CAPITOLO III-2

2287 Words
Il cane che, a causa dell’età e dell’infermità, si era dimostrato tanto propenso a sonnecchiare, si era alzato, e, uscito dall’ombra proiettata dall’alta persona del padrone, guardava in giro per la prateria quasi l’istinto lo avvertisse della presenza di un altro visitatore; poi, apparentemente soddisfatto dell’esame, tornò al suo comodo posto e adagiò le stanche membra con la posatezza e la cura di chi non è nuovo all’arte della propria conservazione. «Che c’è di nuovo, Hector?», disse il trapper carezzevolmente, abbassando la voce a un cauto bisbiglio. «Che c’è, cane? Di’ tutto al tuo padrone, bestiola mia, che c’è?» Hector si accontentò di rispondere con un altro brontolio, ma senza muoversi. Erano segni questi, a cui un individuo esperto come il trapper non poteva fare orecchie da mercante. Egli parlò di nuovo al cane incoraggiandolo alla vigilanza con un lungo fischio cauto. L’animale, tuttavia, quasi consapevole di aver già fatto il suo dovere, rifiutò ostinatamente di alzare il muso dall’erba. «Un accenno da un amico simile è meglio del consiglio di un uomo!», mormorò il trapper avviandosi lentamente verso i due, troppo immersi e rapiti nella loro conversazione per notare il suo avvicinarsi; «E solo un emigrante presuntuoso potrebbe udirlo e non rispettarlo come dovrebbe. Figlioli», aggiunse quando fu abbastanza vicino da potersi rivolgere ai suoi compagni, «non siamo soli in questi tetri campi; c’è altra gente in giro, e perciò, a vergogna del nostro genere, bisogna dirlo, il pericolo è vicino». «Se uno dei pigri figli di Ishmael va gironzolando fuori del campo stanotte», disse il giovane con grande vivacità e con un tono che poteva facilmente diventare minaccioso, «il suo viaggio potrebbe arrivare alla fine prima di quanto si immaginino lui o suo padre!» «Sulla mia vita, sono tutti presso i carri!», si affrettò a rispondere la ragazza. «Li ho visti tutti addormentati proprio io, tranne i due di sentinella; e sono molto cambiati, se anche loro non stanno sognando una caccia al tacchino o una lite al palazzo di giustizia, in questo momento». «Qualche bestia con un forte odore sarà passata fra il vento e il cane, nonno, e l’ha reso irrequieto: o forse sogna anche lui. Avevo un cucciolo, nel Kentucky, che saltava su in pieno sonno e si buttava a un lungo inseguimento, solo per la fantasia di un sogno. Andate a pizzicargli l’orecchio per riportarlo alla conoscenza». «No, no», replicò il trapper scotendo la testa come chi conosce meglio le caratteristiche del suo cane. «La gioventù dorme, sì, e sogna pure: ma la vecchiaia veglia e vigila. Il fiuto di questa bestiola non sbaglia mai, e una lunga esperienza mi avverte di porre attenzione ai suoi ammonimenti». «Non lo avete portato mai sulla pista delle carogne?» «Be’, devo dire la verità, che le bestie affamate mi hanno tentato qualche volta a lasciarcelo andare, perché sono avide come uomini, dopo la cacciagione, alla sua stagione, ma allora, io capivo quel che il cane voleva. No… no; Hector è un animale che conosce bene le abitudini dell’uomo e non percorrerebbe una pista falsa quando c’è da seguire la buona!» «Ecco la spiegazione. Voi avete condotto il cane sulla traccia di un lupo e il suo naso ha una memoria migliore del suo padrone!», disse il giovane ridendo. «Ho visto questo animale dormire per ore mentre gli passava davanti un branco dopo l’altro. Un lupo potrebbe mangiare nella sua scodella senza udire un ringhio, a meno che non ci fosse scarsità, ché allora Hector saprebbe difendere quello che è suo!» «Ci sono dei giaguari venuti giù dalle montagne; ne ho visto uno, al tramonto, balzare addosso a un cervo malato. Su, su, andate a riprendere il cane e ditegli la verità, nonno; fra un minuto io…» Fu interrotto da un lungo, alto, malinconico ululato del cane, che si alzava nell’aria notturna come il gemito di uno spirito del luogo e si propagava nelle praterie in cadenze che si alzavano e si abbassavano come la loro ondulata superficie. Impressionato, il trapper taceva, ascoltando intento. Perfino lo spensierato cacciatore d’api fu colpito dalla stranezza e dalla malinconia di quei suoni. Poco dopo il vecchio richiamò il cane con un fischio, e volgendosi ai compagni disse con tutta la gravità che secondo lui l’occasione comportava: «Coloro che credono che l’uomo possa sapere tutto quello che sanno le altre creature di Dio, saranno ben delusi se arriveranno come me a più d’ottant’anni. Io non pretendo di saper dire qual pericolo ci minaccia, non posso assicurare che lo sappia nemmeno questo cane: ma che il pericolo sia vicino e che la prudenza ci inviti ad evitarlo, l’ho udito dalla bocca di chi non mente mai. Io credevo