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LINDY
Non fu fino a Dex James che cominciai a fare sogni erotici.
Non volevo aprire gli occhi perché quel sogno era troppo bello. Una mano calda sulla mia coscia mi teneva aperta, l’altra mi stringeva un seno. E una bocca… una bocca perversa e talentuosa era posata sulla mia figa.
No, quello non era un sogno. Quello era sesso vero. .
«Mmmmmmmm,» praticamente feci le fusa, dimenandomi dal piacere.
«Buongiorno, zuccherino.»
Quella voce profonda. Roca. Stava succedendo davvero.
Dex James si stava mangiando me per colazione.
Sì. Sì!
«Dio, adoro svegliarmi così,» dissi roteando i fianchi, cercando di aumentare il contatto tra il mio clitoride e la sua bocca. Sebbene Dex non avesse mai troppo bisogno di aiuto nell’unire quelle due cose.
«Io adoro questa figa,» ringhiò lui, poi fece una roba vorticante con la lingua.
Io sorrisi di quell’elogio, chinai la testa e aprii gli occhi per la visuale perfetta. Un avambraccio abbronzato e con le vene in rilievo che portava a delle dita che mi strattonavano il capezzolo sensibile. Dio, un braccio da porno. Più in basso, la testa di Dex tra le mie cosce.
Lui sollevò lo sguardo e penetrò il mio con quegli occhi scuri mentre mi dava una leccata piena.
Io piegai la testa all’indietro, fissando il soffitto . Per un istante, mi ero dimenticata di dove ci trovassimo.
Ah già. Las Vegas. Il torneo di golf. La cena. E poi…
«Dex,» dissi, posando le mani sulla sua testa, intrecciando le dita tra i suoi capelli scuri. Proprio lì. Sì. Proprio. Lì.
«Mmh?» chiese lui, le vibrazioni proprio sul mio clitoride che mi facevano piagnucolare.
Era davvero difficile parlare. E pensare. E farsi scopare con la lingua. «Io… cos’è successo ieri sera?»
Lui sollevò la testa e si ripulì la bocca col dorso della mano. I capelli gli puntavano in tutte le direzioni. Aveva gli occhi carichi di passione, ma assonnati. La sua mascella squadrata era ricoperta da un accenno di barba. «Non te lo ricordi?»
«Non fermarti mentre ci penso,» dissi io, spingendo la sua faccia sotto l’orlo delle lenzuola e nuovamente sulla mia figa.
«Se stai pensando, allora lo sto facendo male,» praticamente ringhiò.
Con quell’affermazione, aggiunse due dita dentro di me all’equazione e mi fece passare dal sentirmi assonnata all’urlare eccitata talmente in fretta da farlo sentire ridicolmente fiero di sé.
Avrebbe dovuto esserlo. Quando le mie grida si tramutarono in gemiti e poi ansiti spezzati, lui mi risalì lungo il corpo, baciando i suoi punti preferiti lungo il tragitto.
«Non mi ricordo come siamo arrivati qui,» dissi con la mente ancora più annebbiata.
«Las Vegas o questa suite?»
Io arricciai le labbra, cercando di riflettere. Era praticamente impossibile dopo ciò che aveva appena fatto. «Dopo cena ieri sera è tutto annebbiato.»
«Um… già. Abbiamo bevuto un sacco.» Si spostò e si lasciò cadere accanto a me. «Ho fatto sì che bevessimo tanta acqua e prendessimo un po’ di analgesici prima di crollare.» Indicò con un cenno del mento il comodino dove si trovavano le bottigliette di plastica vuote. «Come ti senti? Spero tu non abbia i postumi della sbornia.»
Allungò le braccia sopra la testa ed io osservai i suoi muscoli flettersi. Ce l’aveva duro sotto le lenzuola abbassate. Era impossibile non notare quel rigonfiamento.
Lo guardai. E sì, sobbalzò. No, crebbe. E crebbe ancora.
«No. Sto bene,» gli dissi, ma avevo un po’ di mal di testa. Ero distratta.
«Bene. I prepartita sono terminati. Vieni qui, zuccherino.»
Mi attirò a sé per un bacio.
«Gah, pessimo alito mattutino,» dissi io. Mi sentivo i denti impastati. «Sai che devo lavarmi i denti. Questa volta ti risparmio l’alito fetido.»
Lui sogghignò, chiaramente senza alcun problema di alito cattivo. Ma mi assecondava sempre. Perché, una volta sostituita la puzza con una freschezza alla menta, non mi lasciava riprendere fiato fino a quando non eravamo entrambi sfatti e soddisfatti.
Lui rimase lì sdraiato come in un calendario di uomini sexy mentre io correvo in bagno con indosso una camicia da notte azzurra, quella che avevo messo in valigia perché lui la adorava.
Con la porta ben chiusa, decisi che fare la pipì veniva prima del dentifricio perché il mio clitoride non era più insensibile. Dovevo veramente farla. Corsi verso la tazza. Sospirai e chiusi gli occhi con sollievo.
Mi ricordavo della cena con alcuni degli amici di hockey di Dex dopo il torneo di golf. C’era stato anche un giocatore di football. Avevo bevuto cape codder. Poi… nulla. Io non lo facevo mai, perdere i sensi. Dimenticarmi spezzoni di tempo. Nemmeno al college. Avrei dovuto essere grata del fatto che Dex mi avesse fatto bere tanta acqua perché, straordinariamente, a parte il mal di testa che mi stava aumentando, non avevo i postumi della sbornia. Non mi ricordavo nulla, ma non ero sul punto di vomitare.
Allungai una mano verso la carta igienica e mi raggelai. Lì sulla mia mano sinistra c’era un anello. Non un anello qualsiasi, ma uno con un gran bel diamante al centro e una fila di diamanti che faceva tutto il giro del dito. Dio, era bellissimo.
Sbattei le palpebre, poi mossi la mano come se avrebbe potuto svanire se l’avessi scossa abbastanza.
«Ma che cazzo?» gridai.
«Ti piace l’anello, signora James?» esclamò Dex dall’altra stanza.
Signora James?
Conclusi e tirai l’acqua, per poi spalancare la porta.
«Signora James?» praticamente urlai, agitando la mano sinistra di qua e di là.
Dex sorrise mentre sollevava la propria ed io non potei non notare la semplice fede di platino che luccicava alla luce del sole di Las Vegas. La suite aveva delle finestre a parete intera e sembrava che ci fossimo dimenticati di chiudere le tende prima di andare a dormire.
Tra le altre cose. Tipo sposarci.
«Torna a letto, zuccherino. Visto che a quanto pare ci siamo sposati ieri sera, facciamoci la nostra luna di miele.»
Tirò giù le lenzuola, si afferrò la base del cazzo follemente grosso e follemente perfetto e gli diede una forte menata. «Questo è tutto per te. Moglie.»
Porca puttana. Porca puttana. Avevo sposato Dex James.
E non mi ricordavo nulla.