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Dovere di cronaca (Sesso e Potere 2)

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Le Svetlands sono appena uscite da venticinque anni di doylismo. Come tutti si aspettavano, le elezioni sono state vinte dal conservatore Reid Turner. Jacqueline Dunn è a capo della sezione politica di un importante quotidiano di area democratica e – sulla carta – il cancelliere Turner è suo nemico. Ma durante la festa di insediamento i due si trovano nell’appartamento vuoto della cancelleria e finiscono a letto insieme. Inizia una relazione fatta di alti e bassi, ad altissimo tasso erotico. Jacqueline cerca di resistere: Reid è un suo avversario politico ed è anche sposato. E poi... c’è qualcosa di strano nel modo in cui è arrivato al potere, come se dietro alla sua cancelleria ci fosse un segreto inconfessabile.

Un segreto che Jackie vuole svelare.

(Precedente edizione: Power Station 2 - Nido di vipere, Fiona Gray)

-

Turner andò verso il letto che era stato di Doyle e ci saltò sopra di schiena. Il telo di plastica che lo copriva crepitò, mentre lui si spingeva verso la testiera puntando i piedi.

«Dovrebbe almeno togliere il telo di plastica. Fa un rumore raccapricciante» disse Jackie.

«Mi piace, questo rumore». Turner fece ondeggiare il materasso, producendolo di nuovo. «È sexy».

Jackie si strinse nelle spalle. Cominciava anche ad avere freddo, solo con un asciugamano addosso. «Se torniamo in cucina, mi siedo anch’io. Anzi, se non sbaglio c’è anche un soggiorno con un divano e tutto».

Lui non si mosse.

«Mh-mh. Un paio di studi... una palestra... così mi hanno detto. Venga sul letto, invece».

Jackie restò ferma sulla porta.

Era esattamente il genere di situazione in cui non voleva trovarsi. Il tipo di situazione in cui non puoi vincere. Di solito era lei a infilare gli altri in situazioni del genere.

«Mi perdoni, ma era fraintendibile» si limitò a una replica fiacca.

«Ha ragione» annuì il neo-cancelliere. «Volevo dire: venga sul letto e si liberi di quell’asciugamano umido».

