CAPITOLO III-1

2074 Words
CAPITOLOIIIVia, via, tu sei ardente come un Jack nel tuo stato d’animo, come tutti in Italia, altrettanto pronto al corruccio quanto corrucciato d’esserti lasciato trascinare. Shakespeare: Romeo e Giulietta «Questo è un uomo», disse, «e un uomo che ha sangue bianco nelle vene, o il suo passo sarebbe più leggero. Sarà bene prepararsi al peggio, perché i meticci che si incontrano in queste lontane regioni sono assai più barbari del vero e proprio selvaggio». Così parlando alzò la carabina e si assicurò dello stato della pietra focaia come pure dell’innesco, saggiandolo con la mano; ma quando stava per puntare l’arma, il braccio gli fu arrestato dalle mani ansiose e tremanti della sua compagna. «Per amor di Dio, non siate così precipitoso», disse ella. «Può essere un amico… una conoscenza… un vicino». «Un amico!», ripeté il vecchio sciogliendosi frattanto da quella stretta. «Gli amici sono rari in tutti i paesi, e più ancora in questo, forse, che in altri; i dintorni sono troppo spopolati perché colui che ci viene incontro possa essere almeno un conoscente». «Ma se anche fosse uno straniero, non vorrete mica versare il suo sangue!» Il vecchio guardò gravemente il volto ansioso e spaventato della ragazza, poi lasciò ricadere a terra il calcio del fucile, quasi che i suoi pensieri avessero subito un improvviso cambiamento. «No», disse, parlando più a se stesso che alla sua compagna, «ella ha ragione; non è giusto che si sparga sangue per salvare la vita di un essere così inutile, così vicino alla sua fine. Venga avanti costui: le mie pellicce, le mie trappole e perfino la mia carabina, tutto sarà suo se gli sembrerà conveniente di chiederlo». «Non chiederà nulla… non vuole nulla!», ribatté la ragazza. «Se è un uomo onesto si accontenterà certo di quello che ha e non chiederà niente di ciò che appartiene ad un altro». Il trapper non ebbe tempo di esprimere la sua sorpresa per quel discorso incoerente e contraddittorio, perché l’uomo che si avanzava era già a una quindicina di metri da loro. Frattanto, Hector non era stato un testimone indifferente di quello che succedeva. Al rumore dei passi lontani si era risollevato dal suo caldo letto a piè del padrone, e ora, poiché lo straniero appariva in piena vista, avanzava lentamente incontro a lui strisciando al suolo come una pantera pronta a scattare. «Chiamate il vostro cane», disse una voce maschile ferma e profonda, ma in tono amichevole anziché minaccioso. «Mi piacciono i cani e non vorrei fargli del male». «Hai sentito che ti dice, bestiola? Vieni qui, sciocchino», rispose il trapper. «Non gli rimane più che ringhiare e abbaiare», continuò, «venite pure avanti, amico: questo cane non ha più denti». Lo sconosciuto approfittò dell’informazione, balzò avanti ansiosamente e un momento dopo stava a fianco di Ellen Wade. Dopo essersi assicurato con un’occhiata rapida e penetrante dell’identità della ragazza, si voltò, con una vivacità e un’impazienza che denotavano il suo vivo interesse nel risultato, per fare un simile esame del compagno di lei. «Siete piovuto dal cielo, buon vecchio?», chiese con una noncuranza troppo disinvolta per non essere naturale. «O forse vivete da queste parti nelle praterie?» «Io sono stato a lungo sulla terra e mai, lo spero, così vicino al cielo come lo sono in questo momento», ribatté il trapper; «la mia dimora, se si può dire che io ne abbia una, non è lontana da qui. Ora, posso prendermi con voi la libertà che siete così pronto a prendervi con gli altri? Da dove venite e dove abitate?» «Piano, piano: quando avrò finito il mio interrogatorio potrete cominciare il vostro. Che razza di caccia state facendo, a lume di luna? Non intenderete inseguire i bufali, a quest’ora!» «Come vedete, sto andando da un accampamento di viaggiatori, che sorge oltre quella ondulazione laggiù, al mio wigwam; ciò facendo non faccio male a nessuno». «Perfettamente. E avete scelto questa ragazza per indicarvi la strada, perché lei la sa così bene!» «L’ho incontrata come voi, per caso. Per dieci lunghi anni ho dimorato in queste aperte pianure e mai, prima di