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Di nuovo gli applausi scoppiarono, esattamente tanto nutriti e tanto spontanei quanto i primi, poi ci si mise in cammino verso la residenza, dove i principali membri della missione avrebbero alloggiato durante i tre giorni dedicati a definire gli ultimi particolari del piano d’esplorazione. Il programma era vasto. La regione interessata dal progetto di legge di Barsac oltrepassava un milione e cinquecentomila chilometri quadrati, circa tre volte la superficie della Francia. Se la visita integrale di quell’immensa estensione era fuori discussione, si era però tracciato un itinerario abbastanza capriccioso perché l’impressione finale raccolta dagli esploratori avesse qualche probabilità di essere conforme alla verità. Infatti, il percorso si sviluppava su più di duemilacinquecento chilometri, per certi membri della missione, e su quasi tremilacinquecento per gli altri. La spedizione doveva, infatti, dividersi cammin facendo, in modo da estendere il più possibile il raggio dell’inchiesta. Da Conakry ci si sarebbe spostati dapprima fino a Kankan, passando per Uossu, Timbo, centro importante del Futa-Djalon meridionale e Kurussa, postazione stabilita sul Niger, a poca distanza dalla sorgente. Da Kankan si sarebbe attraversato, per Foraba, Foraba-kuru e Tiola, l’Uassulu e il Kenedugu, fino a Sikasso, capoluogo dell’omonimo paese. A Sikasso, a millecento chilometri dal mare, la spedizione si sarebbe divisa in due parti. Una, sotto la direzione di Baudrières, sarebbe ridiscesa verso sud, avrebbe attraversato il paese di Kong raggiungendone la capitale dopo aver toccato Sitardugu, Niambuambo, e diversi centri più o meno importanti. Da Kong, avrebbe poi deviato nel Baulé per raggiungere finalmente, a Grand Bassam, la Costa d’Avorio. Al contrario, l’altra spedizione avrebbe continuato, con Barsac, verso est, transitando per Uagadogu e raggiungendo il Niger a Saye; poi, camminando parallelamente al fiume, avrebbe attraversato il Mossi, per giungere – passando per il Gurma e il Borgu – alla meta finale, Kotonu, nel Dahomey. Tenendo conto dei giri viziosi e dei ritardi inevitabili, si doveva far conto che il viaggio durasse almeno otto mesi per il primo gruppo e da dieci a dodici mesi per il secondo. Partiti insieme il primo dicembre da Conakry, Baudrières sarebbe giunto a Grand Bassam non prima del primo agosto e Barsac a Kotonu non prima del primo ottobre. Si trattava dunque di un lungo viaggio. Eppure il signor Isidore Tassin non poteva gioire: difficilmente gli avrebbe permesso di effettuare qualche importante scoperta geografica. A dire il vero, la presenza di un corrispondente della Società geografica mal si spiegava, poiché la speranza di scoprire il delta del Niger era poco realizzabile quanto quella di scoprire l’America. Ma il signor Tassin non era un ingordo. Essendo stato il globo percorso in tutte le direzioni, lui pensava che fosse importante sapersi accontentare di poco. Pensava saggiamente, limitando così le sue ambizioni. Da un pezzo l’ansa del Niger aveva cessato di esser la contrada inaccessibile e misteriosa che era stata per anni. Dopo il dottor Barth, il tedesco che per primo l’attraversò, nel 1853 e 1854, una quantità di coraggiosi l’hanno gradualmente conquistata. Nel 1887, il tenente di vascello Caron e l’esplorazione magnifica, sotto ogni punto di vista, del capitano Binger; nel 1889 il tenente di vascello Jaime; nel 1890 il dottor Crozat; nel 1891 il capitano Monteil; nel 1893 e 1894, le morti gloriose del tenente Aube e del colonnello Bonnier e la presa di Timbuctu per opera del tenente Boiteux, ben presto raggiunto dal comandante Joffre. In quello stesso 1894 e nel 1895 il capitano Toutée e il tenente Targe: nel 1896 il tenente di vascello Hourst e tanti altri via via, fino alla campagna durante la quale, nel 1898, il colonnello Audéoud s’impadronì di Kong e finì di abbattere la potenza di Samory. Da allora, il Sudan occidentale cessò di meritare l’epiteto di selvaggio; l’amministrazione succede alla conquista, le postazioni si moltiplicano, assicurando in modo sempre più solido la benefica dominazione francese. Nel momento in cui la missione extraparlamentare stava per penetrare a sua volta in quelle regioni, la pacificazione non era ancora stata completata, ma già la sicurezza era maggiore e si poteva sperare che il viaggio si sarebbe compiuto, se non senza incidenti, almeno senza accidenti, riducendosi a una passeggiata tra pacifiche popolazioni che Barsac stimava mature per godere delle gioie della politica elettorale. La partenza era fissata al primo di dicembre. Il giorno precedente a quello della partenza, il 30 novembre, un pranzo ufficiale stava per riunire un’ultima volta i membri