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Capitolo 1
Capitolo 1 Il Numero Uno risplendeva di luci. Musica d’archi diffusa in ogni stanza e tavoli del buffet imbanditi in tutto il piano terra. La festa di insediamento del nuovo cancelliere era una dimostrazione di potenza pura, da parte dei conservatori. D’altronde, rifletté Jacqueline, uscivano da venticinque anni di doylismo. Avevano il diritto di festeggiare. «Che cosa ne pensi, Jackie?» borbottò Henry Thomas, infilandosi in bocca una tartina tutta intera e masticandola con le guance piene. «Che cosa ne penso di cosa?» ribatté lei. «Dura?». Jacqueline lasciò vagare lo sguardo sui capannelli di persone nella sala. Sembravano tutti soddisfatti e rilassati, ma sapeva benissimo che era solo una posa. Erano tutti eccitati e prossimi al panico. Il neo-cancelliere parlava sottovoce con il suo consulente personale. Aveva in mano un bicchiere di champagne, ma non stava bevendo. «Lui crede di no» sorrise Jacqueline. Era stato un sorriso duro, cinico, sarcastico. Si riassorbì quasi all’istante nel suo viso. «A logica, no» corresse il tiro, seria. «Dopo Doyle? Lo faranno a pezzi in uno o due anni». «Mi manca già» ammise Henry. Era a capo della redazione politica di Frames da... oh, Jacqueline non ricordava. Dieci o dodici anni, probabilmente. «Era un grand’uomo. Be’, lo sarà ancora, ma hai capito». Lei inarcò una delle sottili sopracciglia castane. «Era uno stronzo. Guarda, Cecile Williams va a dire ciao al nuovo capo» aggiunse, seguendo un’associazione di idee. Qualche anno prima Doyle aveva rovinato ogni prospettiva politica di Williams convincendo i media che avevano una relazione. A Jackie scocciava ammetterlo, ma ci era cascata anche lei. Henry ridacchiò, seguendo benissimo il suo ragionamento. «Secondo me se l’è scopata davvero». Jackie sbuffò. «Non credo. No, a posteriori posso dirti che era pazzo di sua moglie. Anche quello... lo sarà ancora, eh. Questo ragazzo non è privo di pietas». Il neo-cancelliere stava parlando gentilmente con Williams, con un’aria attenta e disponibile. Jackie sbuffò di nuovo. «È terrorizzato». Reid Turner lanciò un’occhiata a loro due e scivolò via. Henry si mise a ridere. «Dici che l’abbiamo messo in soggezione?». Jackie scosse appena la testa. «Anche alla pietas c’è un limite. Non vuole essere visto troppo a lungo con Cecile». «Giusto, tu hai intervistato la moglie» commentò l’altro, come se ci fosse una relazione diretta. Jackie ci mise un istante a capire che stava parlando ancora di Doyle. Era stupido, secondo lei. Doyle era andato e ora avevano Turner e un’altra mezza dozzina di stalloni di cui occuparsi. Jackie non era il tipo da aggrapparsi al passato. «Già. Un talento naturale» borbottò, comunque. «Per la danza? Così dicono». «Per la politica» specificò lei. «Devo andare in bagno. Se dovessero estrarmi, non voglio intervistarlo con la vescica piena». «Buona idea» ridacchiò Henry. Si separarono davanti alle porte delle toilette. - «Jacqueline Dunn, Garamantia Post» lesse Ben Gordon, vice-segretario dei conservatori e incaricato all’estrazione. «Jackie, la fortuna è dalla tua, stasera» commentò, subito dopo, in tono falso-gioviale. Lei gli rivolse un sorrisino duro e soddisfatto. Alla festa d’insediamento erano stati invitati giornalisti da tutto il paese e da ogni genere di testata, ma nell’urna ci erano finiti solo i principali quotidiani delle Svetlands. Jacqueline era stata più fortunata di altre sette persone, quindi. Il capo addetto stampa della cancelleria la accompagnò in uno studio lussuoso, ma anonimo. Un divano, due poltroncine, un tavolino di cristallo, e poi l’elemento centrale: la scrivania. Anche il capo addetto stampa era nuovo, notò Jackie. Turner aveva sostituito tutto lo staff del Numero Uno e l’aveva fatto incredibilmente in fretta. Jackie si sedette su una poltroncina e posò il suo registratore sul tavolino di cristallo. Accavallò le gambe, ma “non troppo”, come avrebbe detto il suo vecchio capo-redattore. Mai distrarre eccessivamente un intervistato, se si vuole intervistare una seconda volta. A nessuno piace confidarsi con una che gioca sporco. Turner entrò una ventina di minuti più tardi, accompagnato dal suo consulente, Quinton Porter. Quinton era giovane quanto il nuovo cancelliere, nero, fotogenico, ma purtroppo sbronzo. Bisognava ammettere che cercava di non darlo a vedere, ma Jackie non aveva dubbi. Turner si tirò leggermente su i pantaloni e si sedette sull’altra poltroncina. «Bene... è un piacere» disse, tendendo la mano. Non si scusò per il ritardo, ma Jackie non se l’aspettava. In fondo era un politico. Jackie gli strinse la mano