CAPITOLO ITi prego, pastore, se amicizia o denaro
Possono acquistare un riparo in questo luogo deserto,
Guidaci dove potremo sfamarci e riposare.
Shakespeare: Come vi piace
Molto è stato detto e scritto, a suo tempo, circa l’opportunità di aggiungere le vaste regioni della Louisiana ai già immensi ma quasi spopolati territori degli Stati Uniti. Tuttavia, quando il calore della controversia si fu placato e le considerazioni di parte dettero luogo a un punto di vista più liberale, si cominciò ad ammettere generalmente la saggezza di quella decisione. Ben presto fu chiaro anche alle menti più ristrette che, se la natura aveva posto un deserto come barriera all’espansione delle nostre popolazioni verso ovest, la decisione presa ci aveva resi padroni di una fascia di terra fertile che in quel periodo di continue rivoluzioni avrebbe potuto diventare proprietà di una nazione rivale. Essa ci permetteva di dominare in pieno le grandi vie del traffico interno e poneva interamente sotto il nostro controllo le innumerevoli tribù selvagge sparse lungo i confini; riconciliava diritti contrastanti e calmava diffidenze nazionali; apriva migliaia di strade per il traffico interno e per lo sbocco al Pacifico; e se mai il tempo o la necessità richiederanno una divisione pacifica di questo vasto impero, ci assicurerà un vicino che abbia la nostra lingua, la nostra religione, le nostre istituzioni e, speriamolo, il nostro senso di giustizia politica.
Benché l’acquisto fosse stato compiuto nel 1803, si era iniziata la primavera dell’anno seguente prima che la prudenza burocratica dello spagnolo che reggeva la provincia per il suo padrone europeo ammettesse non solo il possesso, ma perfino l’ingresso dei nuovi proprietari. Non di meno, le modalità del trasferimento erano appena terminate e il nuovo governo riconosciuto, che già torme di quella gente irrequieta che si aggira di continuo ai margini della società americana, si riversavano nelle macchie che bordano la sponda destra del Mississippi con la stessa noncurante indifferenza alle fatiche, alle privazioni, ai pericoli che avevano sostenuto tanti di loro nell’ardua avanzata dagli Stati atlantici verso le sponde orientali del “Padre dei fiumi”1.
Ci volle del tempo perché i numerosi coloni che affluivano dalla parte inferiore della provincia si amalgamassero coi nuovi compatrioti; ma la popolazione locale, più scarsa e più umile, fu inghiottita quasi immediatamente dal vortice che accompagnava la marea di quell’improvvisa emigrazione. L’irruzione da Oriente fu un nuovo e improvviso prorompere di un popolo che, imbaldanzito dai successi che lo avevano reso pressoché irresistibile, mal sopportava la momentanea restrizione. Quando quelle regioni immense e inesplorate, con tutti i loro vantaggi reali ed immaginari, si spalancarono al suo spirito d’iniziativa e d’avventura, tutte le fatiche e i rischi di precedenti imprese vennero dimenticati. Le conseguenze furono quelle che è facile immaginare data una offerta così allettante, posta quasi a portata di mano di una razza da tempo allenata alle avventure e indurita nelle difficoltà.
Migliaia di padri di famiglia, di quelli che erano chiamati allora i nuovi Stati2, abbandonavano il godimento degli agi conquistati con tanta fatica, e guidavano lunghe file di discendenti, nati e cresciuti nelle foreste dell’Ohio e del Kentucky, sempre più addentro nella regione, in cerca di quella che potrebbe dirsi, senza incorrere in una immagine poetica, la loro atmosfera naturale e più conforme. Faceva parte di quel numero il famoso e valoroso forestale che per primo era penetrato nelle selvagge solitudini del Kentucky. Fu visto allora quell’avventuroso e venerando patriarca compiere la sua ultima emigrazione, mettendo “il fiume senza fine” tra sé e la folla che il suo stesso successo gli aveva trascinato intorno, e cercando il rinnovarsi di quei godimenti che, intralciati dagli impacci delle istituzioni umane, avevano perso ogni pregio agli occhi suoi3.