che questa bestiola non fosse più avvezza al rumore dei passi umani e che la vostra presenza l’avesse reso inquieto: ma in realtà è tutta la sera che fiuta qualche cosa che viene da lontano, e quello che avevo erroneamente preso come l’annuncio del vostro arrivo prediceva qualcosa di più grave. Se dunque il consiglio di un vecchio è degno di essere ascoltato, figlioli, ve ne andrete in fretta ognuno dalla propria parte in cerca di rifugio e di sicurezza». «Se lascio Ellen in un momento simile…», esclamò il giovane, «che io sia…» «Basta, basta!», lo interruppe la ragazza alzando una mano che per la delicatezza e il candore avrebbe fatto onore a una persona di elevata classe sociale, «Per me è ora, dobbiamo separarci a ogni modo… dunque buona notte, Paul; nonno, buona notte». «Sst», disse il giovane afferrandola per la mano proprio mentre ella stava per correr via. «Sst! Non sentite nulla? Ci sono dei bufali che galoppano non lontano da qui… fanno rimbombare la terra come una truppa di diavoli scatenati!» I suoi compagni ascoltarono protesi con tutte le loro facoltà per cercar di capire il significato di quel rumore strano, specialmente ora che veniva dopo tanti e così impressionanti ammonimenti. I suoni insoliti erano udibili ormai senza ombra di dubbio, benché fievoli ancora. Il giovane e la fanciulla azzardarono varie agitate e zoppicanti congetture sulla natura di essi quando un soffio d’aria notturna portò ai loro orecchi, troppo chiaramente perché il dubbio fosse ancora possibile, un impeto di zoccoli scalpitanti. «Avevo ragione!», gridò il giovane. «Un giaguaro spinge una mandria innanzi a sé, o forse quelle bestie stanno combattendo fra loro». «Le orecchie ti ingannano», disse il vecchio che dal momento in cui aveva potuto afferrare i suoni lontani era rimasto immobile come la statua dell’attenzione, «i balzi sono troppo lunghi per i bufali e troppo regolari per il terrore. Sst! Ora sono in un fondo dove l’erba è alta e il rumore attutito! Sì, eccoli di nuovo sulla terra dura! Ed ora salgono la collina proprio sopra di noi… Saranno qui prima che possiate trovar riparo». «Ellen!», gridò il giovane afferrando la sua compagna per mano, «Tentiamo di correre all’accampamento». «Troppo tardi! Troppo tardi!», esclamò il vecchio. «Sono già in vista, una banda di maledetti Sioux, a quanto sembra dal loro aspetto di ladroni e dal loro sfrenato cavalcare». «Sioux o demoni, noi li accoglieremo da uomini! Dico bene?» Dichiarò il giovane con la fierezza con la quale avrebbe comandato una compagnia di forza superiore e di coraggio pari al suo. «Voi siete armato, e premerete il grilletto in aiuto e in difesa di una ragazza cristiana!» «Giù, giù nell’erba… giù tutti e due», bisbigliò il trapper intimando loro di buttarsi nell’erba che cresceva più alta e più fitta del comune, poco lontano dal punto dove si trovavano. «Non hai né tempo per fuggire, né forze per combattere, sciocco ragazzo! Giù nell’erba, se hai cara quella fanciulla, o se apprezzi il valore della vita!» La sua esortazione, secondata da un’azione pronta ed energica, non mancò di produrre l’obbedienza che la situazione sembrava richiedere imperiosamente. La luna era caduta dietro un velo di leggere nuvole stracciate che orlavano l’orizzonte lasciando tanto della sua incerta luce da rendere visibili gli oggetti, rivelandone la forma e le proporzioni. Esercitando sui compagni l’ascendente dell’esperienza e della risolutezza, il trapper era riuscito a nasconderli nell’erba, e a quella luce fievole scrutava la disordinata compagnia che veniva cavalcando come una schiera di pazzi, direttamente addosso a loro. Un gruppo di esseri che, più che uomini, sembravano demoni, sfrenati nelle loro notturne baldorie per la tetra pianura, si stava infatti avvicinando con velocità paurosa e in direzione tale da lasciare poca speranza che qualcuno almeno dei cavalieri non passasse sul posto dove i tre giacevano nascosti. Di tanto in tanto lo scalpitio degli zoccoli giungeva distinto a loro, portato dal vento notturno; poi, di nuovo, l’avanzare sul folto dell’erba autunnale era rapido e silenzioso, e accresceva l’irrealtà della scena. Il trapper che aveva richiamato il cane ordinandogli di accucciarglisi accanto, stava ora inginocchiato nel nascondiglio, e teneva d’occhio con uno sguardo vigile e acuto la direzione della banda, calmando la paura della ragazza e insieme trattenendo l’impazienza del giovane. «Ce ne sono una trentina, di quei miserabili!», disse, quasi a conclusione dei suoi bisbigliati commenti. «Già, già, avanzano verso il fiume (zitto, cucciolo, zitto). No, vengono di nuovo da questa parte… non sanno nemmeno dove andare, quei ladroni! Se fossimo solamente in