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DEX
La musica nei negozi di alimentari era delle peggiori. A prescindere da quale frequentassi, a prescindere in quale stato o, diamine, quale paese, era sempre uguale.
Remake al sassofono che mi rimanevano perennemente in testa.
Non potei fare a meno di canticchiare un motivetto disastroso di Adele – scusami, Adele – quando fermai il mio carrello accanto alla bancarella delle banane. Lì, in piedi di fronte alle zucche, c’era Lindy Beckett.
«Dio, adoro i paesini piccoli,» mormorai tra me, gettando un casco di banane nel mio carrello. Finirono in cima ad un paio di confezioni di yogurt.
Le probabilità di imbattermi in Lindy erano più alte lì a Hunter Valley che a Denver e andavano a mio vantaggio, specialmente con lei. La donna dei miei sogni. E di quando ero sveglio.
Spinsi il mio carrello con una ruota storta fino a lei. Ero rinomato per essere un campione su ghiaccio. Ultimamente, per l’unica volta in cui fossi stato chiamato difensore fuori campo quando avevo pestato uno stronzo in un bar. I difensori professionisti dell’hockey erano rinomati per il fatto che usassero i pugni sul ghiaccio, non fuori campo. Ed io? Io ero quello buono. Quello che i difensori proteggevano. Ero troppo prezioso per farmi coinvolgere dalle risse sul ghiaccio. Per cui, quando avevo pestato un tipo per aver fatto lo stronzo con una donna, l’avevano resa una cosa grossa.
Tuttavia, a prescindere da come mi dipingessero i media col loro pennello spietato, le donne mi lanciavano letteralmente le loro mutandine. Io gestivo le fan più sfegatate come se non fossero state nulla di che. Per me, non lo erano, perché io non desideravo nessuna di loro. Non se pensavano che fossi il bravo ragazzo che volevano insozzare, o il cattivo ragazzo che volevano ravvedere. In ogni caso, volevano solamente scopare.
Certo, forse durante la mia stagione da esordiente quando ero stato esposto per la prima volta a quel folle stile di vita ed ero stato disposto ad un po’ di divertimento senza vincoli, ma solo per un paio di mesi. Quella smania si era esaurita in fretta, specialmente quando avevo capito che andare a letto con quelle donne superficiali non fosse affatto meglio di mio padre che se l’era fatta con tutte le stagiste dell’ufficio.
Insignificante. Vuoto. Lui aveva avuto bisogno di figa per sentirsi importante. Per sfogarsi. Nessun legame. Diavolo, dubitavo che avesse anche solo conosciuto il nome di alcuna delle donne che si era scopato.
Io di certo non mi ricordavo i nomi di quelle donne quel primo anno. Ovvio, loro avevano voluto scoparsi un giocatore di hockey, per cui le sveltine erano state molto bilanciate. Anonimato consensuale.
Da allora, mi allenavo e giocavo. Duramente. Da bambino, era stato l’hockey a farmi uscire di casa – o, nel mio caso, da una villa disfunzionale. Avevo trascorso più tempo possibile alla pista di pattinaggio del posto per esercitazioni e partite infinite. Poi, quando ero cresciuto ed ero passato alla lega successiva, le partite in trasferta, perfino quelle in altri stati, mi avevano mantenuto sano di mente. Lo sport mi aveva impedito di unirmi alla James Corp, l’azienda di famiglia, perché avevamo saputo tutti che sarei diventato un professionista. I miei fratelli Mav, Silas e Theo mi avevano incoraggiato a giocare senza sosta perché ero stato fottutamente bravo. Non ero arrogante nel dirlo, era la verità.
Ma era solitario.
La mia vita era fottutamente solitaria. Ero costantemente circondato da allenatori, giocatori e addestratori. Condividevo le stanze coi compagni di squadra negli hotel delle trasferte. Ero raramente da solo. Eppure non avevo una famiglia – una vera famiglia mia – dalla quale tornare a casa. Per la quale giocare. Da avere nella sezione dei tifosi personali a incitarmi. Nessuna moglie né fidanzata in quella tribuna speciale.
Fino a quel momento. Fino a Lindy, perché riuscivo ad immaginarmela alle mie partite. Nella mia – nostra – casa. Nel nostro letto. Era il motivo per cui mi stessi attardando lì a Hunter Valley fuori stagione.
Non sapevo cosa avesse lei che mi facesse uscire dei cuoricini dagli occhi come nei cartoni animati. Perché fossi ossessionato da lei. Il giorno in cui ci eravamo conosciuti lei non era stata… delle più gentili. Per gli altri, forse era sembrata come stronza o irascibile. A me era sembrata… distaccata.
