“Sì, piace molto anche a me ... l’estate.”
La calda voce maschile lo richiamò alla buona creanza.
Si voltò verso il suo interlocutore e, dopo essersi schiarito la voce, mormorò qualche parola di scuse. L’anziano alzò una mano, con un’espressione rassicurante. Doveva essere sulla settantina, a giudicare dai capelli candidi che, sfilati, ricadevano spioventi sulle spalle, con ciocche laterali raccolte in una mezza coda alta. L’attaccatura, a punta arrotondata, era alquanto arretrata e rendeva ancora più alta la fronte, solcata da qualche ruga. Altre più sottili marcavano i lati della bocca, per il resto la pelle del chiaro volto rettangolare era morbida e liscia. Sopracciglia folte e appena brizzolate sovrastavano penetranti occhi azzurro intenso, che lo stavano fissando da sopra un paio di leggeri occhiali dalla montatura dorata, che poggiavano su un naso forte.
“Bene Ares, cosa preferisci sapere per primo: dove sei o perché?”
Sapeva perché era lì.
“Dove.” optò laconico, temendo il peggio e, al contempo illogicamente, con l’animo speranzoso per la bellezza del luogo.
“Questa è la Domus Horarum. E io sono il Praesidens, il Mentor Maximus, ossia il Magister che la dirige e mi chiamo Danaus Cormac Fergus Diarmait Eusebius Aldous Aylwyn Ambrose Aurelius Arthur Tadeus Eginard Erasmus Eleutère Manandann Yolhair. Il mio nome breve è Danaus Yolhair. Tu, come gli altri studenti, mi puoi chiamare Praesidens o Magister oppure Professore, o anche Signore, come preferisci.” concluse con un’ombra di ovvietà nella voce.
“Studenti?” ripeté lui, alzando un sopracciglio.
“Esatto.” confermò l’uomo, alzandosi in piedi e andando verso la portafinestra che era proprio al centro della stanza.
Era piuttosto alto e longilineo, o forse era solo la toga lunga fino a terra che indossava sopra pantaloni attillati e giacca alla coreana.
“La Domus Horarum, la Scuola delle Stagioni, è un istituto educativo ... speciale.” proseguì guardando fuori e poi, voltandosi verso di lui, precisò. “Non del tipo che credi tu.”
Il Praesidens lo fissò negli occhi per un lungo istante, prima di spiegare. “In questo Lyceum si apprendono le basi dell’Antica Sapienza.”
Sbarrò gli occhi, pensando di non aver capito bene, ma dall’espressione del Magister capì che non c’erano sbagli. Yolhair tornò alla scrivania, aprì un cassetto, ne trasse un rotolino di carta spessa e lo porse ad Ares, che stese lentamente il braccio. Prese incerto il sottile rotolo ingiallito, osservando poi la grande goccia di ceralacca rosso scuro che lo chiudeva e sulla quale era impressa una immagine poco chiara. Strinse gli occhi, per metterla meglio a fuoco, e gli sembrò di riconoscere un drago con grandi ali. Con dita tremanti, ruppe il sigillo e srotolò adagio quella che si rivelò essere una lettera. Lesse con un tuffo al cuore le prime parole.
«Figlio nostro amatissimo,»
Era dei suoi genitori. Pensò a quante volte aveva chiesto di loro, senza aver mai saputo nulla di più se non che erano defunti. A volte sperava che Perseus Byron si fosse sbagliato, o che gli mentisse. Sperava che fossero vivi e che, semplicemente, lo avessero abbandonato. Nel più profondo del suo cuore, era acceso un barlume di speranza che un giorno avrebbe potuto ritrovarli e la follia che, forse, gli avrebbero potuto voler bene. Col passare del tempo speranza e follia si erano sempre più affievolite, offuscate da delusione e rassegnazione. Ora aveva tra le mani un loro scritto. Aveva paura ed era ansioso di sapere. Respirò a fondo e prese a leggere.
«Se stai leggendo questa lettera, significa non solo che questa nostra esistenza terrena ha avuto termine, ma anche che è giunta l’ora.
La tua nascita è stata per noi il dono più bello che la vita potesse farci. Tu sei stato l’unica nostra gioia negli anni più bui e dolorosi che il nostro mondo abbia mai vissuto.
Troppo presto abbiamo dovuto rinunciare a te, ma siamo grati per ogni singolo istante che ci è stato concesso di vivere con te. Abbiamo centellinato e assaporato ogni momento come un prodigio: tu sei il tesoro più prezioso custodito nel nostro cuore fino alla fine del tempo.
