Capitolo 2-1

2009 Words
2 EMORY Annuendo, finsi un sorriso e lasciai che il cowboy mi conducesse oltre il bar. Tutti sembravano guardare noi, lui, dal momento che aveva un atteggiamento e un portamento che urlavano Levatevi dai piedi. Posai il mio bicchiere su un tavolino alto mentre ci passavamo accanto. Il signor Cowboy mi lasciò andare la mano—teneva un bicchiere a sua volta nell’altra—per aprire la porta che conduceva al patio esterno e me la tenne aperta. Le sedie erano disposte su tre lati dell’edificio sebbene le finestre si aprissero solamente su quella che dava sulle montagne. L’aria era calda, in forte contrasto con quella condizionata all’interno. Non era la giornata calda a farmi sudare. C’era un motivo del tutto diverso. Mentre la porta si chiudeva alle nostre spalle, i rumori del ristorante e del bar si attutirono. Il sole era tramontato dietro le montagne, ma il crepuscolo sarebbe durato ancora un po’ e avrebbe cambiato colore man mano che l’oscurità avanzava. Le luci degli edifici del centro attorno a noi si stavano accendendo e quella vista mi ricordava il motivo per cui adorassi vivere nel Colorado. Delle coppie e dei piccoli gruppi di persone chiacchieravano vicino alla ringhiera e su alcuni divanetti disposti nella zona patio, per cui lui indicò con la mano occupata dal bicchiere di svoltare un angolo. Là era tranquillo ed io andai a sedermi su una di due sedie che davano sul bel panorama. Dal momento che Christy era innamorata, voleva che anche tutti gli altri lo fossero, ma gente come Bob/Bill non è che mi facesse venire voglia di cambiare il mio stato di f*******: impostandolo su In una relazione. In ogni caso, lei e Paul avevano cercato di rimettermi in pista ora che Chris era via al college, ma usare quel tipo—per la miseria. La mia vita si era concentrata sul crescere Chris per così tanto tempo che non sapevo come essere semplicemente me stessa, la donna, non la mamma. E adesso, eravamo solo io e quel tipo follemente bello e non sapevo che cosa fare. Una cosa era parlare con Bob/Bill, ma quell’uomo mi lasciava con la gola secca, la lingua annodata e la mente in subbuglio. «Ti spiace se mi siedo con te?» La sua voce fu profonda, tranquilla e rilassata, paziente. Il mio cuore mi fece quella specie di balzo fino in gola mentre sollevavo lo sguardo su di lui. A soli pochi passi di distanza, aveva un aspetto un tantino pericoloso. Aveva il naso rotto. Avevo ragione al riguardo. C’era anche una cicatrice che gli incideva il sopracciglio sinistro, quel segno bianco in forte contrasto con i capelli corti e scuri. Lui sorrise e attese. «Oh, um. Certo.» Stringendo lo schienale della sedia e chinandosi, lui mormorò, «Non mi sembri tanto certa.» «Io… mi stavo solamente chiedendo perché,» risposi imbarazzata. Le mie insicurezze si stavano palesando. Per quanto mi sentissi sicura di me in quanto madre e nel mio lavoro, quando si trattava di uomini come lui e della palese selezione di donne più giovani e più nubili al bar, mi sentivo in difetto. Trovandomi io ormai al sicuro, lontana dall’Uomo Ostrica, lui sarebbe potuto tornare al bar, avendo portato a termine il suo compito cavalleresco per quella sera. Lui si accigliò, aggrottando leggermente la fronte. «Perché?» «Perché vuoi restare qui… con me.» Indicai il bar. «Dirò a Paul che mi hai salvata, cosa che hai fatto, per cui grazie. Sei libero.» A quel punto lui si sedette e si sporse in avanti, così da appoggiare gli avambracci sulle cosce. I muscoli spessi erano difficili da ignorare e dovetti chiedermi come fosse fatto il resto del tatuaggio, in parte nascosto sotto la sua camicia coi bottoni a scatto. Tutta la sua attenzione era nuovamente rivolta solamente a me, come se non ci fosse stato nessun altro con cui avesse voluto parlare, che avesse voluto guardare. Con cui avesse voluto stare. «Magari non voglio essere libero.» Oh. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, non riuscivo a fare nulla se non rendermi conto che volava stare seduto con me—me! —e sentii qualcosa cambiare dentro di me. Qualcosa di bello. «Oh.» «Ti ho portato un altro drink.» Aveva in mano un bicchiere da cocktail pieno di una bevanda ghiacciata con due fettine di lime sopra. Ai lati colavano gocce di condensa. «Grazie, ma stavo bevendo--» «Acqua,» mi interruppe lui, finendo la mia frase e posando il bicchiere sul tavolino basso di fronte a noi. I suoi occhi scuri mi stavano di nuovo scrutando attentamente, con calma. Era come se fosse stato in grado di dimenticarsi completamente di tutti gli altri clienti del ristorante, del rumore dei piatti che venivano impilati, perfino della musica di sottofondo e concentrare su di me ogni singola goccia della sua attenzione. «Sì,» ammisi, spalancando gli occhi. Come faceva a-- «Mi stavi osservando.» Paul aveva apposto il suo sigillo di approvazione su quel tipo, ma chiunque avesse mai sentito dire che il suo vicino fosse uno spietato assassino non ne aveva avuto idea fino a dopo un terribile omicidio. Io non vedevo armi, sebbene non ci fossero dubbi sul fatto che, a giudicare dalla sua fantastica corporatura solida, sarebbe stato in grado di fare del male a qualcuno anche senza. Mi sentivo diffidente e nervosa, adesso… in maniera completamente diversa. Non volevo che fosse un tipo inquietante. Lui si appoggiò allo schienale e sollevò le mani di fronte a sé. «Oh, ehi, non voglio veder sparire quel bel sorriso. Non preoccuparti, non ci sto provando con te.» Io irrigidii la schiena e mi sentii arrossire. «Certo che no.» Perché avrebbe dovuto sprecare il suo tempo a provarci con me quando c’era uno stormo di donne facili dentro? Di sicuro non gli serviva altro che arricciare un dito e si sarebbero precipitate da lui ansimando. Era… molto, molto attraente. Intenso. Bob/Bill era piuttosto carino ed era inquietante. Quel tizio era di più. Aveva prestanza. Sicurezza di sé. Trasudava testosterone da tutti i pori e, a giudicare da come io gli stessi praticamente ansimando addosso, senza dubbio anche feromoni. Non ci stava provando—non ne aveva bisogno. Semplicemente… c’era. Lui sogghignò e quel sorriso modificò tutto il suo atteggiamento. Rilassato dal mio sarcasmo, si accomodò sulla sedia, i gomiti sui braccioli. Io, d’altro canto, ero seduta dritta come un fuso e pronta a fuggire. «Cazzo, mi è uscita proprio brutta, eh?» ammise, sfregandosi la nuca mentre faceva una smorfia. «Perfino offensiva. Scusa. Devo ammettere che mi rendi un tantino nervoso.» Il mio cervello si bloccò. «Io?» Inarcai entrambe le sopracciglia. «Io ti rendo nervoso? Sei così fuori dalla mia portata,» ammisi accigliata. Ora se ne sarebbe andato. Lui abbassò lo sguardo sui propri piedi per poi riportarlo su di me. «Sì, lo so.» La sua voce fu bassa, quasi rassegnata. «Aspetta.» Scossi la testa, sollevando una mano. «Tu pensi che io… non esiste. Hai visto alcune delle donne che ci sono qui stasera? Sono così… giovani.» I suoi occhi scuri mi scorsero addosso, dai miei capelli—molto probabilmente—scompigliati fino alla punta delle mie unghie dei piedi smaltate e viceversa. «E tu saresti vecchia?» Non mi concesse il tempo di rispondere. «Fidati, sono proprio dove voglio essere.» Oh. Non potei trattenere il piccolo sospiro che emisi tra me a quelle parole. Lui si sporse nuovamente in avanti, sfregandosi la mascella squadrata con una mano. Probabilmente si era fatto la barba quella mattina, ma aveva bisogno di rifarsela. Non che a me desse fastidio. Avrei voluto far scorrere le dita su quell’accenno di barba e scoprire se fosse morbida o pungente. «Lasciami ricominciare daccapo. Okay?» Io piegai la testa di lato e notai la sua espressione contrita. Annuii, curiosa. «Mi chiamo Gray, sono il personal trainer di Paul.» «Trainer? Pensavo…» L’allenatore di Paul? A parte la camicia coi bottoni a scatto, o al di sotto di essa, lo sembrava. Era in forma. Ma in forma come se avesse vissuto a quel modo, non che lo fosse diventato