Chapter 7

2024 Words
– Mackellar, – mi disse, – vorrei pregarvi di un piccolo servizio. – C’è una pensione da pagare, toccava a John portarla, ed ora che è malato non so a chi rivolgermi se non a voi. È una faccenda molto delicata, seri motivi mi impediscono di recapitare il denaro di persona; non oso mandare Macconochie, perché è un chiacchierone, ed inoltre desidero che questa faccenda non arrivi alle orecchie della signora, – aggiunse; e così dicendo, arrossì fino al collo. A dire il vero, quando scoprii che dovevo portare il denaro a una certa Jessie Broun, la quale non era una donna per niente perbene, immaginai che Mr. Henry avesse da coprire una sua marachella. A maggior ragione rimasi colpito quando venne fuori la verità. Jessie abitava a Saint Bride’s in un vicolo fuori mano: covo di gentaglia quasi tutta della risma dei contrabbandieri. Trovai all’angolo un uomo con la testa avvolta in bende; un po’ più in là, dentro una bettola, c’era gente che cantava e sbraitava, anche se non erano ancora le nove del mattino. Tutto sommato, non avevo mai visto quartiere peggiore, neppure nella grande città di Edimburgo, e fui sul punto di tornarmene indietro. La stamberga di Jessie era degna del vicinato, e lei non ci scompariva. Mr. Henry, metodico com’era, mi aveva raccomandato di farmi dare la ricevuta; ma lei non volle rilasciarmela prima di aver mandato a prendere dei liquori e di avermi costretto a bere alla sua salute. Le sue maniere erano di donna fatua e sventata: ora si dava arie di gran dama, ora prorompeva in risa sguaiate, ora faceva smancerie da nauseare. Del denaro parlò tragicamente. – È il prezzo del sangue! – esclamò. – Questo ricevo io: il prezzo del sangue e del tradimento! Guardate a cosa sono ridotta! Ah, se quel bel ragazzo ritornasse, le cose cambierebbero! Invece è morto... giace morto tra i monti degli Highlands... quel bel ragazzo, quel bel ragazzo! Piangeva per il «bel ragazzo» a mani giunte e roteando gli occhi: un atteggiamento estatico che doveva aver imparato da commedianti girovaghi. Secondo me, le sue smanie erano in gran parte affettate, e lei la faceva tanto lunga perché la sua vergogna era adesso l’unica cosa di cui potesse vantarsi. Non nego di aver provato pietà per lei; ma fu una pietà piena di disgusto, e il suo ultimo cambiamento di modi la cancellò. Questo accadde quando ne ebbe abbastanza di me come uditorio, e si decise finalmente a sottoscrivere la ricevuta. – Ecco! – disse e, dopo aver proferito le più sconce bestemmie, mi ordinò di andarmene a portare il foglio al Giuda che mi aveva mandato da lei. Era la prima volta che sentivo applicare quel nome a Mr. Henry, e la forte veemenza delle parole e del tono della donna aumentò il mio sbalordimento: sicché, sotto un diluvio di maledizioni, me ne uscii dalla stanza come un cane bastonato. Ma non fu finita nemmeno così; perché la megera spalancò la finestra e affacciandosi, continuò a insultarmi, mentre me ne andavo su per il vicolo; i contrabbandieri, facendosi sulla porta della bettola, si misero anche loro a beffeggiarmi, e uno di loro fu disumano al punto da aizzarmi dietro un cagnolino ferocissimo che mi morse alla caviglia. Questa fu una buona lezione, se mai ne avessi avuto bisogno, per insegnarmi a evitare le cattive compagnie. Rimontato a cavallo me ne tornai verso casa, spasimando per il morso e con l’animo indignato. Mr. Henry era nell’ufficio d’amministrazione, fingendosi occupato, ma vidi bene che era ansioso solo di avere notizie della mia commissione. – Ebbene? – chiese appena entrai, e, quando gli ebbi riferito qualcosa di quello che era successo, dicendogli che Jessie sembrava una donna indegna e tutt’altro che riconoscente: – Non ha simpatia per me, – rispose, – però, Mackellar a dire il vero, io vanto poche simpatie, e Jessie ha qualche motivo di essere ingiusta. Non è necessario che io tenga nascosto quello che è noto a tutto il paese; quella donna non fu trattata bene da un membro della nostra famiglia. Fu questa la prima volta che sentii Mr. Henry alludere, sia pure alla lontana, a Sir James e credo che pure quel poco lo dicesse contro voglia, ma subito