Nel perseguire simili avventure gli uomini generalmente sono guidati dalle loro abitudini o illusi dai loro sogni. Alcuni, spinti dai fantasmi della speranza e ambiziosi di improvvise ricchezze, cercavano le miniere di quella terra vergine; ma la massima parte degli emigranti si riteneva soddisfatta di stabilirsi nelle vicinanze dei grandi corsi d’acqua, contentandosi dei ricchi guadagni che i generosi terreni alluvionali non mancano mai di concedere al lavoro anche più saltuario e irregolare. In tal modo le comunità sorgevano con magica rapidità; e molti di coloro che furono testimoni dell’acquisto di un impero deserto, hanno vissuto abbastanza per vederlo diventare uno Stato popoloso e sovrano, accolto nel seno dell’Unione nazionale in termini di uguaglianza politica.
Le avventure e gli episodi connessi alla storia che racconteremo ebbero luogo nei primissimi tempi delle imprese che hanno portato a sì grandi e rapidi cambiamenti, anzi proprio nel primo anno del nostro possesso.
La mietitura era da tempo finita e il fogliame appassito dei pochi alberi sparsi qua e là cominciava già a presentare le sfumature e le tinte dell’autunno, quando una fila di carri emerse dal letto di un torrente prosciugato per continuare il suo cammino attraverso l’ondulata distesa di quella che, nella lingua del paese di cui scriviamo, è chiamata una rolling prairie4. I veicoli, carichi di utensili domestici e di strumenti agricoli, i pochi e sparpagliati capi di pecore e di buoi che formavano la retroguardia, e il rozzo aspetto e il comportamento svogliato dei vigorosi uomini che camminavano a fianco dei loro lenti animali, tutto cooperava a rivelare un gruppo di emigranti avviati verso l’Eldorado dell’Ovest. Ma contrariamente all’abitudine degli uomini della sua classe, questa comitiva aveva lasciato le fertili terre del paese basso, e con mezzi noti soltanto a simili avventurieri si era aperta la strada attraverso vallette e torrenti, paludi profonde e aride solitudini fino a un punto insolitamente lontano da qualunque abitazione civile. Dinanzi ai viaggiatori si aprivano quelle immense pianure distese con sì monotona uniformità di aspetti fino alla base delle Montagne Rocciose; e, molte lunghe e squallide miglia dietro di loro, spumeggiavano le rapide e torbide acque del La Piatte.
La presenza di una gente simile in quel luogo triste e solitario era resa più notevole dal fatto che il paese circostante offriva così poco di tentatore alla cupidigia dello speculatore e, se possibile, ancor meno che potesse lusingare le speranze di un ordinario colonizzatore di terre nuove.
La magra erba della prateria non prometteva nulla a favore di quel suolo duro e compatto su cui le ruote dei veicoli stridevano come su una strada battuta; né i carri né le bestie vi lasciavano una impronta profonda e si limitavano a rigare quell’erba secca e striminzita che il bestiame brucava di tanto in tanto, ma più spesso rifiutava; cibo tanto aspro che nemmeno la fame poteva renderlo gradito.
Quale che fosse la meta ultima di quegli avventurieri o la segreta ragione della loro presenza in un luogo così remoto e in una situazione tanto precaria, è certo che nessuno di loro dava segno di incertezza o di preoccupazione. Fra tutti, si trattava di una ventina di persone di ambo i sessi e di varie età.