sei, giovanotto, che bella imboscata potremmo combinargli, qui in questo punto… È inutile, è inutile, ragazzo mio, sta giù, o ti vedranno la testa… e poi, non so nemmeno se sarebbe giusto, perché non ci hanno fatto niente di male. Piegano di nuovo verso il fiume… No: ecco che vengono su per la collina… questo è il momento di star fermi come se il respiro avesse finito il suo compito e si fosse involato dal corpo». Così dicendo il vecchio si sprofondò nell’erba come se fosse avvenuta per lui la definitiva separazione a cui alludeva, e un attimo dopo una schiera di sfrenati cavalieri passò come un vortice accanto a loro con la silenziosa rapidità di una truppa di spettri. Le brune figure fuggenti si erano già dileguate quando il trapper si avventurò di nuovo ad alzare la testa a livello dell’erbe ricurve, facendo cenno nello stesso tempo ai compagni di rimanere fermi e silenziosi. «Vanno giù per il pendio, verso l’accampamento», continuò in tono guardingo. «No, si fermano al fondo e si raccolgono come cervi, a consiglio. Per Dio, si voltano di nuovo, non l’abbiamo ancora finita, con quei rettili!» Il vecchio si sprofondò di nuovo nel suo ospitale nascondiglio, e un momento dopo la bruna truppa ricompariva cavalcando disordinatamente proprio sulla cima della piccola altura. Ben presto fu chiaro che erano tornati per giovarsi di quell’altura al fine di esaminare l’oscuro orizzonte. Alcuni smontarono mentre altri cavalcavano qua e là come gente occupata on qualche ricerca locale di grande interesse. Fortunatamente per la compagnia nascosta, l’erba fra cui si occultavano non solo serviva da paravento agli occhi dei selvaggi, ma frammettendosi come un ostacolo, impediva che i cavalli, non meno sfrenati e ribelli dei padroni, li calpestassero con i loro balzi violenti e irregolari. Infine un indiano bruno e di aspetto atletico, che per la sua aria piena di autorità sembrava essere il capo, si raccolse intorno i suoi uomini per una consultazione che fu tenuta a cavallo. Il gruppo si era fermato proprio all’orlo del ciuffo d’erba dove si nascondevano il trapper e i suoi compagni. Alzando il capo e visto il feroce aspetto del gruppo, aumentato continuamente dal sopraggiungere di altre figure più allarmanti ancora delle precedenti, il giovane raccolse il fucile accanto a sé per impulso naturale, e cominciò a metterlo in condizione di servire. La donna al suo fianco seppellì il viso fra l’erba, sopraffatta da un sentimento naturale al suo sesso e alle sue abitudini, lasciandolo seguire gli slanci del sangue giovane e ardente; ma il suo vecchio e saggio consigliere gli bisbigliò severamente all’orecchio: «Quei bricconi conoscono benissimo il tac del caricatore, come i soldati lo squillo della tromba! Posa quell’arma… se la luce della luna dovesse toccare la canna non sfuggirebbe a quei demoni che hanno gli occhi più acuti di quelli del serpente nero. Il più piccolo movimento, allora, ci tirerebbe addosso una freccia». Il giovanotto ubbidì in quanto rimase fermo e zitto; ma c’era abbastanza luce perché il vecchio si accorgesse dalla fronte aggrottata e dallo sguardo minaccioso del compagno che, scoperti, la vittoria dei selvaggi non sarebbe stata incruenta. Vedendo disprezzato il suo consiglio, prese le misure in proposito, e si dispose ad aspettare il risultato con una rassegnazione e una calma particolari. Frattanto i Sioux (poiché la sagacia del vecchio non si era ingannata sul genere dei suoi pericolosi vicini) avevano terminato il loro concilio e si erano dispersi di nuovo lungo la cresta dell’altura quasi in cerca di qualche cosa di nascosto. «Questi diavoli hanno udito il cane!», bisbigliò il trapper. «Hanno l’orecchio troppo acuto per essere ingannati dalla distanza. Sta giù, ragazzo, sta giù; giù con la testa a terra, come il cane che dorme». «In piedi, invece, da uomini, e contiamo sulle nostre forze», ribatté il suo impaziente compagno. E lo avrebbe fatto: ma sentendosi posare rudemente una mano su una spalla, guardò su e vide il viso bruno e feroce di un indiano che lo fissava trionfante. Nonostante la sorpresa e lo svantaggio della sua posizione, il giovane non era disposto a darsi prigioniero tanto facilmente. Più rapido del lampo del suo fucile balzò in piedi e prese per la gola il nemico con una forza che avrebbe deciso la questione, se non si fosse sentito intorno alla vita le braccia del trapper che gli impedivaano i movimenti con una forza di poco inferiore alla sua. Prima che avesse tempo di rimproverare il vecchio per l’apparente tradimento, una dozzina di Sioux li circondava ed essi furono costretti ad arrendersi. 9 Nome familiare per l’orso bruno.
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