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Due settimane prima
LINDY
La sua mano le afferrò la nuca. Le strinse le dita attorno alla lunga coda di cavallo e strattonò leggermente.
«In ginocchio, zuccherino.»
Le labbra di Celine si schiusero. Voleva obbedire, la necessità di fare come le veniva detto le fece piegare le gambe.
Lui la accompagnò giù fino a quando non l’ebbe di fronte a sé.
Era così alto che lei piegò indietro la testa per sostenere i suoi occhi azzurri.
«Brava ragazza. Adesso tirami fuori il cazzo e fammi vedere quanto adori compiacermi.»
Le sue dita corsero a slacciargli i jeans e lui svettò presto libero. Spesso, con la punta larga, lei poté solamente leccarsi le labbra dalla voglia di assaggiarlo mentre si chiedeva come sarebbe riuscita a prenderlo tutto.
Come se lui fosse stato in grado di leggerle nel pensiero, mormorò, «Non ci starà. Ma tu proverai a stringerci quelle belle labbra attorno, a prenderne il più possibile. Perché sai che la tua figa avrà le stesse difficoltà.»
«Come sta venendo?»
Sobbalzai di fronte alla voce che proveniva dal mio portatile. Ero in videochiamata con Lucy, un’amica autrice dell’Arizona, sebbene la piccola finestrella che mostrava il suo volto fosse nascosta dietro quella col libro che stavo scrivendo.
Lanciando un’occhiata all’orologio nell’angolo dello schermo, mi resi conto che gli ultimi trenta minuti erano volati. Non mi ero nemmeno accorta del rumore della motosega del vicino fino a quel momento e, Dio, era fortissimo. Stavamo facendo una specie di gara di scrittura, buttando giù più parole possibili in spezzoni di mezz’ora ed io ero davvero entrata in quella scena, tenendo alla larga perfino quel baccano terribile. Usando il mouse, cambiai finestra così che Lucy comparve in quella della piccola video chat.
Non l’avevo mai conosciuta di persona, ma era una buona amica. A parte la mia editrice, una delle poche persone che sapevano che scrivessi storie d’amore. Come secondo lavoro. Ben, ben lungi dal mio lavoro di tutti i giorni. Il che significava che, per quanto i due libri che avevo pubblicato fino a quel momento stessero cominciando a fruttarmi un po’ di soldi così che potessi comprarmi un bel caffè al Bocconcini Succulenti, era il mio lavoro d’ufficio in settimana in una piccola agenzia contabile a continuare a pagare le bollette. Mi occupavo delle tasse e della contabilità generale delle altre persone. Un sacco di numeri. Numeri molto noiosi e molto inutili.
A differenza di mia sorella, Bridget, che era una calcolatrice umana, io trovavo quel lavoro noioso da morire. Non era la carriera dei miei sogni, quello era certo. Il detto, al mondo non c’è nulla di sicuro a parte la morte e le tasse garantiva la sicurezza lavorativa. Potevo essere d’accordo. Mi erano molto familiari entrambe le cose.
Q uei giorni, trascorrevo le serate e i fine settimana a lavorare in segreto alle mie storie perché ero sicura che non tutti ad Hunter Valley avrebbero apprezzato il fatto che scrivessi roba erotica. Erano storie d’amore, ma la gente le avrebbe chiamate così e non pensavo che io l’avrei sopportato. Era un piccolo paesino. Non potevo uscire di casa senza pettinarmi e truccarmi perché incontravo sempre qualcuno che conoscevo per strada. Non ero certa che sarei riuscita a vedermela coi miei vicini se avessero letto le scene di sesso nei miei libri, specialmente quelle in cui immaginavo me stessa come protagonista.
Dio, come quelle alle quali stavo lavorando in quel momento.
In ginocchio, zuccherino?
Vagliai ciò che avevo appena finito di scrivere. Già, sarebbe andato alla grande a yoga. E per quanto riguardava le mie probabilità di trovare un uomo, erano già basse di loro.