A qualche distanza, davanti agli altri, camminava l’individuo che dalla posizione e dall’aspetto sembrava il capo della banda. Era un uomo alto e abbronzato, d’età più che matura, d’aspetto ottuso e svogliato. La sua corporatura sembrava dinoccolata e cascante, ma era gigantesca e, in realtà, di una forza prodigiosa. Capitava, benché solo a momenti, come quando qualche leggero impedimento si opponeva al suo sbadato avanzare, che la sua persona, la quale nel passo ordinario sembrava sfiaccolata e tarda, rivelasse improvvisamente le sue latenti energie, come avviene della greve, sonnacchiosa, ma terribile forza dell’elefante. La parte bassa del suo viso era volgare, prognante e inespressiva; mentre la superiore, ossia quelle parti più nobili che si ritiene rivelino l’essere intellettuale, era bassa, sfuggente e meschina.
L’abbigliamento di questo individuo era un misto di grossolani indumenti contadineschi e di quegli articoli di cuoio che la moda e la comodità hanno reso in un certo modo necessari per una impresa di quel genere. Si notava, tuttavia, un singolare sfoggio di ornamenti copiosi e fuori luogo, mescolati a quell’eterogeneo costume. Invece della solita cintura di pelle di daino, portava intorno alla vita una sudicia fusciacca di seta a vistosi colori; il manico di corno del suo coltello era profusa- mente decorato di placchette d’argento; la pelliccia di martora del berretto, di una finezza e di una sfumatura da far invidia a una regina; gli scintillanti bottoni del rozzo e macchiato giubbone erano di conio messicano; il calcio del fucile, di mogano bellissimo, ornato di chiodi e di placche dello stesso metallo prezioso, e i pendagli di non meno di tre orologi senza valore, ciondolavano da diverse parti della sua persona. Oltre al sacco e alla carabina, che gli pendevano sul dorso insieme al sacchetto dei pallini e al corno da polvere, riempiti ben bene e accuratamente conservati, si era gettato con disinvoltura sulla spalla un’ascia affilata e luccicante, e reggeva tutto quel peso con tanta apparente facilità come se camminasse con le membra libere e sciolte da qualunque impedimento.
A breve distanza dietro di lui veniva un gruppo di giovani acconciati più o meno allo stesso modo e abbastanza somiglianti fra loro e con il loro capo da farsi riconoscere membri della stessa famiglia. Benché il più giovane non avesse certo passato di molto l’età che, a giudizio della legge, è benevolmente chiamata età della ragione, si era rivelato così degno dei suoi progenitori da aver portato già la sua ambiziosa persona all’altezza normale della propria razza.
Ce n’erano altri due o tre, di diverso stampo, la descrizione dei quali, però, sarà debitamente riferita nel corso della narrazione.
Delle donne, ve n’erano solamente due arrivate alla maturità, benché parecchie testoline dalla carnagione olivastra spiassero dal primo carro della fila, con occhi pieni di curiosità e di animazione. La più anziana delle due adulte, sciupata e già rugosa, era la madre della maggior parte della compagnia, mentre la più giovane, una vivace e attiva ragazza di diciotto anni, sembrava, a giudicare dall’aspetto, dall’abbigliamento e dalle maniere, appartenere a una classe sociale di parecchio superiore a quella dei suoi presunti compagni.
Il secondo veicolo era ricoperto di un’ampia tela così rigidamente tirata da nascondere il suo contenuto con la massima cura. Gli altri erano carichi di rude mobilia e di effetti personali, quali ci si può immaginare che appartengano a una persona pronta in qualsiasi momento a cambiare la sua dimora senza riguardo alla stagione e alla distanza.
Forse in quella fila di carri e nell’insieme dei suoi proprietari, non c’era granché di diverso da ciò che si vedeva giornalmente sulle strade maestre di quel paese così aperto agli spostamenti; ma il luogo strano e deserto in cui si presentava inaspettatamente dava alla compagnia un aspetto particolare di stranezza e di avventurosità.