Non aveva dovuto volare fino a Denver con noi il weekend precedente, ma l’aveva fatto. Forse si era preoccupata per Bridget e il modo in cui l’aveva trattata Mav. Forse ce l’aveva avuta con lui. Non forse, probabilmente. Forse era stato perché aveva lasciato la città dopo un preavviso di soli cinque minuti. Forse… be’, chi lo sapeva?
C’era altro in Lindy che quell’unico incidente ed io volevo capirla. No. Non solo capirla. Me la sarei sposata.
Ciò mi fece camminare verso di lei attraverso la sezione di ortaggi col cuore che mi batteva al doppio della velocità come se si fosse messo a fare degli scatti di esercitazione tra le linee blu.
Non sa che sei ossessionato. Ossessionato? Mi sono tenuto pronto l’anello di fidanzamento che abbiamo scelto per lei io e Mallory. Amico, calmati un po’, cazzo.
Il tipo ossessionato contro la donna distaccata.
«Le dimensioni non contano tanto quanto ciò che hai intenzione di farci,» commentai quando la raggiunsi. Okay, forse quella era la cosa più stupida del mondo da dire. Quale donna voleva che un uomo le propinasse doppi sensi sulla verdura mentre faceva la spesa?
Cazzo. Mi sa nessuna.
Fa’ finta di niente. Fa’. Finta. Di. Niente.
I suoi capelli biondi ondeggiarono attorno alle sue spalle mentre lei si girava verso di me e il cazzo mi si indurì. Già, per via dell’ondeggiamento dei suoi capelli, cazzo.
I suoi occhi azzurri si spalancarono per la sorpresa e la consapevolezza.
Mi riconobbe. Non per via dei canali sportivi, perché era chiaro come il sole che Lindy non avesse la minima idea che fossi un giocatore di hockey professionista. Mi conosceva per via del nostro piccolo viaggio sul jet privato di famiglia fino a Denver con Bridget e Mallory. Visto che non sapeva che giocassi ad hockey, immaginava che fossi un miliardario annoiato che si rilassava nel Montana per l’estate perché le Azzorre o Boca Raton erano insulse.
Avrei potuto semplicemente dirle la verità. Cosa fossi. Che non fossi un figlio di papà fannullone col fondo fiduciario pronto. Ciò avrebbe cambiato piuttosto in fretta la sua opinione nei miei confronti, ma non avevo intenzione di farlo. Volevo che lei fosse interessata a me. Non perché fossi famoso. Non per via delle mie abilità con la mazza.
Okay, una mazza. Quella che si stava indurendo per lei in quel momento.
Cazzo, era bella. Ogni volta che mi trovavo di fronte a lei, mi colpiva. Al cuore. Al cazzo.
Per un sabato pomeriggio, quando la maggior parte della gente si vestiva in maniera informale, specialmente per fare la spesa, lei era perfettamente in ordine. Una gonna di jeans, una camicetta stirata e sagomata lungo la scollatura così da lasciar intravedere la pelle abbronzata al di sotto. Le sue scarpe erano dello stesso rosa chiaro della sua camicia. Così come le sue labbra lucide. Labbra che avrei voluto baciare fino a togliere quel velo di trucco.
Non avevo idea di come lei e Bridget fossero sorelle. A parte non assomigliarsi per niente, Lindy chiaramente ci teneva all’immagine mentre Bridget… no. Avevo perfino visto la Beckett più giovane con indosso solamente un lenzuolo – e non in senso di bei momenti sexy.
«Cosa hai detto?» chiese lei, le sue parole cariche di sorpresa nel vedermi.
Io piegai il mento in direzione della verdura gialla che teneva in mano che sembrava un sacco un cazzo. Sì, quel pensiero mi rendeva per certi versi un pervertito, ma non volevo parlare con Lindy del tempo.
«Saltate in padella? Shish kebab? È ciò che ci fai che le rende buone,» commentai come se fossi stato il presentatore di un canale di cucina.
«Che ci fai qui?» chiese lei invece di comunicarmi i suoi piani riguardo la verdura.
Io mi guardai attorno. «Scelgo la cena.»
Allungando una mano, lei rimise la zucca sulla pila assieme al resto nel cesto espositivo. Il rombo di un finto tuono annunciò l’imminente spruzzata d’acqua sulla verdura. «Intendo a Hunter Valley.»
Feci spallucce. «Non ti ricordi di aver volato assieme a me la settimana scorsa? Non sono nemmeno un po’ degno di nota?» Sollevai una mano e avvicinai pollice e indice l’uno all’altro.