Tuttavia, ero decisa a far sì che la mia scrittura diventasse una nuova carriera. Era stato quello il mio piano quando mi ero laureata al college, ma poi i miei genitori erano morti non molto dopo il diploma e il sogno era stato accantonato. Mi era servito un lavoro che fosse affidabile, che pagasse le bollette. Un’assicurazione sanitaria. Tutta quella roba da adulti di cui mi ero dovuta occupare a ventitré anni perché crescere una sorella di dieci era diventata la mia priorità.
Fare la contabile era stata la prima opportunità disponibile all’epoca e l’avevo colta. Tutti quegli anni dopo, mi trovavo ancora lì, ma il mio ruolo era avanzato.
A differenza della mia vita. Bridget era cresciuta e aveva Maverick James nella sua. Un vero uomo palesemente dedito dopo un periodo di tempo ridicolmente breve. No, non ero gelosa del fatto che avesse un bellissimo fidanzato ricco, di successo e gentile. Letteralmente l’unico uomo disponibile in città della mia età.
Già, la mia età.
Sebbene disponibile non lo fosse più.
Per cui, nessuna gelosia. Affatto. Perché io adoravo uscire tramite i siti online per single e scoprire che tutti i miei appuntamenti si rivelavano dei fallimenti. Il che rendeva tale anche me.
Me. Lindy Beckett. Single. Inutile contabile. Segreta autrice di storie d’amore alle prime armi. Trentacinquenne con un orologio biologico che non solo ticchettava, ma suonava come una sveglia.
Mi sfregai gli occhi e rivolsi un sorriso a Lucy. «Scusa.»
«Dev’essere stata una scena piuttosto bella. O stai pensando all’appuntamento che avrai domani?»
«Appuntamento? Diavolo, no.» Dovevo uscire a cena con un altro tipo che avevo conosciuto grazie ad un'app di incontri. Sembrava attraente nella foto del suo profilo ed era sembrato carino nei messaggi che ci eravamo scambiati, ma come qualunque altro uomo prima di lui, probabilmente non rispecchiava tutte le caratteristiche del mio uomo ideale. Il che significava che decisamente non era lui il motivo per cui mi ero calata nel mio ultimo capitolo.
Io non scrivevo solamente storie d’amore. Scrivevo storie d’amore spinte. In effetti, mi agitai sulla sedia della mia scrivania perché ero eccitata da ciò che avevo scritto. Ultimamente, le parole mi uscivano più facilmente. Non è che avessi avuto un fidanzato con cui poter mettere in pratica quelle scene sexy o avessi pianificato di recitarle col signor Cena Fuori della sera dopo. No, tiravo fuori la mia vasta collezione di fidanzati a batterie per scaricarmi.
La differenza adesso era che c’era un uomo nello specifico che continuava a venirmi in mente. Un uomo bellissimo coi capelli e gli occhi scuri. Tiravo fuori i miei pensieri su di lui tardi la sera, quando prendevo un giocattolino dal cassetto del mio comodino. Le ultime volte avevo avuto il grosso dildo vibrante tra le mie cosce aperte. Dio non volesse che lui – Dex James – mi avesse mai sentita urlare il suo nome mentre venivo. Non riuscivo a ricordare di essere mai venuta più forte ed era stato solamente pensando a lui. O quando avevo scritto le scene di sesso per il mio ultimo libro. Perché decisamente mi immaginavo lui che mi diceva che il suo cazzo fosse troppo grosso da gestire per me.
Tipo grosso, cazzo grosso, no?
Era ciò che mi immaginavo. Non fosse che, se mi fossi sbagliata? E se ce l’avesse avuto piccolo? Un piccolo hotdog in miniatura?
Scossi la testa e mi accigliai a quel pensiero ridicolo .
Dex James era uno dei fratelli di Maverick. Lui – Dex, sebbene probabilmente anche Maverick – decisamente non aveva un salsicciotto da cocktail tra quelle cosce muscolose.
Quell’uomo trasudava energia da cazzo grosso.
