Capitolo 2-2

2006 Words
«Chiaramente, sono fuori dai giochi dal momento che mi sono allontanata da quel vincitore nato,» replicai in tono serio. Lui si accigliò, non cogliendo il mio sarcasmo. «Giochi?» «Feste, socializzazione, conoscere gente.» Feci roteare un dito per aria. «Conoscere uomini.» «Hai accalappiato il tipo delle ostriche.» Toccò a me accigliarmi. «Oh già, Bob/Bill è un ottimo partito.» «Si chiama Bob Bill?» domandò lui sorpreso. Questa volta risi di gusto. «No. Non mi ricordo il suo nome. Comincia con la B, però.» Feci spallucce. «Un revisore contabile.» «Ci sono stati tanti uomini che ci hanno provato con te nei bar?» Mi scrutò attentamente, forse un po’ troppo, in attesa della mia risposta. Lo faceva sembrare una specie di test. Io mi accigliai. «Io? Davvero?» Lui si incrociò le dita sul ventre decisamente piatto come a volersi mettere comodo. Non rispose alla mia domanda, bensì me ne pose un’altra. «Se quel tipo non ti andava a genio, che cosa cerchi?» Aveva detto di non starci provando con me, per cui non era davvero interessato a me. Forse voleva fare conversazione, nient’altro. La mia libidine appena risvegliata avrebbe semplicemente dovuto tornare in letargo. Forse quella consapevolezza mi fece rilassare, poiché avrei potuto parlare con un uomo, ma non parlare con un uomo. Uno che potesse effettivamente essere interessato a me. Dovevo solamente pensare a Gray come al personal trainer di Paul e dimenticarmi del fatto che mi avesse fatto bagnare le mutandine e battere forte il cuore facendomi arrossire. E ripensare meglio ai cowboy in futuro. «Parli solamente dell’aspetto fisico?» gli chiesi. Lui ci rifletté. «Certo. Possiamo cominciare da quello. Non puoi usare la descrizione di tuo marito o del tuo ragazzo, però.» Non ero tanto fuori dai giochi da non capire che stava cercando di carpire informazioni. «Sono divorziata,» gli dissi, chiarendo, forse più per me stessa che non a Gray, che Jack era sparito da tempo. Avevo tutto il diritto di starmene seduta lì a parlare con un gran figo. Gray capì di essere stato beccato e sorrise imbarazzato, delle piccole rughe che si formavano agli angoli dei suoi occhi. Come poteva avere un aspetto tanto minaccioso e pericoloso, ma essere così… dannatamente carino allo stesso tempo? «Buono a sapersi.» Io mi limitai a guardarlo, inarcando un sopracciglio. «Oh, stai aspettando me.» Si indicò, portandosi le dita della mano sinistra al petto così che riuscissi a vedere che non portava alcun anello. «Single, mai sposato.» Io annuii, rassicurata dal fatto che non mi stessi addentrando nel territorio di qualche altra donna. Non che mi stessi addentrando affatto. Stavo facendo conversazione. Tutto lì. Dubitavo che lui mi avrebbe afferrata a premuta contro la parete del ristorante per del sesso selvaggio. «Allora?» Allungò le gambe di fronte a sé come se avesse avuto tutto il tempo del mondo. Così facendo mi permise di notare come i jeans gli si tesero attorno alle cosce decisamente muscolose. Forse riuscivo a scorgere il profilo del suo… oh cavolo. Rendendomi conto di starlo fissando lì, sollevai lo sguardo, i suoi occhi scuri che sostenevano i miei per poi scorrermi in volto. Imbarazzata, mi lisciai di nuovo delle pieghe immaginarie sull’abito giallo. Mi sentii arrossire. Non guardavo il pacco di un uomo da… be’, da sempre. «Che cosa cerco in un uomo?» ripetei, cercando di riportare la mia mente alla conversazione attuale invece che su certi pensieri sconci. Un personal trainer che si veste da cowboy. Te. Potrei decisamente essere interessata a te. Gray mi stuzzicava in ogni modo possibile, ma non glielo avrei di certo detto, poiché sarebbe stato mortificante scoprire che la cosa non era affatto reciproca una volta che si fosse messo a ridere di me e se ne fosse andato. «Sì.» Scrollai leggermente le spalle con indifferenza, i miei lunghi capelli che si spostavano. Ci avevo infilato qualche forcina per scostarmeli dal viso, ma dal momento che i miei capelli non avevano mai fatto nulla di ciò che avrei voluto io in tutta la mia vita, le