stanotte, ho visto in giro uomini di pelle bianca a quest’ora. Se la mia presenza qui è di troppo, me ne duole e me ne andrò per la mia strada; ma può darsi che quando la vostra giovane amica vi avrà raccontato la sua storia, sarete più incline a credere alla mia». «Amica!», disse il giovane sollevando il berretto di pelliccia e passandosi tranquillamente le dita in una densa massa di arruffati riccioli neri. «Se ho mai posto gli occhi su questa fanciulla prima di stanotte, ch’io possa…» «Basta così, Paul», lo interruppe la giovane donna, mettendogli la mano sulla bocca con una familiarità che smentiva da sola quella dichiarazione. «Il nostro segreto è al sicuro con questo onesto vecchio. Lo capisco dal suo sorriso e dalle sue buone parole». «Il nostro segreto! Ellen, hai dimenticato…» «Nulla. Non ho dimenticato nulla di quello che devo ricordare. E pure ripeto che siamo sicuri con questo buon trapper». «Trapper! È un trapper? Qua la mano, nonno: i nostri mestieri devono farci fare amicizia». «C’è poca richiesta di lavoro in questa regione», ribatté l’altro esaminando l’atletica e svelta figura del giovane che si appoggiava al fucile con una noncuranza non priva di grazia; «l’arte di prendere le creature di Dio con trappole, reti e laccioli, richiede più astuzia che forza, ed io sono costretto a praticarla, alla mia età! Ma per uno come voi, sarebbe più conveniente intraprendere un’occupazione meglio adatta alla giovinezza e al coraggio». «Io! Io non ho preso mai in gabbia nemmeno un visone furtivo o uno sguazzante topo muschiato; benché ammetta che qualche volta, invece di mitragliare qualcuno di quei demoni dalla pelle nera, avrei fatto molto meglio a tenermi la polvere nel corno e i pallini nel borsotto. No, caro il mio vecchio, non mi interesso di quello che striscia sulla terra». «Allora, amico, come ti guadagni da vivere? Perché c’è poco da raggranellare in queste regioni per chi si nega il legale diritto che ha l’uomo sulle bestie dei campi». «Io non mi nego niente. Se un orso attraversa la mia strada, in quattro e quattr’otto diventa lo spettro di Bruin9. Il cervo già comincia a fiutare il mio odore, e quanto al bufalo, io ho ammazzato più vaccina, vecchio straniero, del più grosso macellaio di tutto il Kentucky». «Dunque sai sparare!», gridò il vecchio cacciatore mentre un lampo gli si accendeva negli occhi. «È salda la tua mano e pronto il tuo sguardo?» «L’una è come una trappola d’acciaio e l’altro più acuto di un pallino da caccia. Vorrei che adesso fosse pieno mezzogiorno, nonno, e che passasse sulle nostre teste una di quelle file di cigni bianchi o di anatre nere che vanno verso il Sud, e che voi o Ellen qui presente vi incapricciaste del più bello dello stormo: scommetto la testa contro un corno di polvere che cinque minuti dopo l’uccello penderebbe a testa in giù, e per di più, dopo una palla sola. Non so che farmene di una carabina. Nessuno al mondo potrà dire di avermene mai visto portare una, se non come un bastone». «C’è del buono in questo ragazzo! Lo vedo chiaramente dalle sue maniere», disse il trapper volgendosi a Ellen con aria incoraggiante. «Mi prendo la responsabilità di dire che non fai male a incontrarti con lui. Dimmi, giovanotto: hai colpito mai in mezzo alle antere un cervo che saltava? Hector, buono, cucciolo, buono (gli basta sentir nominare la cacciagione per sentirsi muovere il sangue, a questo cane). Non hai preso mai un animale a questo modo, mentre salta?» «Tanto varrebbe che mi domandaste: hai mangiato mai? Non c’è modo in cui un cervo non sia stato colpito dalla mia mano, tranne che addormentato». «Bene, bene; tu hai dinanzi a te una vita lunga e felice e, sì, onesta! Io sono vecchio e, credo di doverlo aggiungere, finito e inutile; ma se mi fosse concesso di scegliere il tempo e il luogo a cui tornare (e sono cose che non possono esser lasciate al volere dell’uomo…), se questo dono mi fosse mai concesso, direi: vent’anni e le solitudini! Ma dimmi: come collochi le pellicce?» «Le pellicce! Non ho mai tolto la pelle a un cervo o una piuma a un’oca in vita mia! Sparo di tanto in tanto per procurarmi