CAPITOLO II-1

2003 Words
CAPITOLO IIAlzate la mia tenda: qui riposerò stanotte. Ma dove, domani? Ebbene, che importa! Shakespeare: Riccardo III Ben presto i viaggiatori riconobbero dai noti infallibili segni che quanto cercavano non era più molto lontano. Un ruscello limpido e gorgogliante sgorgava dal fianco del pendio e unendo le sue acque a quelle di altre simili fontanelle in vicinanza, formava con esse un corso d’acqua, facilmente distinguibile per parecchie miglia nella prateria dallo sparso fogliame e dalla verdura che cresceva qua e là sotto l’influenza dell’umidità. Là dunque si indirizzò lo straniero, volonterosamente seguito dai cavalli cui l’istinto dava un presentimento di ristoro e di riposo. Giunto a quello che reputava il posto più adatto, il vecchio si fermò e con uno sguardo interrogativo sembrò domandare se possedeva le comodità necessarie. Il capo degli emigranti girò intorno uno sguardo da conoscitore, ed esaminò il luogo con la penetrazione di chi è competente a giudicare in una così delicata questione, pur con quella sua maniera pesante e pigra che ben di rado gli permetteva di tradire la precipitazione. «Be’, può andare», disse poi, soddisfatto dell’esame, «ragazzi, avete visto che il sole è tramontato, sbrigatevi». I giovani rivelarono un curioso tipo di obbedienza. L’ordine, perché tale era per il tono e la maniera, fu, è vero, accolto con rispetto, ma tutto si limitò a lasciar cadere dalla spalla a terra due o tre asce, mentre i loro proprietari continuavano a girare intorno uno sguardo sbadato e senza curiosità. Frattanto il vecchio viaggiatore, quasi come familiare alla natura degli impulsi da cui i figli erano governati, si alleggerì del sacco e del fucile, e aiutato dall’individuo che si era rivelato disposto a ricorrere con tanta sveltezza al fucile, procedette con tutta tranquillità a staccare i cavalli. Finalmente il maggiore dei figli fece pesantemente qualche passo avanti e, senza sforzo apparente, immerse l’ascia fino al manico nel soffice tronco di un albero di cotone. Sostò per un momento, a guardare l’effetto del colpo con quella specie di disprezzo con cui si suppone che un gigante possa contemplare la meschina resistenza di un nano, poi brandendo l’utensile sulla testa con la grazia e la destrezza con cui un maestro dell’arte dell’offesa avrebbe maneggiato la sua arma più nobile, se pur meno utile, recise rapidamente il tronco dell’albero portandone l’alta vetta a scrosciare per terra in segno d’ubbidienza alla sua abilità. I suoi compagni seguirono l’operazione con indolente curiosità finché videro a terra il tronco abbattuto, e, quasi fosse quello il segnale dell’attacco generale, si misero tutti insieme al lavoro, e con una rapidità e una abilità che avrebbero stupito uno spettatore ignorante spogliarono uno spazio piccolo ma conveniente con tanta efficacia e quasi con la stessa rapidità di un ciclone che fosse passato sul luogo. Lo straniero aveva osservato in silenzio ma con viva attenzione i loro progressi. Poiché un albero dopo l’altro precipitava scrosciando, alzò gli occhi al vuoto che avevano lasciato in cielo con uno sguardo malinconico e si voltò borbottando fra sé con un amaro sorriso, come di chi sdegna di dare più udibile espressione al suo malcontento. Passando oltre il gruppo dei giovani affaccendati che avevano già acceso un bel fuoco, fissò poi la sua attenzione sui movimenti del capo degli emigranti e del suo torvo assistente. Questi due avevano già liberato il bestiame che stava brucando avidamente le gradite e nutrienti estremità degli alberi caduti, e ora si davano da fare intorno al carro, che celava con tanta cura il suo contenuto. Benché questo particolare veicolo fosse silenzioso come gli altri, gli uomini fecero forza contro le ruote e lo spinsero in disparte in un angolo asciutto e sopraelevato, vicino all’orlo del boschetto. Ivi recarono certi pali che, a quanto pareva, erano impiegati da tempo in questo servizio, e dopo averne fissato saldamente nel suolo l’estremità più grossa, infilarono la più piccola ai cerchi che reggevano la copertura del carro. Grandi teli da tenda furono poi cavati fuori, e dopo essere stati