riprese: – Ecco per qual motivo non vorrei che se ne parlasse... Farebbe dispiacere alla signora... e a mio padre, – aggiunse, arrossendo un’altra volta. – Mr. Henry, – dissi, – se voi mi permettete tanta libertà, vi vorrei pregare di non curarvi più di quella donna. A che serve il vostro denaro per una sua pari? Lei non conosce né sobrietà né economia e, quanto a gratitudine, sarebbe più facile cavar latte dal basalto. Perciò, se voi metteste un freno alla vostra beneficenza, questo non porterebbe altro effetto se non quello di preservare le caviglie dei vostri messaggeri. Mr. Henry sorrise. – Ma io mi rammarico per la vostra caviglia, – disse subito dopo, con la dovuta serietà. – E osservate, – continuai, – che io vi do questo consiglio dopo matura riflessione; perché il mio cuore, all’inizio, si è impietosito per quella donna. – Ecco, avete visto? – esclamò Mr. Henry. – E voi dovete considerare che io l’ho conosciuta quando era una ragazza proprio per bene. Bisogna pure tener presente che, sebbene io parli poco della mia famiglia, la sua reputazione mi preme molto. E, così dicendo, interruppe la conversazione; era la prima volta che parlavamo così familiarmente. Durante quello stesso pomeriggio, ebbi la prova che suo padre era informatissimo di quella faccenda e che Mr. Henry la teneva segreta solo per via di sua moglie. – Temo che oggi abbiate dovuto fare una commissione penosa, mi disse mylord, – e, siccome essa non rientra in nessun modo nelle vostre mansioni, devo ringraziarvene e ricordarvi al tempo stesso (se mai Mr. Henry avesse trascurato di farlo) quanto sia desiderabile che di questo fatto non arrivi nessuna eco all’orecchio di mia nuora. Le riflessioni sui morti, signor Mackellar, sono doppiamente penose. Il mio cuore avvampava di sdegno; e fui sul punto di dire in faccia a mylord quanto poco era opportuno per lui puntellare l’immagine del morto nel cuore della signora, e quanto meglio avrebbe fatto, invece, infrangendo il falso idolo: perché, ormai, capivo bene come stavano le cose tra il mio padrone e sua moglie. La mia penna è capace di riferire abbastanza chiaramente una storia semplice; ma rendere l’effetto di un’intimità di piccolezze, nessuna di per sé degna di essere riferita, tradurre la storia di occhiate e il messaggio di voci, che non dicono gran che, e condensare in mezza pagina l’essenza di quasi diciotto mesi, è un’impresa in cui dispero di riuscire. La colpa, a dire il vero, era tutta della signora. Aver acconsentito ai matrimonio le sembrava un merito, e del matrimonio si era fatta un martirio; nella qual cosa il mio vecchio lord, inconsapevolmente o no, la istigava continuamente. Lei ascriveva a proprio merito la sua costanza verso il morto, sebbene a una coscienza migliore sarebbe parso che questa dovesse chiamarsi piuttosto infedeltà al vivo; e anche in questo aveva l’appoggio di mylord. Credo che lui sentisse il bisogno di parlare del proprio lutto e che si vergognasse di accennarvi con Mr. Henry. Fatto sta, ad ogni modo, che in una famiglia di tre persone, si poté formare una piccola consorteria, dove l’escluso era il marito. Sembra che fosse vecchia abitudine della famiglia, quando a Durrisdeer non c’erano ospiti, che mylord portasse il suo vino vicino al caminetto e che la signorina Alison, invece di ritirarsi, portasse uno sgabellino vicino alle sue ginocchia e si fermasse a discorrere con lui a quattr’occhi. Dopo che lei fu diventata la moglie del mio padrone quest’abitudine proseguì. Poteva essere piacevole vedere quel vecchio gentiluomo tanto tenero verso la nuora, ma io, che parteggiavo per Mr. Henry, potevo provare soltanto sdegno per la sua esclusione. Molte volte lo vidi prendere una palese decisione, alzarsi da tavola, unirsi al gruppo di sua moglie e di mylord, che, da parte loro non esitavano minimamente a fargli buon viso, si rivolgevano a lui sorridendogli come a un bambino che interviene a sproposito, e lo ammettevano nella conversazione con uno sforzo tanto mal dissimulato, che lui non tardava a tornare al mio fianco, vicino al tavolo; da dove (la sala di Durrisdeer è molto vasta) si sentiva soltanto il mormorio