un pasto e magari qualche volta per tenermi in esercizio; ma quando ho saziato la fame, lascio i resti ai lupi della prateria. No, no, mi tengo al mio mestiere che mi rende più di tutte le pellicce che potrei vendere dall’altra parte del gran fiume». Il vecchio sembrò meditare un poco: poi scotendo il capo, riprese: «So di una cosa sola che potrebbe essere redditizia qui…» Fu interrotto dal giovane che gli alzò davanti agli occhi una piccola tazza di latta che gli pendeva dal collo, facendone scattare il coperchio, e il delizioso odore del miele più profumato gli invase le narici. «Un cacciatore d’api!», esclamò prontamente, benché non senza qualche sorpresa che un giovane così vivace e intelligente si fosse dato a un lavoro così modesto. «Rende bene alla periferia delle colonie, ma direi che sia un mestiere piuttosto incerto nelle regioni più aperte». «Voi credete che manchino alberi dove lo sciame possa stabilirsi a colonizzare? Ma io la so più lunga. Per questo mi sono spinto parecchie centinaia di miglia più a Occidente del solito, per gustare il vostro miele. E ora che ho saziato la vostra curiosità, straniero, fatemi il piacere di farvi un po’ più in là, mentre io racconto a questa giovane donna il resto della mia storia». «Non è necessario, sono certa che non è necessario che ci lasci», disse rapidamente Ellen avvertendo la singolarità se non la improprietà della richiesta. «Quello che devi dirmi tutti lo possono udire». «Ah sì? Be’, che io sia punto a morte dai fuchi se capisco il ronzio di un cervello femminile! Per parte mia, Ellen, non m’importa di niente e di nessuno; e sono pronto adesso, come lo sarò fra un anno, ad andare là dove tuo zio (se così puoi chiamare uno che, lo giuro, non ha nessuna parentela con te) ha impastoiato i suoi cavalli, per spifferargli come la penso. Non hai che da dire una parola, ed è cosa fatta; la prenda pure come vuole». «Tu sei sempre così impetuoso e avventato, Paul Hover, che non so mai quando posso ritenermi sicura con te. Come puoi parlare di presentarti a mio zio e ai suoi figli, sapendo quanto è pericoloso farci vedere insieme?» «Ha fatto qualcosa di cui ha motivo di vergognarsi?», chiese il trapper che non si era allontanato di un pollice. «No, per amor di Dio! Ma ci sono ragioni per cui non deve farsi vedere per adesso; ragioni che non lo danneggerebbero, ma che non devono sapersi ancora. Perciò, nonno, se volete aspettare sotto quel salice laggiù finché non ho ascoltato quello che Paul può avermi da dire, verrò ad augurarvi la buona notte prima di tornare all’accampamento». Il vecchio si fece lentamente in disparte, quasi soddisfatto dell’incoerente scusa offertagli da Ellen perché si ritirasse. Quando fu abbastanza lontano da non poter udire il concitato dialogo che subito cominciò fra i due, si fermò e aspettò con pazienza il momento di rinnovare la conversazione con quegli esseri verso i quali provava un crescente interesse, non tanto per il carattere misterioso della loro relazione, quanto per una naturale simpatia verso una coppia così giovane, e, come nella semplicità del suo cuore egli era disposto a credere, così meritevole. Lo seguiva il suo cane pigro ma fedele, che tornò ad accucciarglisi ai piedi, e poco dopo sonnecchiava come al solito con la testa affondata nella folta erba della prateria. Era uno spettacolo così insolito, quello della figura umana nella solitudine in cui dimorava, che il trapper posò gli occhi sulle confuse figure dei suoi nuovi conoscenti, invaso da sensazioni che da tempo gli erano estranee. La loro presenza svegliava ricordi ed emozioni che la sua natura vigorosa e onesta aveva ultimamente ben poco accarezzato, e i suoi pensieri cominciavano a errare sui numerosi episodi di una vita di durezze e di fatiche che tuttavia non era stata priva di violenti e singolari piaceri. Il corso preso dai suoi pensieri lo aveva già condotto con l’immaginazione ben lontano in un mondo irreale, quando fu richiamato alla realtà della situazione, anche questa volta all’improvviso, dai movimenti del suo fedele segugio.
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