morbide onde si stavano sciogliendo. «È facile. Non sto cercando nessuno.» Era la verità. Non ero interessata a trovare un uomo. Dopo che Jack aveva abbandonato la città con la sua assistente legale quattro anni prima, ero entrata in modalità madre single. Non solo aveva divorziato da me, ma aveva praticamente abbandonato anche suo figlio allora quattordicenne. Dovendo gestire Chris e la sua rabbia nei confronti di suo padre, il liceo, il trasferirmi dai miei genitori, le iscrizioni al college, la vita, il lavoro, non avevo sollevato la testa per prendere nemmeno fiato una volta, figuriamoci per guardarmi attorno. Ora, con Chris al suo primo anno di college, avevo un po’ più di tempo per me di quanto sapessi gestirne. Ero, per la prima volta da che avevo avuto diciannove anni, da sola. Ero un genitore con figli adulti, e ciò significava vecchia. Sconti per le cene consumate in anticipo e biglietti ridotti. «Sul serio?» Incrociò le caviglie. «Penso che tu sia l’unica donna qui al ristorante a non essere a caccia.» «E Christy,» aggiunsi io. La mia amica aveva cacciato abbastanza e aveva trovato il suo uomo. «E tu?» «Io mi guardo attorno,» ammise. «Ho visto te, no?» «Mi hai salvata,» ribattei io. C’era una grossa differenza. Paul gli aveva chiesto di salvarmi. Non era stato lui a cercarmi di sua spontanea volontà. Tuttavia, riuscii a sentirmi arrossire e distolsi lo sguardo, a disagio per via delle sue parole. «Nemmeno io sto cercando, ma non sto nemmeno non cercando.» Esitai, pensandoci. «Sorprendentemente, ti seguo.» «Non vuoi il tuo drink? Fa ancora piuttosto caldo fuori.» Io lanciai un’occhiata al bicchiere, la condensa che formava delle gocce che ne scivolavano lungo i lati. L’aria era ancora piuttosto calda, nonostante fossero passate da un po’ le otto. Eravamo nel pieno di un’estate di San Martino, poiché a quel punto si sarebbe già dovuto sentire il gelo autunnale nell’aria. «Non bevo da bicchieri che mi hanno dato degli estranei.» Oh mio Dio. L’avevo detto a voce alta? Strinsi le labbra, per paura di farmi sfuggire qualcos’altro di terribile. Ero una tale idiota. Avevo appena osato accusare Gray, che non era stato altro che gentile con me, di avermi infilato una droga da stupro nel drink. Christy aveva ragione. Non ero proprio capace a interagire con gli uomini—avevo parlato di ostriche con Bob/Bill, per cui forse ero stata io la scema e non lui—ma troppa esperienza col mio lavoro mi aveva messa in guardia. Avevo visto troppo del mondo reale passare per il pronto soccorso da diventare diffidente, perfino in una piccola città come Brant Valley. Era una cittadina universitaria. Un sacco di ragazzi di vent’anni e qualcosa che facevano cose stupide. Violenza domestica. Incidenti stradali. Droghe. Capitavano brutte cose ovunque. E poi, certa gente non era buona. In effetti, un sacco era puramente crudele. Vedevo ogni giorno vite distrutte. Erano passati quasi vent’anni dall’ultima volta che ero uscita con un uomo. Diamine, io e Jack eravamo a malapena usciti insieme. Eravamo passati dal conoscerci e fare sesso come fanno tutti al college al trovarci genitori a sorpresa, il tutto nel giro di un anno. A prescindere dai miei fallimenti personali, non c’era bisogno che insultassi Gray, che pensassi che avrebbe fatto qualcosa di terribile solo perché capitava. Ero una tale idiota! «Oh merda,» sussurrai. Mi girai sulla sedia per non guardarlo direttamente. Mi bruciarono gli occhi dalle lacrime nel rendermi conto della portata di ciò che avevo detto. Probabilmente avrebbe roteato gli occhi di fronte a quanto fossi strana, mi avrebbe considerata una pazza furiosa e se ne sarebbe andato. Avrebbe potuto trovarsi una donna che offrisse un bel decolleté e un chilometro di gambe scoperte e che sapesse sostenere una conversazione normale e non ci pensasse due volte ad accettare un drink da parte sua. «Ehi. Ehi, tranquilla,» mormorò Gray, in tono quasi rasserenante. «Una bella donna come te è saggia a seguire quella regola.» Sentii le sue dita sulla mia schiena, un tocco delicato, e trasalii. Mi