della missione alla tavola del governatore. Alla fine di questo pranzo si sarebbero scambiati brindisi, come d’uso, con l’accompagnamento obbligatorio dell’inno nazionale e la formulazione degli ultimi auspici per il successo della spedizione e per la gloria della Repubblica. Quel giorno Barsac, affaticato da una lunga passeggiata per Conakry sotto un sole di fuoco, era appena ritornato nella sua camera. Si stava sventagliando beatamente, aspettando che venisse l’ora di indossare l’abito nero, dal quale nessuna temperatura potrebbe dispensare un personaggio ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, quando il piantone di servizio – un soldato di ferma della milizia coloniale, che la sapeva lunga – lo avvertì che due persone domandavano di essere ricevute. «Chi sono?» chiese Barsac. Il piantone fece un gesto d’ignoranza. «Un uomo e la sua signora» disse semplicemente. «Dei coloni?» «Non mi pare, visto il loro aspetto. Lui è uno spilungone, con la zucca pelata.» «La zucca?» «Sì, è calvo! Con i favoriti di stoppa e gli occhi tondi come pomelli da ringhiera» rispose il piantone. «Avete proprio una bella fantasia! E la signora?» «La signora…» «Sì… com’è la signora? Giovane?» «Abbastanza.» «Bella?» «Sì, e ben vestita…» Barsac si arricciò istintivamente i baffi e disse: «Fateli entrare». Mentre dava quest’ordine, lanciava senza accorgersene uno sguardo allo specchio che ne rifletteva la figura intera. Se allora non avesse avuto la mente altrove, avrebbe potuto constatare che la pendola segnava le sei. In ragione della differenza delle longitudini, era precisamente in quel momento che cominciava la rapina all’agenzia dk della Central Bank, argomento del primo capitolo di questo racconto. I visitatori, un uomo d’una quarantina d’anni, seguito da una giovane tra i venti e i venticinque, furono introdotti nella camera in cui Barsac gustava le gioie del dolce far niente, prima di andare ad affrontare le fatiche di un pranzo ufficiale. L’uomo era assai alto, in effetti. Un paio di gambe interminabili reggevano un busto relativamente esile che finiva con un collo lungo e ossuto, il quale portava a una testa modellata in altezza. Sebbene gli occhi non fossero come pomelli da ringhiera, come aveva asserito il piantone abusando di similitudini pretestuose, non si poteva però contestare che non fossero sporgenti, né che il naso non fosse grosso, né che le labbra non fossero tumide e sbarbate, giacché uno spietato rasoio ne aveva soppresso i baffi. Al contrario, dei corti favoriti – di quelli che è classico attribuire agli austriaci – e una corona di capelli ricciuti che circondavano la base del cranio, meravigliosamente nudo e lucido, permettevano di affermare che il piantone mancava di precisione nella scelta dei suoi aggettivi. Di stoppa, aveva detto. La parola non era esatta. Per essere giusti, erano fulvi. Questo ritratto dispenserebbe, se necessario, dal precisare che era brutto, se non convenisse unire alla sua bruttezza l’epiteto di simpatico. Le sue grosse labbra esprimevano infatti franchezza, e dai suoi occhi baluginava quella maliziosa bontà che i nostri padri chiamavano con il grazioso nome di bonomia. Dietro a lui veniva la giovane. Bisogna riconoscere che il piantone, decantandola bella, non aveva stavolta affatto esagerato. Alta, sottile, la vita elegante, la bocca fresca e ben modellata, il naso fine e dritto, gli occhi grandi e sormontati da sopracciglia mirabilmente disegnate, un’abbondante capigliatura d’un nero inchiostro, tutti i lineamenti di una regolarità impeccabile, era una bellezza perfetta. Dopo che Barsac ebbe offerto una sedia ai suoi visitatori, fu l’uomo, come naturale, che prese la parola. «Ci perdonerete, onorevole, se veniamo in tal modo a importunarvi e, nell’impossibilità in cui mi trovo di fare altrimenti, ci scuserete se ci presentiamo da soli. Io mi chiamo – permettetemi di precisare, secondo la mia abitudine – ho il dispiacere di chiamarmi, giacché questo nome è ridicolo, Agénor di Saint-Bérain, proprietario celibe e cittadino della città di Rennes.» Esposto così il suo stato civile, Agénor di Saint-Bérain fece una lieve pausa, poi, aiutandosi con il gesto, presentò: «La signorina Jane Mornas, mia zia». «Vostra zia?» esclamò Barsac. «Sì, la signorina Mornas è proprio mia zia, quanto si può esserlo di qualcuno» affermò Agénor di Saint-Bérain, mentre le labbra della giovane si schiudevano in un allegro sorriso. Fu come un raggio di sole. Il suo bel viso, la cui espressione troppo seria era forse il solo difetto, ne parve illuminato. «Il signor di Saint-Bérain» spiegò lei con un lieve accento inglese «tiene particolarmente alla sua qualità di nipote e non tralascia occasione per proclamare il nostro reale grado di