stesi sul tutto furono incavicchiati a terra in modo da formare una tenda abbastanza comoda e spaziosa. Dopo aver esaminato l’opera loro con occhi inquisitori e magari magari un pochino gelosi, qua accomodando una piega, là fissando più saldamente un paletto, gli uomini si attaccarono con forza al carro tirandolo per il timone, dal centro del baldacchino, finché non comparve all’aperto, spogliato della sua copertura e privo di ogni altro carico, tranne alcuni leggeri pezzi di mobilia. Questi furono subito trasportati nella tenda dal viaggiatore stesso, quasi che entrarvi fosse un privilegio a cui nemmeno il suo fidato amico avesse diritto. La curiosità è un vizio che la solitudine e la reclusione tendono ad attizzare anziché spegnere, e il vecchio abitante delle praterie non poteva guardare quei misteriosi movimenti precauzionali senza provarne le fitte. Si avvicinò alla tenda e stava per schiudere due teli con l’evidente intenzione di esaminare più da vicino la natura del suo contenuto, quando l’uomo che già una volta aveva messo la sua vita in pericolo, l’afferrò per un braccio e lo strappò rozzamente da lì. «C’è un detto onesto e qualche volta salutare», osservò l’individuo con fare asciutto, ma con gli occhi eloquentemente minacciosi, «che dice: occupati dei fatti tuoi». «È raro che gli uomini portino qualche cosa da nascondere in questi deserti», ribatté il vecchio, quasi desideroso di scusarsi della libertà che si era preso, «e non volevo offendervi esaminando la vostra sistemazione». «Di rado ne portano, e di rado ci vengono, mi pare: benché questa dovrebbe essere una terra vecchia, all’occhio mio non sembra molto popolata». «Questa terra è vecchia come il resto delle opere del Signore, credo; ma dite il vero, per quel che riguarda gli abitanti. Molti mesi sono trascorsi da quando ho posto gli occhi su un viso del mio colore prima del vostro. Vi ripeto, amico, non intendevo nulla di male: non so, pensavo che in quella tenda ci fosse qualche cosa che potesse riportarmi alla mente giorni passati». Finita questa semplice spiegazione, lo straniero si allontanò docilmente come chi riconosce il diritto che ognuno ha di godersi in pace quello che è suo senza noiose ingerenze da parte dei suoi vicini: sano e giusto principio che, probabilmente, doveva anch’esso alla sua vita segregata. Passando davanti al piccolo accampamento degli emigranti, perché tale ormai il luogo era divenuto, udì la voce del capo chiamare forte con aspro accento il nome di… «Ellen Wade». La ragazza, che abbiamo già presentata al lettore e che era occupata con le compagne intorno ai fuochi, balzò pronta al richiamo, e passando dinanzi allo straniero con la sveltezza di una giovane antilope scomparve immediatamente dietro le pieghe della tenda proibita. Non sembrava, del resto, che la sua improvvisa scomparsa, o qualcuna delle descritte sistemazioni, avessero eccitato la minima sorpresa fra il resto della compagnia. I giovani che avevano già finito il loro compito con l’ascia, erano tutti occupati, nella loro maniera tarda e sbadata, alcuni a dividere eque porzioni di foraggio fra i vari animali; altri a menare il pesante pestello di mortaio da hommany portabile5; e uno o due a trasportare i carri e a sistemarli in modo da formare una specie di fortificazione intorno al loro indifeso bivacco. Quei vari doveri erano stati eseguiti, e poiché ormai il buio cominciava a nascondere gli oggetti nella circostante prateria, la stridula bisbetica, la cui voce, dal momento della sosta, si era diligentemente prodigata fra i pigri e sonnacchiosi rampolli, annunciò, in toni che potevano essere uditi a una notevole distanza, che il pasto serale aspettava soltanto l’avvicinarsi di chi intendeva consumarlo. Quali che possano essere le qualità di un uomo di frontiera, di rado gli manca la virtù dell’ospitalità. Non appena ebbe udito lo stizzoso appello di sua moglie l’emigrante girò gli occhi intorno in cerca dello straniero, per offrirgli il posto d’onore nel modesto trattenimento a cui erano stati convitati con sì poche cerimonie. «Grazie, amico», replicò il vecchio al rozzo invito a sedersi accanto alla pentola fumante, «grazie di