Aveva anche un’attitudine rilassata, serena e divertente. T utto l’opposto di me. Mi chiamavano castigata. Rigida. Impegnativa. Senza dubbio il weekend precedente a Denver, quando ero stata super stressata, super infastidita e super indietro col mio libro.
Mi ero sfogata su Dex. E anche su Mallory, sebbene lei fosse abituata a me, in quanto migliore amica di Bridget, al fatto che fossi un po’ pazza dopo tutti quegli anni.
«Stavo lavorando alla seconda scena di sesso,» dissi a Lucy.
«Voglio leggerla,» disse lei con voce emozionata, gli occhi che le si illuminavano trepidanti. «Dio, cos’è quel baccano?»
«Motosega. Il vicino sta potando gli alberi, credo.»
Il signor VanMeyer stava usando quell’aggeggio ormai da un’ora.
«Vai a pagina trentadue,» le dissi io. Scrivevamo su un programma di elaborazione testi condivisibile online così che lei potesse passare facilmente sul mio documento a leggere cosa avessi scritto. Come in quel momento in cui lo aprì e andò dritta a quella pagina.
Io presi il bicchiere di tè freddo da accanto al mio portatile e ne bevvi un lungo sorso mentre lei leggeva. Era una giornata calda e avevo tutte le finestre aperte.
«Wow, Lind, è eccitantissimo.» Nella piccola finestrella sul mio schermo, lei si fece aria.
«Lo so. È-»
«Quel tipo, non è vero?» mi pungolò con un sorrisetto malizioso. «Quello con cui siete andate a Denver tu e tua sorella la settimana scorsa. Comunque si chiami. L’hai reso il protagonista del tuo libro.»
«Cosa staresti dicendo, che è la mia musa?» Scossi la testa con un po’ più vigore del necessario a quella domanda. Se Lucy riusciva a cogliere la cosa, mi preoccupavo. «No. Decisamente non è lui. Non è un cowboy come quelli dei miei racconti.»
Non riuscivo ad immaginarmi Dex James con indosso uno Stetson come gli eroi di cui scrivevo. Certo, gli sarebbe stato bene in testa. Così come un sacco di patate, ma quella del cowboy non era una personalità che gli si addicesse.
«E allora? Sono certa che adorerebbe metterti in ginocchio.» Alzò e abbassò le sopracciglia scure, per poi sogghignare. «Quando è stata l’ultima volta che hai avuto un uomo così? Che ti desse un po’ di ordini?»
Mai. Tuttavia, avevo le mutandine bagnate a quell’idea. E la prima casella non spuntata della mia lista di requisiti maschili. C’erano un sacco di cose su quella lista che avevo cominciato con mia madre quando avevo avuto quattordici anni e AJ Alvarez mi aveva chiesto di andare a giocare a bowling. All’epoca, ci avevo scritto onesto. Amichevole. Cavalleresco. Crescendo, ci avevo aggiunto altre cose, tipo leale e bravo coi bambini. Quella cui stavo pensando in quel momento era sessualmente premuroso. Gli uomini che mi ero portata a letto in passato non erano stati egoisti, ma non erano stati nemmeno premurosi. O autoritari.
Si sentì una sveglia tramite la videochiamata. «Merda, devo andare,» disse lei con un sospiro mentre passava un dito sul cellulare. «Ariel scenderà dal pullman tra dieci minuti. Ciao!»
La videochiamata si concluse. Io allontanai la sedia dal tavolo della cucina e afferrai il mio bicchiere per andare a riempirlo. Il ronzio della sega elettrica era incessante. Forse ero riuscita a sopportarlo prima, ma avevo bisogno di una pausa da quel rumore. Chiudere le finestre l’avrebbe solamente smorzato, ma non avrebbe tenuto del tutto alla larga il lavoro di giardinaggio del signor VanMeyer.
Era giunta l’ora di uscire di casa. Dovevo comunque fare la spesa. Ci andavo sempre di sabato pomeriggio, solo che quel giorno avevo ritardato di qualche ora man mano che le parole mi erano uscite dalla punta delle dita.
Pensando a momenti sexy con Dex. Momenti sexy autoritari, con me in ginocchio.