Lei roteò gli occhi. «Intendo ancora. Non hai del lavoro a Denver?»
Già, non ne aveva idea.
«Sono in vacanza.» Feci spallucce, senza dirle che fosse stagione di pausa per la lega hockey professionale. «Faccio escursioni. Vado in mountain bike. Lo sapevi che c’è una cascata in cima al canyon?»
«Sì.»
Feci un passo verso di lei. «Sei fortunata. Tu sei cresciuta qui.» Allungai una mano, ravviandole i capelli dietro l’orecchio. «Ciao, zuccherino,» mormorai piano, come se fossimo stati da soli da qualche parte e non nel bel mezzo di un negozio.
Non la vedevo da quando eravamo tornati dallo spettacolo di Bridget e Maverick nel Colorado. Per fortuna, tutto si era risolto e loro due erano di nuovo in città, appassionati e innamorati. Dopo solo due settimane.
Dava il voltastomaco, ma io ero messo proprio come mio fratello. Uno sguardo ad una Beckett ed era stato amore istantaneo anche per me.
Gli occhi di Lindy si spalancarono a quel tocco, ma io non potei resistere. Volevo metterle le mani addosso, baciarla, leccarla perché sapevo che sarebbe stata dolce come una caramella. A Denver era stata tesissima. E non perché si fosse preoccupata per Bridget. Non aveva voluto rilassarsi e divertirsi un po’. Nuova città, sabato sera… già, no. Si era presa il suo portatile, era andata in una stanza di albergo e aveva lavorato. Lavorato. Forse era stato quello il motivo del suo atteggiamento quella sera. Stress da lavoro.
Aveva bisogno di rilassarsi con un paio di orgasmi e glieli avrei dati io. Non fosse che dovevo approcciarmi a lei con la pazienza che faticavo a trovare, perché adesso che ce l’avevo di nuovo di fronte, la volevo. Subito.
Se ne sarebbe accorto qualcuno se me la fossi gettata in spalle e me la fossi portata fuori dal negozio?
Decisamente. Dex James che maneggiava con prepotenza una donna che faceva la spesa avrebbe potuto essere un sogno per i siti di gossip, ma non l’avrei passata liscia con i proprietari delle squadre. O il mio agente. O quello sponsor che stava cercando di comprarmi .
Dovevo fare il bravo. In pubblico. Quando l’avessi avuta da sola, però…
«Ciao, Dex,» esalò lei mentre arrossiva. «Senti, io, um… scusa per come mi sono comportata a Denver. Ero un tantino sopraffatta.»
Per cui era stata distante.
Incurvai un angolo della bocca verso l’alto, dimostrandole che non avesse avuto alcun effetto su di me sebbene morissi dalla voglia di sapere se arrossiva così quando veniva. «È stata una cosa piuttosto spontanea.»
Mi ero presentato alla loro porta di casa, offrendomi di dar loro un passaggio col jet aziendale fino a Denver così che Bridget potesse affrontare Mav e ci eravamo trovati in volo nel giro di un’ora.
Lei annuì. «Bridget è stata turbata tutta la settimana per via di Mav, in più mi ha raccontato di quanto le fosse successo a Boston e-»
«Non lo sapevi?» chiesi io. Farsi cacciare dal MIT per plagio era una cosa grossa. Così come il motivo per cui fosse successo.
Lei si accigliò. «Tu sì?»
Mi grattai una guancia, leggermente a disagio perché la mia risposta probabilmente avrebbe fatto sentire Lindy peggio. Era l’ultima cosa che volessi fare. Non avevo intenzione di mentire, però, per cui dissi, «Mav gliel’ha strappato di bocca la sera prima quando eravamo in un bar.»
«Figuriamoci,» borbottò lei.
«Anch’io me la prenderei se uno dei miei fratelli mi tenesse nascosta una cosa del genere. Voi due sembrate unite.»
Lei annuì. «Lo siamo. Sono più una madre che una sorella. Immagino di averle fatto troppo da madre protettiva per la storia del MIT e Mav che ha fatto lo stronzo.»
Non avevo intenzione di ricordarle che Mav non avesse fatto lo stronzo, però, be’, un po’ l’aveva fatto. Aveva commesso degli errori, ma come si fossero risolti non erano affari miei. O di Lindy, a prescindere da quanto si sentisse protettiva.
«Poi hai dovuto lavorare. Lo capisco.»
«Tutto qui?»
Mi scrutò come a decidere se fossi sincero. Per me, era facile. Si era scusata. Era fatta. Prendevo come una vittoria il fatto che si fosse confidata. Tuttavia, non potevo impedirmi di stuzzicarla un po’.