Nelle piccole valli che, per la regolare formazione del paesaggio, si presentavano di miglio in miglio nel loro cammino, la vista era limitata da due parti, dalle graduali e lente elevazioni che danno alla prateria il nome che abbiamo già menzionato, mentre dalle altre due lo squallido panorama si stendeva in lunghe, strette, sterili vedute appena appena ravvivate qua e là da ciuffi di vegetazione grossolana, se pur lussureggiante. Dalla cima delle ondulazioni, l’occhio era affaticato dalla monotonia e dalla scoraggiante desolazione del paesaggio. La terra non era dissimile dall’oceano, quando le sue acque agitate ondeggiano pesantemente dopo il tumulto e la furia della tempesta. Era la stessa superficie ondulata e regolare, la stessa assenza di qualunque altro oggetto, la stessa immensità aperta alla vista; anzi, la somiglianza fra l’acqua e la terra era così impressionante che, per quanto il geologo possa beffarsi di una teoria tanto ingenua, sarebbe stato difficile per un poeta non sentire che la formazione dell’una era dovuta al ritirarsi del dominio dell’altra. Qua e là un albero sorgeva dall’imo delle valli come quello di un vascello solitario, e per accrescere l’illusione, laggiù, in lontananza, comparivano due o tre boschetti rotondeggianti che torreggiavano sull’orizzonte brumoso come isole sorgenti dalle acque. Non c’è bisogno di ricordare all’esperto lettore che l’uniformità della superficie distesa e la posizione in basso degli spettatori ingigantivano le distanze; ma, poiché ondulazione compariva dopo ondulazione, isola succedeva a isola, sorgeva in cuore la scoraggiante certezza che lunghi, apparentemente interminabili tratti di quel deserto dovevano passare, prima che i voti del più umile degli agricoltori potessero essere appagati.
Tuttavia, il capo degli emigranti proseguiva con regolarità la sua strada senza altra guida che il sole, volgendo risolutamente le spalle alla civiltà e immergendosi a ogni passo più profondamente, se pur non irrevocabilmente, nella dimora dei barbari e selvaggi abitanti del paese. Ma poiché il giorno si avvicinava al declino, la sua mente, che forse era incapace di maturare un ben connesso sistema di previdenza oltre quello che si riferiva agli interessi del momento presente, fu in qualche modo turbata dalla necessità di provvedere alle ore della notte.
Giunto sulla cresta di una elevazione un poco più alta delle altre, sostò un momento, e gettò da una parte e dall’altra un’occhiata vagamente incuriosita, cercando i ben noti segni indicatori di un luogo dove i tre grandi benefici dell’acqua, del combustibile e del foraggio potessero essere ottenuti contemporaneamente.
Sembrava che la sua ricerca fosse stata infruttuosa perché dopo pochi minuti di indolente e trascurata osservazione, lasciò che la sua grande corporatura scendesse giù per il lento declivio con la stessa indolenza con cui un animale supernutrito avrebbe ceduto ad una spinta verso il basso.
Il suo esempio fu seguito in silenzio da coloro che gli andavano dietro, non senza però che i giovani manifestassero un qualche maggiore interesse... nella breve inchiesta che ciascuno a turno faceva raggiungendo lo stesso punto d’osservazione. Era tuttavia chiaro, dai rallentati movimenti degli animali e degli uomini, che l’ora del necessario riposo non era lontana. L’erba intricata del fondo delle vallette presentava ostacoli che la stanchezza cominciava a rendere formidabili, e la frusta diventava necessaria per stimolare al loro compito i cavalli che si trascinavano. Nel momento in cui una generale stanchezza si impadroniva dei viaggiatori, eccezion fatta del capo, e tutti gli sguardi si protendevano ansiosamente avanti, con una specie di impulso comune, uno spettacolo improvviso quanto inatteso obbligò la comitiva a fermarsi.
Il sole era calato dietro la cresta della più vicina ondulazione della prateria, lasciando dietro di sé il solito strascico di splendore. Nel centro di quella gloria di luce fiammeggiante era comparsa una forma umana, intagliata sullo sfondo d’oro, distinta, e, si sarebbe detto, palpabile quasi fosse stata a portata della mano stesa di chiunque. La figura colossale, dall’atteggiamento pensoso e malinconico, si ergeva proprio sulla strada dei viaggiatori; ma inquadrata com’era in quell’aureola di luce abbagliante, era impossibile distinguerne le giuste proporzioni o la vera natura.