Troppo presto la sorte ti ha privato della nostra concreta presenza, ma sappi, figliolo adorato, che il nostro amore è sempre, sempre stato con te, accompagnando i tuoi passi, sostenendo i tuoi pensieri, vegliando il tuo sonno. E così sempre sarà. Non dimenticarlo mai.
Con tutto il bene del tempo e dello spazio infiniti.
I tuoi genitori.»
Non c’era firma.
Deglutì, lasciando cadere il foglio in grembo, e rivolse al Praesidens uno sguardo perplesso e addolorato. Non sapeva cosa avrebbe potuto confortarlo, ma quella breve lettera, così densa d’amore e rimpianto, gli riaprì lo squarcio che aveva in petto. Adesso sapeva che suo padre e sua madre lo amavano. E aveva la conferma che erano morti.
“I tuoi genitori erano persone splendide.” rivelò il Magister con voce densa di tristezza.
Ares lo guardò: la sua espressione lasciava trasparire un profondo dispiacere.
“Li conosceva?” appurò come un automa.
“Oh sì! Sono stati miei allievi fin dai primi anni e anche ... dopo.“
“Può raccontarmi di loro?” verificò, senza quasi aver compreso cosa gli avesse risposto.
“Nella mia esistenza, ho conosciuto molte persone di valore, alcune anche eccezionali, ma i tuoi genitori erano davvero ... speciali. In loro, coraggio e forza si coniugavano a compassione e tolleranza. Il loro profondo amore e affiatamento ne facevano un’imbattibile coppia di Paladini. È stato anche … soprattutto grazie alla loro opera e al loro esempio, se la Resistenza ha potuto espandersi fino al successo.”
Annuì, lo sguardo assente e il pensiero perso nei ricordi della storia contemporanea che aveva studiato. Si accigliò mentre, chinando la testa di lato, si passava la mano sul collo e sulla nuca dai corti capelli.
“Un momento ... Ha detto Resistenza?”
L’uomo assentì e lui strinse gli occhi, accertandosi. “Ma quanti anni avevano i miei genitori quando ... quando ...”
“Una trentina.”
“Ma non è possibile. E poi dov’erano? Dove sono ... morti? In Francia?” lo interrogò sconcertato e ansioso.
“Perché hai pensato alla Francia?” sondò calmo l’anziano docente.
“Be’, la Resistenza qui da noi non c’è stata … Per fortuna, non ce n’è stato bisogno.” Rabbrividì al pensiero che anche il suo Paese avrebbe potuto essere invaso dai nazisti. “Il posto più vicino è la Francia, dal 1940 al ’45 ... Ma non può essere ... A quel tempo, i miei genitori non erano ancora nati.”
“Ah, capisco. Hai pensato alla seconda guerra mondiale.” notò Yolhair.
Leggermente piccato per quell’osservazione che considerava un velato rimprovero, replicò asciutto. “Non vedo a cos’altro si possano riferire le sue parole, visto che ha citato la Resistenza. E poi i miei genitori, nella loro lettera, hanno parlato di «anni più bui e dolorosi che il nostro mondo abbia mai vissuto.» È vero che di guerre e conflitti molto sanguinosi ce ne sono stati anche dopo di allora ... E anche adesso, purtroppo ... Ma l’ultima guerra mondiale, con tutto quell’orrore ...”
Serrò la mascella. Detestava la guerra, di ogni tempo e genere. Storia era la materia di studio che meno amava: per lui era solo un interminabile racconto di sopraffazione, atrocità e morte. Ogni volta che doveva studiarla si chiedeva per quale assurdo motivo gli avessero affibbiato quel nome così inappropriato. Ares, il dio greco della guerra. Se solo avesse potuto cambiarlo! Da quando si era fatto grandicello, lo aveva chiesto tante volte a Byron, che gli dava sempre la stessa risposta. Alla maggiore età, avrebbe potuto presentare la sua richiesta alle autorità amministrative competenti.
“Hai ragione, Ares. Tuttavia, il Mondo al quale si riferiscono i tuoi genitori non è quello che conosci tu, quello in cui hai vissuto finora.”
Quelle calde parole, pronunciate con affetto, lo colpirono come uno schiaffo, lasciandolo a bocca aperta, senza parole.
“I tuoi genitori erano Lumen, persone di conoscenza.”
Sbarrò gli occhi e domandò con voce tremante. “Lumen? Cosa sono con esattezza i Lumen?”
“I Lumen sono i depositari dell’Antica Sapienza.”