Mi guardai attorno e indicai. «Potrei piegarti a novanta sopra i kiwi e darti una sculacciata se la cosa ti facesse sentire meglio per essere stata una cattiva ragazza.»
Tre cose accaddero simultaneamente. Spalancò gli occhi, aprì la bocca e arrossì violentemente.
Io mi avvicinai e le sussurrai all’orecchio. «Ti piacerebbe, non è vero?»
A me sicuramente sì, diamine.
Lei si riscosse, come a scrollarsi via di dosso quell’idea.
«Prendi del cibo per la cena?» chiesi io, cambiando argomento più in fretta di un tornado. Non avrei potuto sculacciarla lì a prescindere da quanto a entrambi fosse piaciuta quell’idea, per cui era meglio riportarci su argomenti più consoni ad un negozio di alimentari. Altrimenti, la zucca che avevo nei pantaloni sarebbe diventata palese a tutti i clienti.
Lei annuì e non potei non notare come il suo sguardo cadde sulle mie labbra. Già, mi voleva. E voleva quella sculacciata. O morivo solo dalla voglia di pensarlo? Forse, ma mi consideravo motivato invece che disperato. Concentrato. Determinato. Qualunque fosse il termine, ero così quando si trattava di Lindy.
«Bene. La faremo assieme,» dissi. Non glielo stavo chiedendo.
Lei sbatté le palpebre e mi guardò negli occhi. «Cosa? Noi, a cena? No.»
«È più facile cucinare per due. E poi, rimedierà alla settimana scorsa.» Abbassai lo sguardo nel suo carrello che per il momento conteneva solamente poche cose. Una lattuga, un barattolo di salsa, due pagnotte e-
«Ooh, brownie.» Allungai una mano nel suo carrello verso il contenitore di plastica per vedere se fossero quelli con la ganache sopra. Lei mi schiaffeggiò via.
Mi ritrassi, affatto rammaricato. Eccitato, decisamente.
«Quelli sono per il mio vicino.»
«Un uomo?» Mi accigliai di fronte a quella possibilità.
Lei incurvò un angolo della bocca verso l’alto come se avesse colto il mio tono irascibile. «Sì.»
Fui improvvisamente geloso marcio.
«Stai condividendo i tuoi brownie con altri uomini?» Mi avvicinai di un passo e le toccai di nuovo i capelli. Così da vicino, riuscivo a sentire il suo morbido profumo. «Pensavo che quella dolcezza fosse tutta per me. Mi ferisci, zuccherino.»
Lei spalancò la bocca e sì, cazzo, nemmeno lei stava pensando ai dolciumi confezionati.
Poi roteò gli occhi e cercò di non sorridere. Non ci riuscì. «Il signor VanMeyer ha più di sessant’anni. Forse faccio fatica a trovare dei buoni partiti da queste parti, ma non così tanta.»
Non ero certo se avrei dovuto provare pietà o essere entusiasta per il fatto che non avesse trovato un uomo. Ciò significava che avevo strada libera. Ero abituato ad abbattere gli avversari a destra e a manca per raggiungere il mio obiettivo.
Mi mantenni la mano sul petto. «Io sono un buon partito e sono proprio qui, cazzo.»
«Tu hai vent’anni,» mi ricordò lei, dicendolo come se fosse stato chissà che cosa, tipo hai un herpes fulminante.
Non potevo cambiare la mia età, ma se era quello tutto ciò che le impediva di diventare mia, avrei potuto cavarmela. «So cosa fare con una zucca,» le ricordai, cercando di mantenere un tono leggero. Era ciò che facevo. Rilassavo la gente. Li mettevo a proprio agio.
Lei guardò la pila di verdure e ne afferrò una. Una grossa, tenendola in mezzo a noi e agitandola di qua e di là.
«Spiacente, mi piacciono solo quelle grosse,» ribatté lei, mettendola finalmente nel proprio carrello.
Io non potei fare a meno di ridere. Ottima mossa. Non aveva intenzione di rendermi le cose facili, ma sarebbe stato divertente. Non aveva la minima idea di quanto mi piacesse vincere.
Quando cercò di aggirarmi, io mi spostai per bloccarle il passaggio. Guardai a destra. Guardai a sinistra. Poi mi chinai avvicinandomi così che i suoi capelli mi sfiorassero il naso.
«Zuccherino, ti assicuro che ne ho una che ti piacerebbe moltissimo. Sarà la cosa migliore che ti sia mai messa in bocca.»