Quando l’esercito nevariano attacca la città di Melita Sharrane lei capisce che la sua vita privilegiata è finita. Viene portata via e sta per finire nelle mani di un manipolo di soldati quando un cavaliere dell’esercito nemico la salva dal suo destino. Ma poi Lord Epsos l’ha davvero salvata? Inizialmente sembra che l’abbia semplicemente resa una schiava con cui divertirsi come vuole... o forse no. Senza più una casa né una famiglia Melita non può fare altro che fidarsi di quello sconosciuto. E presto dovrà trovare la risposta a una domanda difficile: si può provare attrazione per il proprio nemico?
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Alzò la testa e le sue labbra trovarono le mie. «Continuo a desiderarti. Non riesco a smettere. E dentro di me so che voglio ancora una volta... sfruttare la mia posizione. Ordinarti di giacere con me. Prenderti fino a essermi tolto la voglia e pazienza se tu non mi desideri. È questo a farmi sentire in colpa. Non ne verrebbe niente di buono. Non avevi mai visto un uomo. Non sapevi neppure che cosa fosse il mio seme. Non hai mai voluto stringerti a qualcuno... non per affetto o conforto, ma per desiderio. Non hai mai provato piacere con qualcuno... forse neppure da sola. Ho distrutto la tua città, ti ho strappata alla tua famiglia, ti ho resa una schiava... e ora voglio prendermi pure la tua innocenza. Prima o poi lo farò, mi conosco».
Tornai a stendermi accanto a lui, quieta. «Se non lo fai tu lo farà qualcun altro» dissi. Su quello non avevo alcun dubbio. Mezz’ora fuori dal recinto di casa mia, senza protezione, e in quanti ci avevano provato?
«Sì, è vero» ammise Wymar. Mi accarezzò le labbra in punta di dita. «Spogliati. Voglio sentire il tuo corpo contro il mio».
Mi sfilai la veste e la sopraveste. Il tepore nel suo letto era magnifico e sapevo che non sarebbe riuscito a prendermi contro la mia volontà, nelle condizioni in cui era. Ma trovavo gradevole la sua vicinanza e davvero ero disposta a concedermi a lui, prima di finire in mani peggiori.
Mi appoggiai al suo fianco (quello ferito era l’altro) e lo sentii emettere un sospiro soddisfatto. Mi circondò con un braccio, mentre con le nocche dell’altra mano mi sfiorava un seno.
Mi accarezzò in punta di dita. «Sei molto bella. È sgradevole, questo?».
«No».
Mi prese il seno nel palmo della mano, palpandolo delicatamente. La sua pelle era un po’ ruvida, ma il suo tocco era leggero. «Gradevole?».
«In un certo senso. Per te lo è?».
Lui mi rivolse un mezzo sorriso. «Per fortuna ho un buco nella pancia. Ma ci hai già pensato, è vero?».
Sorrisi anch’io. «Lo ammetto».
«È giusto. Fai bene. Poni che io voglia anche leccarle, queste tettine, ora...»
Aggrottai appena le sopracciglia. «Leccarle?».
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