coprii il viso con una mano, desiderando che sparisse. «Sono un po’ imbarazzata, sai,» borbottai. «Ho detto una cosa proprio stupida.» Un gruppo di uomini, che parlavano abbastanza forte da indicare che si erano bevuti qualche bicchiere di troppo, svoltò l’angolo. Io voltai ancora di più la testa sperando che nessuno mi notasse. Sentii la sedia di Gray strisciare contro il pavimento di cemento. «Ehi, ragazzi, trovatevi un altro posto dove stare,» disse mentre si parava di fronte a me, la voce calma, ma possente. Quelle degli uomini cessarono immediatamente ed io dovetti voltarmi per guardare cosa stesse succedendo. Gray se ne stava in piedi rivolto verso il gruppo, con le mani sui fianchi, a coprirmi alla loro vista. Non riuscivo a vederlo in volto, ma loro non discussero, si limitarono a fissarlo per un istante e a battere in ritirata con un, «Certo, amico. Non c’è problema.» Riuscii a concedermi un breve istante per lanciare un’occhiata al sedere di Gray, alle sue spalle ampie, a tutta la sua parte posteriore che non ero stata in grado di osservare prima. Era altrettanto bello che da davanti. Gray si voltò, abbassò lo sguardo su di me, poi rimise la sedia a posto, sebbene questa volta, quando si sedette, fu molti centimetri più vicino. «Emory.» La sua voce rendeva il mio nome liscio come la seta. Io incrociai il suo sguardo. Aveva la testa leggermente piegata di lato come a cercare di leggermi nel pensiero. I suoi occhi scuri sembravano preoccupati, tuttavia non erano meno intensi. «Scusami,» dissi subito, leccandomi le labbra che mi si erano improvvisamente seccate. «Sono una tale idiota. Te l’avevo detto che non ne sono capace.» Le mie parole erano cariche di emozione e di estrema mortificazione. «Te la stai cavando alla grande.» Prese il bicchiere d’acqua, ne bevve un grosso sorso per dimostrare che non avesse alcun piano malefico, poi me lo offrì. «Prendi il bicchiere, Emory. È sicuro. Con me sei al sicuro. Non ti farei mai del male. Te lo prometto. Ma non fidarti solamente della mia parola, chiedilo a Paul. Mandagli un messaggio.» «Mi ha rivolto i pollici in su, per cui devo immaginare che tu non sia un pericoloso criminale,» replicai io. «Pericoloso, forse, ma non per te. Mai con te. Mandagli un messaggio più tardi, allora, dopo la festa. Voglio che tu lo faccia così da non avere paura di me.» In qualche modo, sapevo che non era pericoloso come sembrava—tatuaggi, capelli corti, cicatrici. Ero solamente diffidente in maniera naturale e ridicola. Se avessi mai voluto uscire dal mio guscio come Christy insisteva sempre che dovessi fare, dovevo cominciare subito. Gray non era alla ricerca di qualcosa. Di qualcuno. L’aveva detto lui stesso. L’avevo visto comportarsi in modo amichevole con Paul. Si stava comportando solamente in maniera amichevole con me. Allungai una mano e presi il bicchiere, le nostre dita che si sfioravano. La scintilla che sentii a quel leggero tocco mi fece scattare gli occhi verso l’alto per vedere se l’avesse avvertita anche lui. Per un breve istante, tenemmo entrambi il bicchiere, il mondo attorno a me concentrato solamente su quella minuscola connessione. «Non ho paura di te,» gli dissi, un attimo prima di bere un sorso di quell’acqua fredda. Lui inarcò un sopracciglio e mi scrutò scettico. «Davvero, non ne ho. Non ho paura, però mi rendi… nervosa.» Stavo agitando le dita e sollevai una mano per mostrarglielo. «Vedi?» La sua espressione mutò in una sorpresa. «Nervosa? Per colpa mia? È per via del mio bell’aspetto da ragazzo della porta accanto?» Sapeva di essere intimidatorio e si stava prendendo in giro da solo. «Nervosa abbastanza da accusarti di avermi messo qualcosa nel bicchiere.» Il suo ampio sorriso fece sorridere anche me. Come faceva a mettermi a mio agio quando invece avrei dovuto sentirmi ridicolmente in imbarazzo? «Posso avere l’opportunità di ricominciare daccapo come hai fatto tu?» Lui annuì e si incrociò le dita tozze sul petto. «Mi pare giusto. Una seconda occasione per entrambi.»
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