L’effetto di quello spettacolo fu istantaneo e potente.
L’uomo che camminava in testa agli emigranti si fermò di colpo, e rimase a guardare quella misteriosa apparizione con uno stolido interesse che si trasformava rapidamente in un terrore superstizioso. I figli, appena calmata la prima emozione della sorpresa, gli si fecero lentamente accanto e a mano a mano che coloro che fiancheggiavano i cavalli seguivano il loro esempio, tutta la compagnia si raccolse in un gruppo silenzioso e stupito. Benché l’impressione di qualche cosa di soprannaturale fosse generale fra i viaggiatori, si udì il ticchettio dei caricatori e, uno o due dei giovani più arditi, alzarono i fucili pronti a servirsene.
«Manda avanti i ragazzi», esclamò la risoluta moglie e madre con voce brusca e stridula. «Asa o Abner ci sapranno ben dire chi è, ci scommetto!»
«Sarà forse bene di provare col fucile», borbottò un uomo dall’aspetto grossolano, il cui viso, per i lineamenti e l’espressione, somigliava non poco a colei che aveva parlato, e che, tirata giù la cinghia del fucile, lo imbracciava mentre esprimeva il suo parere: «Si dice che i Lupi Pawnee caccino a centinaia sulle pianure; se è così, non si accorgeranno della mancanza di uno solo della loro tribù».
«Fermatevi!», esclamò una voce femminile dolce e allarmata che, era facile capirlo, usciva dalle labbra tremanti della più giovane delle due donne; «Non sappiamo: potrebbe essere un amico!»
«Ebbene, chi è il capo qui?», chiese il padre squadrando frattanto il gruppo dei suoi robusti figli con uno sguardo scontento e cupo. «Giù quell’arma, giù quell’arma!», continuò stornando la mira dell’altro con un dito gigantesco e con una grinta pericolosa da contraddire. «Il mio compito non è ancora terminato; finiamo in pace il poco che resta».
L’uomo che aveva manifestato l’intenzione ostile, sembrò capire le allusioni e si lasciò convincere. I figli volsero i loro sguardi interrogatori alla fanciulla che era stata così ansiosa di parlare, per chiederle una spiegazione; ma, quasi paga della dilazione ottenuta per lo straniero, ella era ricaduta sul sedile e affettava un pudico silenzio.
Frattanto, i colori del cielo erano andati cambiando. Una luce grigia e più bassa era successa al fulgore abbacinante e, a mano a mano che il tramonto si spegneva, le forme e le proporzioni di quella fantastica figura diventavano meno esagerate e finalmente distinte. Vergognandosi di esitare, ora che la verità non era più da mettere in dubbio, il capo della spedizione riprese il cammino usando, tuttavia, mentre ascendeva il blando declivio, la precauzione di liberare il fucile dalla cinghia e di tenerlo pronto a servirsene.
Non c’era ragione, tuttavia, di tanta prudenza. Dal momento in cui era così inspiegabilmente comparsa, per così dire fra cielo e terra, la figura dello straniero non si era mossa e non aveva dato il minimo segno d’ostilità. E del resto, anche se avesse avuto cattive intenzioni, l’individuo che ormai era pienamente in vista sembrava ben poco atto a metterle in pratica. Un fisico che aveva sopportato le durezze e le sofferenze di ottanta primavere, non era infatti in condizione da destare apprensioni in un individuo come l’emigrante. Nonostante gli anni e l’aspetto emaciato, per non dir sofferente, c’era tuttavia qualche cosa, in quell’essere solitario, che diceva che il tempo, e non la malattia, gravava pesantemente la mano su di lui. Benché magrissimo, non era sfinito. I tendini e i muscoli, che certo una volta avevano avuto una potenza eccezionale, benché rimpiccioliti erano ancora visibili; e tutte le membra avevano raggiunto quel grado di indurimento che se non fosse stato per la ben nota fragilità della razza umana, sarebbe sembrato capace di sfidare gli ulteriori assalti della decadenza. Il suo vestiario era composto principalmente di pelli indossate, col pelo infuori; un borsotto e un corno da polvere gli pendevano dalla spalla; si appoggiava ad una carabina di non comune lunghezza, che, come il suo proprietario, sembrava logorata da un lungo e duro servizio.