sporgendosi verso di lui, ma osservò con la coda dell’occhio Porter che si sedeva sgraziatamente sul divano, che tirava fuori un fazzoletto candido e che si asciugava il sudore dalla fronte. Forse non era sbronzo, corresse lei, forse stava proprio male. «Si sente bene, signor Porter?» chiese. In realtà voleva solo irritare un po’ Turner. «No» rispose Porter, senza aggiungere altro. Jackie riportò lo sguardo sul cancelliere. Visto da vicino, sembrava meno giovane che in foto. Oddio, non molto meno giovane, ma un pochino sì. «E lei come si sente, cancelliere?» chiese, con un sorriso simpatico. L’altro sospirò. «Nel panico». Si passò una mano sulla faccia. «No, aspetti, questo non lo scriva». Jackie rise educatamente. «Scriva: completamente nel panico. Spero che da domani mi passi». «Credo che da domani avrà troppe cose da fare per potersi permettere il panico» commentò lei. «Già. Sì, vero?» sorrise lievemente lui. «Sarà una bella squadra. Sarà impegnativo, ma possiamo farcela. Questo paese ha bisogno di cambiare passo». «Le avranno già fatto notare che raccoglie un’eredità ingombrante». Turner diede un piccolo colpo di sopracciglia, quasi rassegnato. «Doyle ha governato per venticinque anni. Venticinque, si rende conto? Lui stesso l’ha definito “un ergastolo”. Sì, è un’eredità pesante, in più di un senso. E credo che ci sia davvero bisogno di cambiare un po’ di cose. Meccanismi inceppati. Consuetudini incancrenite. Non ero d’accordo quasi con nulla del programma politico di Doyle, ma ho sempre rispettato lui come persona. Questo non vuol dire che mi farò dei problemi a cambiare quello che credo vada cambiato». «Come il modello di sviluppo economico? Le ricordo che Doyle aveva promesso di “impacchettare” l’ultima crisi, prima di andarsene – e l’ha fatto». Turner rise sottovoce e si sciolse i muscoli del collo come prima di un match. «Mi ricordo anche che il Post è libdem, non si preoccupi». Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e, da quella posizione, fece un gesto accomodante con una mano. «No, via. Doyle ha fatto molto, non voglio negarlo, ma se ora non incentiviamo il settore privato ci ritroveremo presto in guai seri. In ogni caso, non mi riferivo a quello. Voglio dire... è la festa d’insediamento. È l’unico momento del mandato in cui mi è permesso essere frivolo. Parlavo delle consuetudini parlamentari, delle lungaggini, della burocrazia. Come vede, non volo molto alto». Jackie inarcò un sopracciglio. «Non è quello che dicono. Due anni fa era un professore associato di diritto internazionale alla Garamantia University. Oggi è il premier. La sua ascesa politica ha lasciato di sasso più di una persona e...» «...Ed è stata paragonata a quella di Doyle, non lo dica. O meglio, lo dica pure, ci mancherebbe... tanto l’hanno già detto tutti. Va bene anche questo... che cosa posso farci? Sono due storie completamente diverse». Fece un gesto vago nell’aria. «Almeno scriva che sono più bello». Jackie sorrise, prendendo atto del tentativo di auto-ironia. Anche se poi era auto-ironico fino a un certo punto, perché Turner era davvero più bello di Doyle, anche se bisognava ammettere che non ci volesse poi molto. Doyle era partito come un allampanato e insignificante secchione, per poi diventare lentamente un uomo grigio e distinto. Turner non era distinto, ma c’era qualcosa di elegante, nella sua mancanza di distinzione. Sembrava sempre un po’ stropicciato. I capelli castani avevano sempre qualche ciocca fuori posto, la cravatta non era mai perfettamente dritta, la camicia era sempre vagamente spiegazzata. E anche la sua faccia era così. Il naso un po’ storto, come se se lo fosse rotto tempo prima, le sopracciglia molto mobili, ad ala di gabbiano... «Lei è un bell’uomo, per gli standard dei nostri politici e sua moglie è molto defilata... si aspetti problemi» disse Jackie. Sembrava un’osservazione amichevole, ma non lo era. Era un modo per metterlo sottilmente in imbarazzo ed era anche un’osservazione a cui Turner non poteva rispondere senza sembrare un coglione. Bisognava dire che lui ne era consapevole, infatti restò in silenzio. Il silenzio si allungò per qualche secondo e Jackie avrebbe finito per riempirlo, lasciandogli vincere quella manche, ma... Avvenne tutto molto velocemente. Porter si alzò, portandosi una mano al bottone della giacca. «Scusate» borbottò. Un istante dopo si piegava in avanti e vomitava sul tavolino di cristallo. Fu epico. Un fiotto di vino, cibo non digerito e succhi gastrici sommerse il registratore di Jacqueline, schizzando tutto intorno. Due belle masse giallo-arancioni le finirono sul davanti della camicia, mentre degli altri