Gli rivolse uno sguardo perplesso e interrogativo.
“Cosa ne sai di esoterismo?”
Ares scosse appena la testa.
“Psicocinesi? Chiaroveggenza? Alchimia?”
Negò in modo più deciso.
“Magia?”
“Ooh, sì. Quella sì!” confermò soddisfatto, aggiungendo subito. “Mi è sempre piaciuta tanto. Ho visto parecchie trasmissioni in televisione e una volta ho visto anche uno spettacolo dal vivo ... mi ci hanno portato i Tillman. Mi piaceva soprattutto quando facevano sparire le cose e anche le persone! Vuol dire che i miei genitori erano dei maghi?” disse tutto d’un fiato, eccitato.
“Erano dei veri Maghi.” puntualizzò l’uomo, con fierezza. “Quelli che fanno spettacoli, per quanto abili, sono solo illusionisti, prestigiatori. Quei trucchi non hanno nulla a che vedere con la Magia ... Quella vera.”
“E sarebbe?”
“Vuoi la spiegazione breve o quella lunga?”
“Breve.”
“Magia è il dominio sulla materia. Il potere di chi governa l’energia.”
Ares si passò una mano sulla fronte, ravviandosi indietro i capelli e scoprendo le sopracciglia aggrottate.
“Non credo di aver capito.”
La sua mano passò dietro sulla nuca e lunghi ciuffi corvini ripiombarono dov’erano prima, ombreggiando i grandi occhi che erano diventati grigio scuro.
“Ma adesso non importa ...” mormorò, bloccando le spiegazioni che stava per dargli il Mentor Maximus, che chiuse la bocca e attese in silenzio.
Dopo lunghi minuti, lo invitò a mezza voce. “Mi parli ancora di loro.”
Il Magister inspirò profondamente e annuì.
“Ho conosciuto i tuoi genitori quando avevano tredici anni, al loro primo anno qui. Erano entrambi nella stessa Familia e si sono subito distinti. Hanno conseguito, a pieni voti, la Corona ... il diploma.” chiarì. “Già durante gli studi superiori, i tuoi genitori hanno iniziato a militare nella Resistenza e ...”
“Contro chi?” lo interruppe, fissandolo serio e determinato.
Di nuovo il Magister inspirò lungamente.
“Il nostro mondo, che chiamiamo Lumenalia ...”
“E dov’è? È qui?” interloquì rapido, guardandosi intorno.
“È qui e ... dappertutto.”
Ares si accigliò, puntando i suoi penetranti occhi grigi in quelli azzurri che gli stavano di fronte.
“I Lumen vivono in luoghi del tutto simili a quelli che tu conosci, soltanto che sono, per così dire, speciali. In tutta la Terra, non solo in Gran Bretagna, i nostri luoghi sono presenti nel Mondo Opaco, il mondo dove hai vissuto finora, soltanto che sono occulti a sguardi profani.”
“Cos’è? Un’altra dimensione?” indagò in tono vagamente impertinente.
“No. Non un’altra dimensione, né un mondo parallelo. Lumenalia è realmente presente sullo stesso territorio, e nello stesso tempo, del Mondo Opaco.”
Lo guardò sorpreso e, cambiando atteggiamento, si informò interessato. “Ma come è possibile che nessuno ne sappia niente? Da quello che capisco, questa ... Lumenalia è alquanto diffusa. Come fa a occupare tanto spazio senza che nessuno se ne accorga? Per esempio, questo posto sembra grande, possibile che la gente ... ehm normale non lo veda?”
Yolhair sorrise. “Capisco che sia difficile da immaginare, ma ti posso assicurare che agli Opachi – così chiamiamo le persone non dotate – si può celare una montagna intera, senza che a nessuno di loro venga il minimo sospetto della sua esistenza. Lumenalia esiste dalla notte dei tempi ed esisterà sempre.”
Ares distolse lo sguardo, come per meglio riflettere su quello che aveva sentito, e poi, voltandosi verso di lui, chiese di nuovo. “Contro chi?”
“Come ti stavo dicendo, Lumenalia, al pari di ogni altro Paese, è governata da leggi e ordinamenti ed è amministrata da un corpo esecutivo che, nella nostra Circoscrizione, si chiama Dicastro, a capo del quale c’è il Senechal. Nel corso del tempo, non sempre Dicastri e Senechal sono stati all’altezza dei loro compiti e responsabilità. In alcuni periodi del passato, più spesso in tempi antichi, abbiamo sofferto per governanti molto poco illuminati, intolleranti e, frequentemente, troppo amanti delle guerre.”