solamente facendo pesi in palestra. Le sue braccia erano estremamente muscolose, le sue mani rozze, le dita lunghe. Con la cicatrice e i tatuaggi, sembrava davvero pericoloso, più come un lottatore che non un semplice allenatore. Forse aveva gareggiato in passato. Boxe? Rodeo? Sembrava essere in grado di lanciare balle di fieno con un una mano legata dietro la schiena. Di cavalcare un toro per otto secondi e sopravviverci. «Che me la vedessi tutti i giorni con le mucche?» Io mi morsi un labbro, poi sorrisi. «Sì.» Cosa ne sapevo io di roba da cowboy? L’ultima volta in cui ero stata a cavallo era stato in campeggio all’età di undici anni. Brant Valley non era una metropoli come Denver, ma era comunque una città. Gray non si adattava a nessuno stampo in cui la mia mente cercasse di collocarlo. Sapevo solamente ciò che riuscivo a vedere, ciò che mi aveva detto lui. Unendo il cupo senso di pericolo ad un sorriso malizioso, era letale per i miei sensi e faceva perdere un battito al mio cuore. Lui mi porse la mano ed io mi allungai per stringergliela, ma lui non mi lasciò andare subito. Invece, mantenne il contatto tra le nostre dita, quel legame. «Io mi chiamo Emory. Sono amica di Christy.» «Emory,» ripeté lui, come a provare il mio nome, lasciandomi finalmente la mano. «Ecco. Qui non ho fatto casini.» Io roteai gli occhi e sorrisi—non potei farne a meno—mentre mi riportavo la mano in grembo. Ogni volta che mi agitava, riusciva anche a rilassarmi. «Immagino di doverti ufficialmente ringraziare per avermi salvata.» Rivolsi un cenno del capo in direzione del ristorante. Lui annuì. «Paul mi ha chiesto se potevo intervenire con suo cugino. Mi ha detto che è un viscido.» Io spalancai gli occhi. «Paul ha detto viscido?» Gray sogghignò e le piccole rughe che aveva agli angoli degli occhi si accentuarono. «Aveva scelto una parola… diversa, ma non impreco davanti a una signora.» Quell’uomo era figo e un gentiluomo. Che problemi aveva? Nessuno che riuscissi a vedere io. «Perfino dall’altro lato della stanza, era chiaro a entrambi che non ti stessi divertendo, e quando quel tipo ti ha messo una mano sul braccio e tu ti sei tirata indietro…» Non concluse la frase, ma vidi il modo in cui contrasse la mascella. Abbassai lo sguardo sulle mie mani. Offrii un verso evasivo perché non c’era molto da dire riguardo a Bob/Bill. «Avrei dovuto scaricarlo prima di avere bisogno di essere salvata. Cioè, pensava di stare mangiando delle vere ostriche.» Lui incurvò un angolo della bocca verso l’alto. «Ma tu sei troppo gentile, non è vero, Emory?» commentò mentre mi guardava lisciarmi l’abito sulle cosce. «Non ha fatto niente, vero? Non ha detto nulla che ti abbia ferita?» Io sollevai lo sguardo su di lui attraverso le ciglia. «Hai intenzione di andare a picchiarlo, nel caso?» Lui fece spallucce. «Forse. Se non altro ad insegnargli un po’ di buone maniere.» Wow, era un tipo intenso—era completamente concentrato su di me e si preoccupava per me. Era esilarante. Con i suoi occhi scuri addosso, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Non avevo dubbi che se gli avessi detto che quel tipo mi aveva messo una mano in vita, Gray sarebbe tornato dentro a spezzargli le dita. «No, non ha fatto nulla. Davvero,» aggiunsi, perché lui non sembrava credermi. Emisi una piccola risatina sterile. «Avrei potuto andare in camera sua con lui.» Gray inarcò entrambe le sopracciglia di fronte al mio tono scherzoso. «Posso riportarti da lui, se vuoi.» Indicò il bar alle proprie spalle con un pollice. Riuscivo a scorgere una scintilla divertita nei suoi occhi. Io strinsi le labbra, cercando di non sorridere. «In realtà era molto interessante. Ora so quali sono i mesi adatti a mangiare ostriche. Vere ostriche.» Lui sollevò le mani di fronte a sé. «Non posso competere con quello.» Io sogghignai delle sue parole ridicole. Gray non aveva rivali, affatto, per quanto mi riguardava.
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