schizzi più piccoli le atterrarono sulla gonna. Jackie scattò indietro, ma ormai era troppo tardi. In quanto al cancelliere, il vomito dell’altro lo aveva preso sulle mani, sulle maniche della giacca e anche sui capelli. Turner non scattò inutilmente indietro. Invece restò immobile per mezzo secondo, congelato. Poi voltò lentamente la faccia verso Porter, che stava continuando a rimettere sul tappeto, e disse solo: «Che cazzo». «Vado subito a...» gorgogliò Porter, schizzando verso la porta. Paradossalmente, era l’unico a non avere del vomito addosso. L’odore, a quel punto, era bestiale. Turner alzò lo sguardo su Jackie. «Non so dirle quanto mi dispiaccia». Jackie emise una risata. «Ha del vomito in testa. Ci credo, che le dispiace». L’altro fece una smorfia. La porta si aprì di nuovo ed entrarono tre valletti del Numero Uno, agitatissimi. «Oh, mio Dio... cancelliere... oh, accidenti... oh, adesso...» Turner li azzittì con un’occhiataccia. «Adesso salgo nell’appartamento privato. È mio, in fondo. Qualcuno mi procuri una camicia, un completo... tutto. Spero che ci sia dello shampoo, nel bagno. Se non c’è, fate in modo che ci sia. Trovate una camicia e dei vestiti anche per la signora Dunn». Si decise ad alzarsi in piedi. «Lo scopo delle mie richieste mi sembra chiaro, ma lo espliciterò lo stesso: tra cinque minuti vorrei che entrambi non avessimo più del vomito addosso. Spero che non vi sembri chiedere troppo». I valletti li accompagnarono a un ascensore in un silenzio imbarazzato. - Quando uscì dalla doccia, scoprì che non le avevano lasciato un vero accappatoio, ma solo un grosso asciugamano e delle ciabatte di spugna come quelle degli alberghi. Anzi, osservandole meglio dovevano essere proprio quelle di qualche albergo, o comunque dello stesso fornitore. Se le infilò ai piedi e si avvolse nell’ascugamano, poi uscì nel corridoio. Turner era fermo davanti a una porta aperta, con le mani sui fianchi e la fronte leggermente aggrottata. Anche lui aveva un telo da bagno bianco, che si era legato attorno ai fianchi, e delle ciabatte di spugna. «Fa impressione, no?» disse, senza voltarsi. Doveva essersi accorto che era uscita dal bagno dal rumore della porta che si apriva. Jackie andò a guardare quello che stava guardando lui. Era semplicemente una cucina. Una grossa cucina vuota, con un’isola centrale e degli sgabelli da bar. «Porca vacca se fa impressione» confermò. «Doyle non faceva entrare nessuno quassù. Solo gli intimissimi, che, insomma... ha presente com’è fatto Doyle. Saranno stati tre». Turner sorrise leggermente. «Forse anche due. Be’, magari non più. Si è persino riprodotto». Fece qualche passo nella cucina vuota. «Ma fa impressione lo stesso. Mi hanno detto che i nostri vestiti stanno arrivando» aggiunse. Vide il telefono rosso attaccato al muro e lo sfiorò leggermente con un dito. «Mi dispiace per il suo registratore». «Oh, non si dispiaccia. Sarò costretta a scrivere un pezzo di colore». Turner si voltò a guardarla. «Racconterà tutto, eh?». Sospirò. «Suppongo che sia inevitabile». Jackie sbuffò. «Non racconterò niente. Ma dirò che siamo venuti qua e che mi ha permesso di vedere l’appartamento del cancelliere, prima di ristrutturarlo. Parlerò di questa strana impressione, del suo rispetto quasi intimidito... piacerà ai lettori, ma trasmetterà la sottile impressione che lei sia uno sprovveduto. A qualcuno piacerà anche quello». Turner incrociò le braccia, guardandola. La guardò in silenzio per qualche secondo, poi disse: «Ma non sono uno sprovveduto, sa». Jackie si strinse nelle spalle. Per qualche motivo le scocciava avere le spalle nude, in quel momento. Le scocciava essere nuda, al di sotto dell’asciugamano, e le scocciava che lui lo sapesse. Oh, naturalmente era nudo anche lui, sotto all’asciugamano, ma per qualche altro motivo non importava. «Già, ma noi ce la giocheremo così. Se fosse venuto dalle banche, dai vivai politici o dai sindacati avremmo detto subito che era un cinico bastardo. Ma dato che viene dall’università – e la gente sembra sempre pensare che gli accademici siano innocui e innocenti – la venderemo come un incompetente benintenzionato». «Che merdata» commentò lui, ma non in tono risentito. Il suo tono era rassegnato, al massimo. Poi emise una bassa risata. «Si immagina se Doyle avesse avuto un qualche sistema di registrazione automatico da completo paranoico? Si immagina se da qualche parte ci fosse un file con quello che stiamo dicendo... compreso quello che ha appena detto lei?». Jackie inarcò un sopracciglio. «Non c’è proprio niente del genere». «E come lo sa?». Lei sorrise leggermente. «Doyle non faceva salire nessuno quassù, gliel’ho