzione di sei archi costosissimi, la scomparsa di otto cavalli di razza e una gamba rotta le chiama ragazzate?!”
Yolhair emise un lungo espiro, dando l’impressione di essere lievemente annoiato da una faccenda di poco conto. Aprì la bocca, richiudendola subito come se avesse cambiato idea. Dopo qualche istante, rivelò in tono serio. “Non ne hai colpa.”
“COSA?!” gridò lui con un misto di rabbia e sollievo, alzandosi di scatto e facendo scivolare di parecchio indietro la sua poltroncina.
“Non ne hai colpa.” ribadì il Magister, rivolgendogli un’espressione affettuosa.
Ares si lasciò cadere sulla sedia, senza neanche accertarsi se fosse al posto giusto. Per sua fortuna, la poltroncina si spostò in tempo per accoglierlo.
“Per quelle vicende, non sei … responsabile.” spiegò l’uomo, vedendolo attonito.
“Lei ... Lei mi vuole dire che io ... Io non c’entro niente con quelle disgrazie?” si assicurò con voce incerta.
Il Praesidens fece un breve cenno di assenso, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Ma allora, se non sono stato io ... chi è stato?” si informò, corrucciando la fronte. “E perché?” aggiunse, senza aspettare risposta.
Poi si alzò di nuovo d’impeto, fece qualche passo nervoso verso la vetrata, con i pugni in tasca. Quindi, tornando sui suoi passi, osservò sbigottito, stendendo le braccia avanti. “Ma lei ... Lei ha idea di quanti, dopo avermi preso in affido, mi hanno riportato alle Esperidi?! Si rende conto che ho perso non una, ma ben due volte la seria possibilità di avere una famiglia?! E lo sa, che tutti pensano che sia un mezzo delinquente?!”
Il Magister restò impassibile e lui riprese a camminare su e giù.