delle voci di quelli che parlavano vicino al camino. Mr. Henry stava lì seduto ad osservarli mentre io facevo la stessa cosa; e quando mylord piegava tristemente il capo, o metteva la mano su quella della signora, quando la signora posava la sua mano sul ginocchio di lui, in atto di offrire conforto, o c’era uno scambio di sguardi lacrimosi, noi tiravamo la conclusione che il discorso si aggirava sul soggetto antico, e che l’ombra del morto era nella sala. A volte mi capita di biasimare, in cuor mio, Mr. Henry per aver preso le cose con tanta pazienza; però non bisogna dimenticare che la signora lo aveva sposato per compassione e che lui l’aveva accettata in quei termini. Mi ricordo che, una volta, annunciò, a tavola, di aver chiamato un uomo per sostituire il vetro della finestra istoriata; il che, essendo lui a capo degli affari di casa, rientrava nelle sue attribuzioni. Ma per le fantasticherie su Sir James quel vetro rotto era una reliquia; e alla prima parola di toccarlo minimamente, il sangue affluì al viso della signora. – Mi meraviglio di voi! – esclamò. – E io mi meraviglio di me stesso, – replicò Mr. Henry, con un’amarezza maggiore di quella che gli avessi mai sentita esprimere. A questo punto il vecchio lord intervenne con la sua parola pacata, di modo che, prima della fine del pasto, tutto sembrava dimenticato; peraltro, dopo mangiato, quando i due si furono ritirati, come al solito, vicino al camino, vedemmo che lei piangeva con la testa sulle ginocchia di lui. Mr. Henry sostenne con me la conversazione a proposito di certe faccende della tenuta. Non sapeva parlare che di affari, e non fu mai brioso in compagnia, ma quel giorno sostenne la conversazione con insolita continuità: i suoi occhi non facevano che girarsi verso il camino e la sua voce, ogni tanto, cambiava tono, senza che però vi fosse interruzione nel discorso. Ad ogni modo, il vetro non fu rimesso; e credo che egli considerasse questo fatto come un grosso smacco. Forse non si mostrava abbastanza deciso, ma Dio sa se si dimostrava più che buono. La signora aveva con lui certi modi condiscendenti che, da parte di una moglie, avrebbero punto la mia vanità fino a esulcerarla; egli li prendeva come un favore. La signora lo teneva a distanza, dimenticava e poi ricordando gli si mostrava affabile come ci capita di fare con i bambini, lo opprimeva sotto una fredda bontà, lo rimproverava con il solo cambiar di colore e mordersi il labbro come se arrossisse per lui di una cosa della quale egli dovesse vergognarsi, e, non vigilandosi, gli dava ordini con un’occhiata; vigilandosi, invece, gli chiedeva la più semplice cosa come se si trattasse di un favore inaudito. E lui contraccambiava tutto questo con una devozione instancabile, baciando, come si dice, la terra sotto i suoi piedi, e sempre con quell’amore negli occhi che bruciava come un lume. Quando stava per nascere la signorina Katharine, non ci fu verso di non farlo rimanere nella camera, a capo del letto. Rimase là, bianco (mi dissero) come il lenzuolo, con il sudore che gli gocciolava dalla fronte, e appallottolò il fazzoletto che aveva in mano fino a ridurlo non più grande di una palla di moschetto. Per molti giorni non sopportò la vista della signorina Katharine, anzi dubito che con la mia padroncina egli sia mai stato come avrebbe dovuto essere; mancanza, questa, di un affetto naturale, che gli fu apertamente rimproverata. Questo era lo stato di questa famiglia al primo aprile del 1749, giorno in cui accadde il primo di quella serie d’eventi che dovevano spezzare tanti cuori e spegnere tante vite. Quel giorno, poco prima di cena, me ne stavo nella mia stanza, quando John Paul, spalancata la porta senza avere la cortesia di bussare, mi avvisò che giù qualcuno voleva parlare con l’intendente: e, nel pronunciare il nome del mio ufficio, ghignò. Chiesi che specie di uomo fosse quello, e come si chiamasse; scoprii così la causa del malumore di John perché risultò che il visitatore rifiutava di dare il proprio nome a chiunque tranne che a me: un affronto, questo, all’importanza del maggiordomo.
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