– Bene, – dissi io sorridendo un po’, – vediamo che vuole.
Trovai nell’atrio un omone vestito molto alla buona e avvolto in un mantello da marinaio, come uno sbarcato proprio allora, come infatti era. Poco lontano stava dritto Macconochie, con la lingua tra le labbra e una mano sul mento come un tonto che si sforza di riflettere profondamente, e il forestiero, che si era tirato il mantello sul viso, sembrava a disagio. Vedendomi arrivare mi si fece subito incontro con espansività.
– Caro mio, – disse, – mille scuse del disturbo, ma mi trovo in una situazione quanto mai delicata. E là c’è un figlio di un archibugio che mi sembra di riconoscere, e che, con tutta probabilità, credo riconosca me. Poiché vivete in questa famiglia, signore, e per di più occupando un posto di una certa fiducia (per il qual motivo mi sono appunto permesso di farvi chiamare), senza dubbio tenete per il partito onesto.
– Potete almeno star certo, – risposi, – che tutte le persone appartenenti a questo partito sono al sicuro in Durrisdeer.
– Mio caro, è proprio ciò che penso anch’io – aggiunse lui. Capite, mi ha appena sbarcato un Tizio onestissimo di cui non ricordo il nome, che per me farà bordate in fuori e bordate in terra fino a giorno, non senza rischio per la sua pelle; e, per parlarvi schietto, sono un po’ preoccupato che non abbia ad essercene anche per la mia. Ho portato in salvo la vita così spesso, signor... non ricordo come vi chiamate... che, parola mia, mi dispiacerebbe perderla, dopo tutto. E quel figlio di un archibugio che credo di aver visto davanti a Carlisle...
– Oh, signore, – interruppi, – potete contare sulla discrezione di Macconochie fino a domani.
– Ebbene, è un piacere sentirvelo dire, – riprese il forestiero. – Il fatto è che il mio nome non è molto popolare in questa terra di Scozia. Però, con un galantuomo come voi, caro mio, non mi garba, si capisce, far sotterfugi; quindi, con vostra licenza, ve lo bisbiglierò all’orecchio. Mi chiamo Francis Burke, colonnello Francis Burke, e sono qui, correndo un maledetto rischio, per vedere i vostri padroni, se mi è lecito, mio caro, chiamarli così, perché davvero, dal vostro aspetto, non l’avrei immaginato. Nel caso che vogliate, per bontà vostra, annunciare loro la mia venuta, dite, vi prego, che porto lettere, il cui contenuto essi leggeranno, di certo, con somma gioia.
Il colonnello Francis Burke era uno di quegli irlandesi, gregari del principe, che portarono danni infiniti alla sua causa ed erano molto invisi agli scozzesi al tempo della ribellione; mi venne subito in mente come tutti si fossero stupiti che Sir James avesse fatto lega con quella gente. Nello stesso momento, un forte presentimento della verità si impadronì del mio animo.
– Se volete entrare qui, – dissi, aprendo la porta di un salotto, – avverto mylord.
– Siete molto buono, signor Non–so–come–vi–chiamate, – disse il colonnello.
A passi lenti andai su, nel salone. Erano lì tutti e tre: il vecchio lord a sedere nel posto solito, la signora a cucire vicino alla finestra, Mr. Henry a passeggiare (come faceva spesso) su e giù all’estremo opposto. In mezzo, la tavola era apparecchiata per la cena. Dissi in breve quello che dovevo. Il mio vecchio lord si accasciò nel suo seggiolone, la signora saltò in piedi con uno scatto automatico, e suo marito e lei si fissarono negli occhi attraverso la sala. Fu uno stranissimo sguardo di sfida, quello che si scambiarono; e, guardandosi, impallidirono tutti e due. Poi Mr. Henry si rivolse a me, non già per dire qualcosa, solo a fare un cenno; ma bastò questo, ed io scesi a chiamare il colonnello.
Quando rientrai con lui, i tre non si erano mossi dalla posizione in cui li avevo lasciati; né credo che si fossero scambiati una sola parola.
– Il riverito Lord Durrisdeer, suppongo, – disse inchinandosi il colonnello, e mylord ricambiò l’inchino.
– E questi, – continuò il colonnello, – sarebbe forse Sir James?
– Non ho affatto assunto questo nome, – disse Mr. Henry, – ma sono Henry Durie, per servirvi.
Allora il colonnello si gira verso la signora, inchinandosi con il cappello sul cuore, in un atteggiamento di irresistibile galanteria.
– Mi è facile riconoscere un così leggiadro aspetto di gentildonna, – aggiunse. – Io parlo, certo, all’incantevole signorina Alison, della quale ho tanto sentito parlare?
Ancora una volta, marito e moglie scambiarono uno sguardo.
– Io sono la signora Henry Durie, – lei disse, – ma il mio nome, prima del matrimonio, era Alison Graeme.
Allora mylord interloquì. – Io sono vecchio, colonnello Burke, disse, – e debole. Farete opera di carità parlando spedito. Mi portate notizie di... – esitò, e poi le sue parole proruppero con un singolare mutamento di voce – di mio figlio?
– Mylord, parlerò chiaro come un soldato, – replicò il colonnello. – Sì.
Mylord allungò una mano tremante, sembrava voler fare un cenno; ma se per interrompere o per incitare il suo interlocutore, non riuscimmo a capirlo. Finalmente disse una sola parola: – Buone?
