Capitolo 2
Jackie rimase ferma sulla porta. Per qualche secondo aspettò che lui ritrattasse. I politici erano bravissimi in quella cosa: tu li mettevi anche solo leggermente sotto pressione e loro rispondevano puntandoti addosso l’equivalente di un cannone nucleare.
Turner non ritrattò. «No, eh?» si limitò a dire, dopo un po’.
«Cancelliere, non la prenda per il verso sbagliato, ma...» iniziò lei, in tono civile.
Lui alzò una mano, fermandola. «No, okay. Ho capito. Non aveva bisogno di dire “cancelliere”, però. Quello è stato crudele».
Jackie sospirò e fece qualche passo verso il letto. «È proprio un pulcino» commentò. «“Cancelliere” è la sua arma di seduzione più affilata, ora. Volevo dire: cancelliere, se lo ricorda che non abbiamo né vestiti, né preservativi?».
Turner si voltò su un lato e aprì il primo cassetto del comodino. «Doyle, aiutami».
Jackie inarcò le sopracciglia, mentre lui apriva anche il secondo cassetto e poi si allungava verso l’altro comodino. «Quel bastardo non vuole farmi un favore nemmeno dopo essersi dimesso» concluse, vedendo che tutti i cassetti erano vuoti. Si alzò e prese il telo di plastica, buttandolo ai piedi del letto. «Però ha ragione, questo rumore è irritante».
Jackie aspettò che fosse voltato per tirargli via l’asciugamano. Per prima cosa vide le sue natiche, quindi. Natiche pallide e ossute.
Turner si voltò e le rivolse un mezzo sorriso. «Quindi è un’irresponsabile».
Lei lo guardò tra le gambe. Iniziava ad avercelo duro.
«Esiste anche il petting» disse, a voce bassa. Era imbarazzata, ora. Gli stava diventando sempre più duro e quello di cui aveva voglia Jackie, in realtà, era succhiarglielo.
«Posso?» chiese lui, prendendo il bordo del suo asciugamano. Lei annuì appena e Turner lo slacciò. La guardò. La guardò bene, dal viso a scendere.
Jackie aveva un bel viso, questo lo sapeva. Labbra grandi, anche troppo, e naso duro, ma nell’insieme dava l’idea di essere bella. I capelli castani e curati le arrivavano al collo e avevano un taglio ben preciso, un taglio alla moda. Turner le posò le mani sulle spalle e la spinse verso il basso.
Jackie quasi cadde, invece di inginocchiarsi. Recuperò l’equilibrio e si risollevò tenendosi a una delle gambe di lui. Si trovò il suo uccello davanti alla bocca.
Aprì leggermente le labbra e lui se lo prese in mano, guidandolo dentro alla sua bocca.
«Dio...» lo sentì mormorare. Le passò le dita tra i capelli, mentre lei iniziava a succhiare. Glielo leccò tutto, coprendolo di saliva. Lo ingoiò e lo strinse con le labbra. Lo mordicchiò sul glande e poi sull’asta. «Mi dispiace... sto per venire...» le disse, con il respiro accelerato. Un istante dopo lo fece. Jackie sentì il fiotto amaro del suo sperma nella bocca. Non ebbe la prontezza di fare nient’altro che ingoiarlo. Lo buttò giù e lui finì di venire sulle sue tette, tirandosi indietro un secondo troppo tardi.
Non disse che gli dispiaceva, in fondo era un politico, ma fece un’espressione dispiaciuta. La prese per i fianchi, la sollevò goffamente e la spinse sul letto. Le aprì le gambe e le sollevò il sedere con le mani, affondandole la faccia nella fica.
Jackie si sentì ansimare. Aveva ancora le tette sporche di sperma e un sapore amarognolo in bocca, ma sentire la sua lingua tra le grandi labbra la fece gemere di piacere. Chiuse gli occhi e si lasciò andare. Turner la leccò dappertutto, frenetico. Le succhiò il clitoride fin troppo forte.
«Scopami...» mormorò lei.
Lui le infilò dentro un dito, poi ci pensò meglio e gliene infilò dentro due. Jackie sentì che iniziava a pulsare. Il calore stava aumentando e aveva una voglia irresistibile di farsi fottere davanti e dietro. Si disse che era il momento. Ne aveva una voglia irresistibile in quel momento, dopo l’orgasmo le sarebbe passata.
L’orgasmo arrivò. Aprì gli occhi per guardare la testa di lui tra le sue gambe. Si voltò da un lato e si rese conto che c’erano due valletti fermi sulla porta con dei sacchetti in mano.
«Reid... Reid...» disse, cercando di allontanarlo.
Lui allungò una mano e le strinse una tetta, impiastricciandosi tutto. Le pulsazioni nel suo sesso aumentarono di intensità e di ritmo. Jackie iniziò a venire. Chiuse gli occhi, perché non riusciva a guardare quei due, mentre gli godeva davanti.
Singhiozzò di piacere, sobbalzando, e disse di nuovo: «Reid...»