parentela.» «Ciò mi ringiovanisce!» interruppe il nipote. «Ma» continuò Jane Mornas «una volta prodotto l’effetto e ben stabiliti i suoi diritti legali, acconsente a invertire le parti e a ridiventare lo zio Agénor, ciò che, per convenzione di famiglia, è sempre stato, dalla mia nascita.» «E che è più in rapporto con la mia età» spiegò lo zio-nipote. «Ma lasciamo da parte tutto questo. Fatte le presentazioni, permettetemi, onorevole, di venire all’argomento che mi conduce qui. La signorina Mornas e io, quali ci vedete, siamo degli esploratori. La mia zia-nipote è una intrepida viaggiatrice e io, da buon nipote-zio, mi sono lasciato trascinare da lei fino a queste lontane regioni. La nostra intenzione non è quella di soggiornare a Conakry, ma di avventurarci nell’interno in cerca di emozioni e di spettacoli nuovi. Terminati i preparativi eravamo sul punto di partire, quando abbiamo saputo che una missione si accingeva a seguire, sotto i vostri ordini, una strada analoga alla nostra. Allora ho fatto osservare alla signorina Mornas che, per tranquillo che fosse questo Paese, mi sembrava preferibile unirci a questa missione, posto che volessero accoglierci. Veniamo, dunque, a chiedervi il permesso di far la strada con voi.» «In linea di principio» rispose Barsac «non ci vedo nessun inconveniente. Ma devo consultare i miei colleghi, comprenderete.» «Ovvio, naturale!» approvò Saint-Bérain. «Forse» suggerì Barsac «avranno timore che la presenza di una donna possa ritardare la nostra marcia e sia poco compatibile con l’esecuzione del programma che è stato tracciato… in tal caso…» «Perdano pure questo timore!» protestò lo zio Agénor. «La signorina Mornas è un vero giovanotto. Lei stessa richiede di trattarla non da compagna, ma da compagno di viaggio.» «Certamente» approvò Jane Mornas. «Aggiungerò che, anche dal punto di vista materiale, non vi procureremo nessun intralcio. Abbiamo cavalli e portatori. Non ci manca nulla, abbiamo perfino due bambara, due ex tiragliatori senegalesi che abbiamo arruolato in qualità di guide e interpreti. Vedete, dunque, che potete accoglierci senza timore.» «A queste condizioni, in effetti…» riconobbe Barsac. «Insomma, ne parlerò stasera stessa ai miei colleghi e, se sono del mio parere, affare fatto. Come farò a comunicarvi la risposta definitiva?» «Domani, al momento della partenza. In ogni caso, lasceremo Conakry già da domani!» Così convenuto, i visitatori si congedarono. Al pranzo del governatore Barsac trasmise ai suoi colleghi la richiesta che gli era stata presentata e ottenne favorevole accoglienza. Soltanto Baudrières ritenne di dover avanzare le proprie riserve ad accettare la presenza di quella bella compagna di viaggio, della quale Barsac prese le difese con maggior calore di quanto forse non fosse strettamente necessario. Insomma, c’era qualche inconveniente. La cosa gli sembrava strana. Era ammissibile che una giovane si avventurasse in un simile viaggio? No, davvero; il pretesto dato non era serio e si poteva credere che il vero scopo fosse nascosto. Ipotizzando ciò, non si era forse in diritto di temere che la richiesta non nascondesse qualche tranello? Chissà, anche, che non avesse qualcosa a che fare con le voci misteriose di cui il ministro si era fatto discretamente portavoce alla tribuna della Camera? Baudrières fu rassicurato con una risata. «Non conosco né il signor di Saint-Bérain né la signorina Mornas» dichiarò il signor Valdonne «ma, da quindici giorni che sono a Conakry, li avevo notati.» «Si noterebbero anche per meno!» esclamò Barsac con convinzione. «Sì, la signorina è molto bella» approvò Valdonne. «A quanto mi è stato assicurato, arrivano da Saint-Louis del Senegal, col battello che fa il servizio costiero e, per quanto strano ciò possa sembrare, hanno l’aria di fare un semplice viaggio di piacere, appunto come hanno detto all’onorevole Barsac. Quanto a me, credo non vi sia il minimo inconveniente ad accordare loro ciò che chiedono.» L’opinione del luogotenente-governatore prevalse senza altre opposizioni. Fu così che la missione cui era a capo Barsac aumentò di due reclute e fu portata al totale di dieci membri, compreso Amédée Florence, reporter dell’Expansion française, ma esclusi i portatori e la scorta armata. La mattina successiva il caso favorì Pierre Marcenay, capitano di fanteria coloniale e comandante della scorta, permettendogli di precedere Barsac nel momento in cui questi si precipitava, con tutta l’agilità di un quarantenne corpulento, per aiutare la signorina Mornas a mettersi in sella. «Armis cedat insigne» disse Barsac, che aveva fatto i suoi bravi studi classici, accennando un saluto marziale. Ma si vedeva bene che non era soddisfatto.
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