già detto. Non avrebbe registrato le conversazioni con sua moglie. Al massimo può trovare una telecamera in qualche muro». Turner ridacchiò. «Credo che anche di quello ne avesse avuto abbastanza». Naturalmente tutti ricordavano le foto spinte che erano state scattate all’insaputa dell’ex-cancelliere e di quella che sarebbe diventata sua moglie. Lui si era sempre rifiutato di parlarne, ma aveva emesso un comunicato stampa davvero inviperito. «Si immagina se fossero state le sue? Se le avesse fatte arrivare lui, alla stampa? Apposta per creare uno scandalo per qualche suo contorto motivo?». «No, no» si limitò a dire Turner. Jackie lo fissò con aria sospettosa. «Lei lo sa» disse. «Lei sa chi le ha scattate, eh?». Il neo-cancelliere si grattò un braccio. Aveva delle belle braccia, notò lei. Asciutte, con i muscoli ben definiti. E nella parte interna degli avambracci le vene gli scorrevano in rilievo, azzurro chiaro sulla pelle pallida. «Su, lo sa che non le risponderò» disse. «Mh? Oh, sì, certo. Stavo pensando». Turner scosse appena la testa e si andò a sedere su uno sgabello. «Forse vogliono essere sicurissimi che siamo usciti dalla doccia» disse. «Non può chiamare qualcuno?». L’altro sospirò. Appoggiò i gomiti sul ripiano dell’isola e si stropicciò gli occhi. «Ho consegnato il mio cellulare a un tizio dei servizi segreti. Era vomitato. Cioè... tutta la tasca era piena di vomito. Posso chiamare con quel telefono rosso lì e far piombare qua l’esercito». Jackie rinunciò a insistere e si andò a sedere a sua volta su uno sgabello. Accavallò le gambe, ma non troppo. «Potrei trovare un foglio e farle qualche domanda. Non avrei backup, ma almeno avrei un po’ di virgolettato per il mio pezzo». L’altro le rivolse un sorriso gentile. «Guardi che conta come se avessi rimandato l’intervista. Le darò un appuntamento domattina, domani pomeriggio al più tardi». «Okay, grazie». Per qualche secondo rimasero in silenzio. Poi lui si voltò dalla sua parte e la fissò con espressione seria. «Insomma, lei non vuole vederla?». Jackie inarcò le sopracciglia, perplessa, ma poi si mise a ridere. «La camera da letto?». «Mh» confermò lui. «Io mi sono fatta la doccia nel loro bagno, se è per questo». Turner saltò giù dallo sgabello, si fissò meglio in vita l’asciugamano e si avviò lungo il corridoio. Jackie scosse la testa e lo seguì. «Be’, è... normale» commentò lui, quando vide la stanza. «Ha ragione, i primi ministri non dovrebbero mai avere una stanza da letto normale. La sua come sarà?» lo provocò lei. Turner indicò il soffitto. «Mi faccio fissare dei binari lassù. Per attaccarci un’altalena». «Un’altalena?». «Quell’altro tipo, di altalena» spiegò lui, serissimo. Jackie rise. «Ma dice davvero?». Rise anche lui. «No, scherza? Che cosa vuole che me ne faccia di un’altalena? Non ho nemmeno qualcuno con cui usarla». Lei inclinò la testa da un lato, quasi intenerita. «Non ha un altro registratore segreto, giusto?» chiese lui. «Magari lo avessi» sorrise Jackie. «E comunque scriveremo tutti che sua moglie non c’era. Poi spiattelleremo anche tutti la spiegazione ufficiale. Oddio, quasi tutti, magari. Qualche tabloid inizierà a speculare». Turner fece qualche passo all’interno della stanza. Girellò qua e là, guardò la vista fuori dalla finestra, guardò se stesso nello specchio dell’armadio. «Ciao, incompetente benintenzionato» si salutò. Poi tornò verso il letto e ci saltò sopra di schiena. Il telo di plastica che lo copriva crepitò, mentre lui si spingeva verso la testiera puntando i piedi. «Penso che li licenzierò, sa» disse, saltando di palo in frasca. «Dovrebbe almeno togliere il telo di plastica. Fa un rumore raccapricciante» non rispose lei. Che cosa faceva con i valletti del Numero Uno non la riguardava. Le sarebbe solo piaciuto riavere dei vestiti e andarsene a casa. «Mi piace, questo rumore». Turner fece ondeggiare il materasso, producendolo di nuovo. «È sexy». Jackie si strinse nelle spalle. Cominciava anche ad avere freddo. «Se torniamo in cucina, mi siedo anch’io. Anzi, se non sbaglio c’è anche un soggiorno con un divano e tutto». Lui non si mosse. «Mh-mh. Un paio di studi... una palestra... così mi hanno detto. Venga sul letto, invece». Jackie restò ferma sulla porta. Era esattamente il genere di situazione in cui non voleva trovarsi. Il tipo di situazione in cui non puoi vincere. Di solito era lei a infilare gli altri in situazioni del genere. «Mi perdoni, ma era fraintendibile» si limitò a una replica fiacca. «Ha ragione» annuì il neo-cancelliere. «Volevo dire: venga sul letto e si liberi di quell’asciugamano umido».

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