Lui alzò la faccia. Era tutto bagnato, perché probabilmente lei aveva anche squirtato. Non ne era sicura, ma le succedeva.
La guardò e poi seguì il suo sguardo.
Si pulì il mento con il dorso di una mano.
«Be’» disse, con voce un po’ roca. «Vi volevo licenziare per il ritardo, ma bisognerà che vi tenga. Adesso posate quei sacchetti per terra e toglietevi dalle scatole».
Si decise a lasciarle andare le natiche. Le baciò la figa proprio nel mezzo. «Tu squirti» disse. Si arrampicò sul copriletto un po’ polveroso fino a essere alla sua altezza. «L’avevo visto solo nei porno».
Jackie deglutì. Era ancora paralizzata.
L’altro si stese al suo fianco su un lato, appoggiando la testa su una mano. «Jacqueline?».
«Quei tizi...»
«Mh, sì. Non diranno niente».
Lei scosse appena la testa. «Non è questo. Lo so che non diranno niente. Mi hanno guardata mentre venivo».
Reid le posò una mano su un seno. «Avrei voluto farlo anch’io». Sorrise, quasi dispiaciuto. «Ma dev’essere stato imbarazzante».
«Dio...» borbottò lei.
«Hai delle labbra...» disse lui, nello stesso momento. Si piegò in avanti, baciandola. Mentre lo faceva le palpò anche l’altra tetta. «Lo sai che ci pensano tutti, vero?».
«A che cosa?» disse lei. Era ancora scossa.
«A quelle labbra che ti ciucciano il cazzo. È proprio inevitabile. Sono così... soffici».
Le salì sopra. Era di nuovo duro e Jackie pensò confusamente che fosse il record mondiale o giù di lì. Poi si ricordò che nel frattempo lei era venuta e forse aveva perso la nozione del tempo. Reid si appoggiò sopra di lei. Il petto contro il suo petto, la pancia contro la sua pancia. Glielo mise dentro e inziò a muoversi. Jackie sentì le ossa del suo bacino contro la propria carne e le proprie ossa. La riempiva tutta e mentre lo faceva le schiacciava il clitoride, si strofinava proprio in quel punto.
«Cazzo» borbottò, abbondantemente in ritardo. Era in ritardo un po’ per tutto.
Lui le strinse le natiche con le mani. «Te lo metterei anche nel culo» confessò, candidamente. Lei si limitò ad ansimare. Lui continuò a scoparla, in modo meno impulsivo di quando le aveva leccato la figa, ma pur sempre un po’ freneticamente.
«Sì, fallo» disse lei, ancora una volta in ritardo.
«Tra un attimo» ansimò Reid.
Le affondò dentro ancora una, due, tre volte. Poi uscì. Jackie si voltò e sollevò il sedere. Allargò le cosce. «Cristo» disse lui. Le posò la punta dell’uccello proprio sul culo, sul buco, sull’uscita posteriore. E la inculò.
Lo fece quasi nel modo giusto. Non le fece poi troppo male. Certo, un po’ gliene fece. Per i primi secondi, anzi, le fece parecchio male. Poi il dolore diventò sempre meno intenso e Jackie lo sentì sputare. Il suo uccello iniziò a scivolare meglio. Inoltre lei iniziò a sgrillettarsi, cosa che le rese tutto molto più piacevole.
Anche se poi era piacevole comunque.
Farselo mettere nel culo da uno che non conosceva nemmeno, dal nuovo cancelliere delle Svetlands, in un appartamento vuoto, dopo che due sconosciuti l’avevano vista godere mentre lui gliela leccava? Era proprio perfetto. Il solo pensiero la faceva godere.
Reid accelerò un po’.
«Vieni?» le chiese.
Jackie si sentiva trapanare, allargare, infiammare... sì, stava per venire. Glielo disse. Lui diede un paio di colpi più veloci e profondi. Le sprofondò tutto dentro. Fece un verso simile a un grido, ma più musicale e più eccitato. «Oh, Dio...»
«Sì» disse lei. L’aria le fischiava fuori dai denti e là dietro era piena come un uovo. Culo, figa, tutto il suo corpo sembrò incendiarsi. Si accasciò sul materasso, mentre veniva.
Reid diede l’ultimissima spinta. Grugnì. «Oouh» ansimò. Glielo sfilò da dentro e Jackie sentì un rivoletto caldo che le colava via. Si stese su un fianco, riprendendo fiato.
«Che splendore» mormorò lui, baciandole la pancia. Posò la fronte lì, all’altezza della sua vita. «Stai bene, sì?».
«Sì, abbastanza».
In realtà iniziava a sentirsi in colpa. Pensò di tenerselo per sé, ma poi decise che non aveva nessun motivo per risparmiarglielo. «Mi sento un po’ in colpa, a essere onesta».
Lui si stese accanto a lei e se la tirò addosso. «Non farlo. Mi sento già in colpa io per tutti e due».
«Non mi riferivo a tua moglie» specificò lei.