cuore; ma per oggi ho già mangiato, e non sono di quelli che si scavano la tomba coi denti. Però, se proprio lo desiderate, prenderò posto, perché da molto tempo non ho più visto gente del mio colore mangiare il suo pane quotidiano». «Siete un vecchio colono del posto, allora», chiese o meglio osservò l’emigrante, con la bocca piena da scoppiare del delizioso hommany preparato dalla sua esperta se pur sgraziata consorte. «Ci hanno detto, laggiù, che avremmo trovato ben pochi coloni da queste parti, e devo dire che l’informazione era giusta; perché, se non contiamo i mercanti canadesi sul Grande Fiume, siete voi il primo viso bianco che ho incontrato per cinquecento miglia buone: cioè secondo i vostri stessi calcoli». «Benché abbia trascorso alcuni anni in questa zona non si può dire che io sia un colono, visto che non ho dimora fissa, e che di rado passo più di un mese nella stessa parte». «Cacciatore, scommetto?», continuò l’altro gettando un’occhiata di sbieco alla sua nuova conoscenza; «Il vostro equipaggiamento non sembra dei migliori per questa professione». «Tutto è vecchio ormai, e da mettere a riposo come il padrone», rispose il vecchio contemplando la sua carabina con uno sguardo in cui erano stranamente fusi affetto e rimpianto, «e posso anche dire che sono ben poco necessari. Sbagliate, amico, a chiamarmi cacciatore: io non sono niente di meglio che un trapper6». «Se siete l’una cosa, oso dire che siete anche l’altra, perché in questi distretti le due professioni vanno molto insieme». «Vergogna per l’uomo che è capace di maneggiare un’arma e che ricorre alle trappole!», ribatté il trapper, che in avvenire designeremo col nome della sua professione; «Per più di cinquant’anni ho portato il mio fucile nelle solitudini della foresta, nelle praterie, senza mettere un lacciuolo nemmeno per uno solo degli uccelli che volano in cielo; tanto meno per una bestia che non avesse altro che le gambe, in nome del guadagno!» «Io non ci vedo gran differenza se uno si procura delle pelli col fucile o con la trappola», disse il brutto compagno dell’emigrante, con la sua solita rozzezza, «la terra è stata fatta per comodo nostro, e perciò anche i suoi animali». «Sembra che abbiate ben poco bottino, straniero, per uno che viaggia così lontano», lo interruppe rudemente l’emigrante, quasi avesse le sue ragioni per cambiare conversazione; «spero che siate in migliori condizioni quanto a pellicce». «Poco mi servo dell’una cosa e dell’altra», rispose tranquillamente il cacciatore; «all’età mia, cibo e vestiario, ecco tutto quello che cerco, e poco mi serve quello che voi chiamate bottino7, se non per barattarlo di tanto in tanto, con un corno di polvere o una sbarra di piombo». «Voi non siete nato da queste parti, allora, amico», continuò l’emigrante alludendo all’obbiezione fatta dall’altro alla parola equivoca che egli stesso, secondo l’uso del paese, aveva usato al posto di bagagli o effetti personali. «Io sono nato sulle rive del mare, benché gran parte della mia vita sia trascorsa nelle foreste». Tutta la compagnia ora lo guardava a occhi spalancati, come si è soliti guardare qualche strano oggetto di interesse generale. Uno o due dei giovani ripeterono le parole: «…sulla riva del mare…»; e la donna degnò il suo ospite di una di quelle rozze cortesie con cui era poco avvezza ad aggraziare la sua ospitalità, quasi per deferenza verso la dignità di un così grande viaggiatore. Dopo un lungo e apparentemente pensoso silenzio, l’emigrante, che frattanto non aveva visto la necessità di sospendere le funzioni della sua capacità masticatoria, riprese il discorso. «È lunga la strada, come ho udito dire, dalle acque dell’Occidente alle rive del mare principale?» «È una strada lunga davvero, amico: e molte cose ho visto e qualche cosa ho sofferto, viaggiando per essa». «Se ne vedono di cose, facendo un viaggio così lungo!» «Settantacinque anni sono stato in cammino, e non c’è quasi lega, dopo aver lasciato l’Hudson, in cui io non abbia consumato cacciagione uccisa da me. Ma vantarsi è inutile. A che servono le imprese passate quando il tempo giunge alla fine?»
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