Quando la compagnia si avvicinò al solitario e fu a distanza di essere udita, un basso ringhio uscì dall’erba ai suoi piedi; poi un segugio alto, scarno, sdentato si alzò pigramente dalla sua cuccia e, scotendosi, offrì una debole parvenza di minaccia all’avvicinarsi dei viaggiatori.
«Giù, Hector, giù», disse il padrone con voce un poco tremula e roca per gli anni, «che c’entri tu, cucciolo, con la gente che viaggia legalmente per gli affari suoi?»
«Straniero, se conoscete questo paese», disse il capo degli emigranti, «potete dire a un viaggiatore dove potrà trovare quel che gli occorre per la notte?»
«È già piena la terra dall’altra parte del Grande Fiume?», chiese il vecchio, solennemente, quasi non avesse udito la domanda dell’altro. «O se no, perché vedo uno spettacolo che avrei creduto di non vedere più?»
«Be’, della terra ce n’è ancora, è vero, per quelli che hanno soldi e non sono molto difficili nella scelta», ribatté l’emigrante, «ma a gusto mio, si comincia a essere in troppi. Quale sarà la distanza da qui al punto più vicino sul fiume principale?»
«Un cervo inseguito non potrebbe rinfrescare i fianchi nel Mississippi senza viaggiare per cinquecento lunghe miglia».
«Che nome date a questo distretto?»
«Che nome date», ribatté il vecchio alzando la mano con un cenno significativo, «al punto dove vedete quella nuvola lassù?»
L’emigrante lo guardò come chi non capisce e quasi quasi sospetta di essere preso in giro, ma si limitò a dire:
«Voi siete nuovo di qui come me, scommetto, straniero, o non ci pensereste tanto a dare qualche consiglio a un viaggiatore; le parole costano poco e qualche volta fruttano un’amicizia».
«Il consiglio non è un dono, ma un obbligo per il vecchio. Che volete sapere?»
«Dove posso accamparmi per la notte. Io non sono schizzinoso, per il letto e la tavola; ma tutti i vecchi viaggiatori come me sanno il valore dell’acqua dolce e d’un buon pascolo per il bestiame».
«Seguitemi dunque, e sarete padrone di entrambi; ben poco d’altro posso offrirvi in questa affamata prateria».
Così parlando, il vecchio si gettò in spalla la carabina con una facilità alquanto notevole per i suoi anni e per il suo aspetto, e senza altre parole aprì la strada verso la valle seguente.
1 Il Mississippi è così chiamato in parecchi dialetti indiani. Il lettore si farà un’idea più chiara dell’importanza di questo corso d’acqua, se porrà mente al fatto che il Missouri e il Mississippi sono in realtà lo stesso fiume, e uniti assommano a una lunghezza poco meno di quattromila miglia (seimilaquattrocento chilometri, secondo l’unità di misura italiana). (N.d.T.).
2 Tutti gli Stati ammessi all’Unione Americana dopo la rivoluzione sono chiamati Stati Nuovi, eccezion fatta del Vermont; questo già prima della guerra accampava diritti che gli furono riconosciuti in epoca posteriore.
3 Il colonnello Boon, il patriarca del Kentucky. Questo venerando e intrepido pioniere della civiltà emigrò a novantadue anni in una tenuta situata a trecento miglia a Occidente del Mississippi, perché una popolazione di dieci abitanti per miglio quadrato gli sembrava intollerabilmente sovraffollata!
4 Prateria ondulata.