«No, neanch’io» rise lui. «No, mi sento in colpa perché non avrei dovuto. Sei una giornalista. Dovevi solo intervistarmi. Non avrei proprio dovuto chiedertelo. Non è stato serio. Ho una giustificazione, vuoi sentirla?».
Lei sbuffò. «Avanti».
«Mi sento come se mi avesse travolto un treno. Sono il cazzo di primo ministro. Oggi. È successo proprio oggi, anche se era già successo due giorni fa. Oggi sono andato dal re. Oggi sono ufficiale, capisci? Ed è come prendere la scossa. Non fosse successa quella cosa di Quinton non l’avrei fatto e sarei tornato in albergo euforico ma insoddisfatto. Sai... così è un sacco meglio».
«Be’, è un po’ la quarta di copertina. Incontri il re, tutti ti festeggiano, affilano le armi contro di te, ti vomitano addosso e tu lo metti nel culo a qualcuno. È la descrizione del tuo nuovo posto di lavoro».
«Ma non ti ho fatto male, no?» chiese lui, aggrottando la fronte.
«Sì che mi hai fatto male. Te l’ho chiesto io ed è un po’ il nocciolo della questione, con il sesso anale».
Reid le leccò il collo. «Va bene. Accetto la tua parola. Tanto mi sento già in colpa. Senti... sei sposata, hai qualcuno?».
«No, ho divorziato. E poi è finita anche con l’altro tizio, diciamo».
«E allora perché ti senti in colpa?».
Lei si strinse nelle spalle. «Non avrei dovuto. Scopare così? Con uno sconosciuto? Con il primo ministro, come una qualsiasi puttanella? No, via. Mi intralcerà. Mi vergognerò ogni volta in cui dovrò scrivere di te. Domani ti mando il mio vice».
«No, dai» si lamentò Reid. «No, vieni tu. Stasera ero tutto suonato, ma domani vorrei azzuffarmi sul serio. E poi quelle labbra, Jackie. Sono micidiali. Nessun altro può farmi dire le sciocchezze da sprovveduto benintenzionato che puoi farmi dire tu, solo parlando con quelle labbra».
«Non è per niente carino» disse lei.
«No, però è vero. Mh... dovrei tornare alla festa, se c’è ancora una festa».
Jackie annuì. «Me ne vado a casa».
Lui guardò il soffitto. «Magari li metto davvero, i binari per l’altalena. Com’è che hai detto? La mia arma di seduzione più affilata, “cancelliere”. Magari la uso davvero, eh?».
Lei si alzò. «Narciso» gli disse.
«Già, infatti».
-
Mentre tornava a casa chiamò il suo direttore e la sua segretaria, in quest’ordine. A Hubbart spiegò che il consigliere di Turner aveva vomitato addosso a tutti e due e che quindi avevano spostato l’intervista per il giorno seguente. A Joyce disse di mettersi in contatto con la sala stampa della cancelleria e di fissarle un nuovo appuntamento.
Nel suo lavoro imparavi presto una cosa: funzionare a pieno regime era il minimo requisito indispensabile. Sempre. Non potevi staccare nemmeno per un secondo. Non potevi trascurare qualcosa. Non potevi avere, che so, l’influenza e riposarti per un giorno.
O meglio, l’influenza poteva venirti, ma era meglio che ti imbottissi di antipiretici e cercassi di tenere il passo.
Una volta a casa Jackie si infilò di nuovo dentro alla doccia. Si strigliò come se stesse combattendo contro un fungo, lavandosi e sterilizzandosi con l’acqua calda. Le sembrava di sentirsi ancora le sue mani da tutte le parti e a quel punto ne era vagamente disgustata.
Si rivedeva dall’esterno, dal punto di vista di quei due valletti. Un’importante giornalista che si contorce su un letto, sporca di sborra, mentre il cancelliere le lecca la figa e lei gode come una puttana, forse per finta. Jackie aveva un cervello affilato, specie quando si trattava di essere realista fino al dolore.
Quelli erano i fatti. Si era messa in una situazione merdosa. Anzi, tecnicamente era stato Turner a mettercela. Forse di proposito.
Jackie si guardò allo specchio e si aggiustò i capelli con le dita. Così aveva delle labbra da pompini, eh? Fece una piccola smorfia. Quello sì che non gliel’aveva mai detto nessuno...
Cercò di ripercorrere freddamente gli avvenimenti di quella sera. Avrebbe potuto tirarsi fuori dai guai, a un certo punto? Doveva prendere in considerazione l’idea di essere autolesionista?
Forse doveva andarsene coperta di vomito. Quello era stato l’ultimo momento sicuro. Non appena era rimasta da sola con il cancelliere era stata in pericolo.
Strinse i pugni, piantandosi le unghie nel palmo. E infatti.
Di solito non ti lasciano mai da solo con un primo ministro. Per proteggere lui, è ovvio, ma anche per proteggere te.
Nell’attimo in cui era rimasta da sola con lui, era stata allo scoperto. Una preda che stava solo al buon cuore di Turner non impallinare.