«Gah!» esclamai nella cucina vuota.
Dex era sbagliato sotto qualunque punto di vista. Viveva a Denver, non a Hunter Valley. Era giovane. Due fatti che dicevano che la cosa non sarebbe durata ed io invece cercavo qualcosa di duraturo. Un uomo che durasse, nel senso di per sempre. Quello giusto.
Posai il bicchiere nel lavandino, poi strappai la lista delle cose che mi servivano in negozio dal blocco degli appunti vicino al frigo.
Andando al piano di sopra, mi controllai allo specchio del bagno, mi misi del lucidalabbra colorato e mi passai una spazzola tra i capelli.
Fuori, mi fermai sul prato per vedere cosa stesse combinando il signor VanMeyer.
Ci trovavamo in un vecchio quartiere di Hunter Valley e gli alberi erano grossi, il paesaggio ben definito. C’erano degli arbusti a separare i nostri due cortili, ma lui aveva un enorme pioppo che forniva un’adorabile ombra al suo giardino sul retro tutto il giorno e al mio più tardi nel pomeriggio quando bloccava il sole di fine giornata da ovest. Non era quello al quale stava lavorando, però, il che era un bene perché a me piaceva quell’ombra, bensì un secondo albero che era morto da un anno o due, ormai. Finalmente ne stava potando alcuni dei rami inferiori che non riusciva a raggiungere da terra.
Indossava il suo solito abbigliamento composto da jeans e maglietta bianca con le bretelle. A prescindere dalla stagione, lui si vestiva sempre così da che lo conoscevo, ovvero da tutta la mia vita visto che viveva lì quando i miei genitori avevano comprato la nostra dopo essersi sposati. Io ero arrivata due anni dopo e ci ero rimasta da allora.
Lui mi vide, spense la motosega e mi salutò con la mano.
«Ma ciao, Lindy!» esclamò. Era un uomo gentile, sempre allegro, ma un po’ pazzo.
«Salve, signor VanMeyer. Pota l’albero?» chiesi.
Lui si sfregò la testa per lo più calva e sorrise. «Lo faccio a pezzi quest’affare.»
Io sollevai lo sguardo sul grosso albero spoglio e non fui certa di come ci sarebbe riuscito. Gli piaceva cimentarsi in avventurosi progetti fai da te per poi finire col chiamare dei professionisti che li portassero a termine. Tipo sostituire i gradini sul retro della sua veranda. O quando aveva deciso di ripavimentare il vialetto. O di mettere una nuova cassetta delle lettere.
«Attento sulla scala a raggiungere quei rami bassi.» L’albero era alto almeno una decina di metri con un sacco di lunghi rami ampi. Ce n’erano un paio piccoli che era già riuscito a tagliare sparsi attorno a lui nell’erba.
Scuotendo la testa, lui picchiettò l’impugnatura della motosega. «Oh, non salgo su una scala.»
«Bene.» Non volevo che cadesse perché di sicuro si sarebbe rotto qualcosa. E con una motosega in funzione, probabilmente si sarebbe anche tagliato via qualcosa. Se non altro quella volta aveva chiamato subito i professionisti. «Allora resterà più lavoro da fare a quelli delle potature. Io vado da Van. Le serve qualcosa?»
«Non ho intenzione di assumere dei- Aspetta. Stai andando da Van?» Gli occhi gli si illuminarono come quelli di un bambino la mattina di Natale nel sentir parlare del negozio di alimentari. «Mi piacciono quei brownie che hanno lì.»
Io risi. «Lo so. Gliene prendo un po’.»
Mi offrì un ringraziamento solo dopo avermi ricordato che gli piacevano quelli con la granella di nocciole sopra, poi tirò nuovamente la corda per avviare la motosega.
Si sperava che i brownie sarebbero bastati ad attirarlo lontano dalla motosega così che io riuscissi a buttar giù un altro migliaio di parole prima che fosse troppo tardi. Avrei concluso la scena di sesso con Dex… con il protagonista, prima di andare a letto.
E prima del mio appuntamento col mio vibratore.