– Ma sì, le migliori del mondo! – esclamò il colonnello. – Poiché il mio ottimo amico e ammirato commilitone è, a quest’ora, nella bella città di Parigi, e più sì che no, se non mi sbaglio di grosso sulle sue abitudini, si starà sedendo a cena. Cospetto, mi sembra che la signora svenga!
La signora Alison era davvero del colore della morte, e si era accasciata contro gli stipiti della finestra. Ma quando Mr. Henry fece una mossa, come per correre in suo aiuto, lei si ricompose con una specie di brivido. – Sto benissimo,disse con labbra sbiancate.
Mr. Henry si fermò, e il suo viso ebbe una contrazione d’ira. Ma subito si rivolse al colonnello. – Non dovete rammaricarvi per l’effetto delle vostre parole sulla signora. È una cosa del tutto naturale, siamo cresciuti insieme tutti e tre come fratelli e sorella.
La signora guardò suo marito con un’espressione di sollievo e forse anche di gratitudine. Secondo me, quel discorsetto fu per lui il primo passo nelle sue buone grazie.
– Cercate di perdonarmi, signora Durie, perché io sono proprio un irlandese di rozza pasta, – disse il colonnello; – e meriterei di essere fucilato per non aver saputo comunicare con maggior tatto il mio messaggio a una gentildonna. Ma ecco qui le lettere di Sir James stesso, una per ognuno di voi tre; e di certo (se non mi sbaglio di grosso sull’abilità del mio amico) egli racconterà la sua storia con un garbo migliore del mio.
Così dicendo tirò fuori le tre lettere, le mise in ordine secondo la soprascritta, presentò la prima a mylord che la prese bramosamente, poi avanzò verso la signora, porgendo la seconda.
Ma costei la respinse con la mano. – A mio marito, – disse con voce soffocata.
Il colonnello era uomo di spirito pronto; ma, a quest’uscita, rimase un po’ sconcertato. – Di certo! – esclamò; – come sono sciocco! Di certo! – Ma continuava a porgere la lettera.
Finalmente Mr. Henry protese la mano, e il colonnello non poté fare altro che arrendersi. Mr. Henry prese le due lettere (tanto la sua quanto quella della moglie), e guardò le buste, corrugando le sopracciglia, come se riflettesse. Egli mi aveva stupito, fino a quel momento, per il suo ottimo contegno; ma doveva superare se stesso.
– Permettete che vi accompagni nella vostra camera, – disse a sua moglie. – Questa sorpresa è stata molto repentina; e, d’altronde, voi vorrete leggere la vostra lettera da sola.
Lei lo guardò di nuovo attonita ma egli, avvicinandosi a lei con fare risoluto, non le diede tempo di replicare. – È meglio così, credetemi, – le disse, – e il colonnello Burke è troppo comprensivo per non scusarvi. – E, con queste parole, prendendola per la punta delle dita, la portò fuori della stanza.
La signora non ritornò in sala, per quella sera, e quando la mattina seguente, Mr. Henry andò a trovarla, lei, come seppi lungo tempo dopo, gli riconsegnò la lettera, ancora chiusa.
– Oh, leggila, e che sia finita! – egli esclamò.
– Risparmiami questa prova, – lei disse.
E con queste due frasi ognuno dei coniugi, secondo il mio modo di vedere, disfece gran parte di quello che prima aveva fatto di buono.
Questa lettera, per ultimo, finì nelle mie mani, e io, chiusa com’era, la bruciai.
Per dare un resoconto preciso delle avventure del signore di Ballantrae dopo la battaglia di Culloden, scrissi, non molto tempo fa al colonnello Burke, ora cavaliere dell’Ordine di San Luigi (2) chiedendogli qualche appunto scritto; poiché, dopo un intervallo così lungo, non potevo troppo fidarmi della mia memoria. Per dire il vero, fui un po’ imbarazzato dalla risposta del colonnello, perché questi mi mandò le memorie di tutta la propria vita, riguardanti solo qua e là Sir James, abbraccianti un periodo molto più esteso che non quello della mia intera storia, e non sempre (a quanto mi sembrò) intese all’edificazione altrui. In una lettera datata da Ettenheim, il colonnello mi pregava di curare la pubblicazione dell’intero manoscritto, dopo averne fatto l’uso che a me conveniva; e io credo di soddisfare pienamente il mio intento personale e i desideri dell’autore, stampando per esteso alcuni capitoli. A questo modo, i miei lettori avranno una relazione minuta e, credo, veritiera di alcuni incidenti essenziali; e, se qualche editore s’invaghirà dell’arte narrativa del cavaliere, saprà dove rivolgersi per avere il resto, che è abbondante, e sempre a disposizione. Io introduco qui il mio primo estratto, affinché possa stare al posto di quanto il cavaliere ci raccontò all’ora del vino, nella grande sala di Durrisdeer; ma dovete aver presente che al mio lord egli espose non la cruda realtà, ma una versione molto abbellita.
NOTE:
1) John Graham of Claverhouse (1648–1689), conosciuto come il «Bonnie Dundee». Ebbe a lungo funzioni di «polizia» contro le ribellioni del sud–ovest scozzese.
2) Ordine cavalleresco creato da Luigi Quattordicesimo nel 1693 e aperto ai soli cattolici.