2.
Isenly Tinesa aveva assistito alla lotta con un misto di disgusto e pietà. Era nella tribuna d’onore, seduta accanto a Sonmon Stanbri, l’amministratore del Ludo della Trident, di conseguenza aveva cercato di non lasciar trasparire quello che provava, ma lo spettacolo era stato atroce.
«È furbo, Renan. Ha visto come ha pianificato tutto?» le chiese Stanbri, con una risatina.
Renan, giù in basso, si aggrappava alla lancia e cercava di non cadere. Era sporco di sangue, di sudore e della roba unta che si spalmavano i gladiatori sul corpo prima di combattere. Nudo e scosso da un tremito nervoso, sopravvissuto a stento, non le sembrava un vincitore soddisfatto di se stesso.
«Già» si limitò a dire, comunque.
«Ora naturalmente ci occuperemo delle sue ferite» aggiunse Stanbri, in tono virtuoso. «Anche queste bestie hanno dei diritti, non è vero? E piacciono al pubblico, specie alle donne».
Isenly annuì rigidamente. Le veniva da vomitare.
«In quanto nostra ospite d’onore dovrei chiederle se vuole che glielo spedisca in camera, stasera, ma visto che è un’inviata dell’Organizzazione Interplanetaria per i Diritti Umani suppongo che...»
«Lo mandi» disse lei. Non cambiò espressione, ma l’amministratore ridacchiò lo stesso.
«Come non detto. Suppongo che un bel pezzo di maschio piaccia a tutti».
Isenly si limitò a rivolgergli un sorriso freddo, senza rispondere.
Era lì praticamente solo per il dopo-combattimento. Come si svolgevano quegli spettacoli infami lo sapeva già, quello che voleva era parlare con uno dei prigionieri senza essere ripresa.
E dubitava che l’odioso Stanbri, lì, non sapesse che cosa intendeva fare con il gladiatore. Semplicemente, non aveva perso l’occasione di essere sgradevole e di provare a metterla a disagio.
Isenly sorrise mentalmente. Un verme come lui non aveva nessuna possibilità di riuscirci.
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Qualcuno bussò alla porta della sua stanza circa mezzora più tardi. Isenly era seduta alla scrivania e stava scrivendo il rapporto preliminare.
«Avanti» disse. Doveva essere il suo “regalo per la nottata”, per usare le parole del manager.
Un attimo dopo Van Renan entrò nella stanza. Visto da vicino faceva impressione per molti motivi. Innanzitutto era alto. Più di un metro e novanta, di sicuro. Isenly non era familiare con le misurazioni in piedi e pollici della Triton, quindi quando avevano letto la sua altezza non ci aveva fatto caso.
Secondariamente, era ancora sudato, sporco e insanguinato. Le ferite gli erano state medicate con uno spray cicatrizzante, nient’altro.
Portava un collare di controllo che serviva a neutralizzarlo nel caso si fosse dimostrato violento.
Ma la cosa che più colpiva – colpiva come un pugno allo stomaco – era il contrasto tra l’espressione dei suoi occhi e l’erezione pulsante che aveva tra le cosce.
Isenly spostò lo sguardo dal membro enorme, congestionato, scuro per l’afflusso di sangue, percorso da un reticolo di vene, allo sguardo sconnesso, distante anni luce.
«Signor Renan» disse, alzandosi. «Suppongo che l’abbiano drogata».
Lui le lanciò un’occhiata indifferente. «Di brutto. Ma non deve preoccuparsi». Si toccò il collare. «Ho questo. Che cosa devo fare?».
Isenly scosse la testa.
«Nulla. Mi chiamo Isenly Timesa, sono una rappresentante dell’Organizzazione Interplanetaria per i Diritti Umani. Vorrei solo parlarle. Ovviamente, se desidera usare il mio bagno per lavarsi e... sistemarsi... è il benvenuto».
Per qualche secondo Renan sembrò indeciso. Era chiaro che stava valutando la possibilità che quella fosse una trappola.
Isenly prese le sue credenziali e gliele mostrò.
Renan si passò una mano sulla testa quasi-rasata, a disagio. «Non riesco a leggere. Ho la vista sdoppiata. Diciamo che le credo sulla parola».
«Perché ha la vista sdoppiata?».
«Sono pieno di erectol» spiegò lui, senza mezzi termini. «Quindi posso...»
«Prego» confermò lei, aprendo la porta del bagno. «Usi pure i saponi e l’accappatoio».
Renan le rivolse un lieve cenno con il capo, prima di lasciarla da sola.
Isenly tornò a sedersi. Il modo in cui trattavano quelle persone era così bestiale che non ci si credeva. Li usavano per intrattenere il pubblico pagante con la propria agonia, per poi spedirli a fare da schiavi sessuali con gli ospiti di riguardo.
Quell’uomo... certo, era stato condannato per strage, ma aveva dovuto sopravvivere a ventitré ordalie come quella a cui Isenly aveva appena assistito. Finché restava nel Ludo non aveva modo di controllare le carte processuali di Renan, nello specifico, ma anche supponendo che fosse il peggiore dei mostri, il trattamento cui lo stavano sottoponendo era una tortura contraria a qualsiasi legge sui diritti umani.
Circa dieci minuti più tardi il suo ospite rientrò nella stanza. Era pulito e indossava un accappatoio del Ludo, blu con i bordi verdi.
«Prego, si sieda. Gradisce qualcosa da bere?».
Renan deglutì. «Acqua».
Isenly gli prese una bottiglietta dal frigo e gli indicò la poltrona.
Il prigioniero si sedette pesantemente, allungando le gambe davanti a sé.
«Le è già successo molte volte di venir mandato a intrattenere sessualmente un’ospite?» gli chiese, cerando di rendere gentile la propria voce.
Lui si strinse nelle spalle. «Questa sarebbe stata la ventitreesima».
«Ha la possibilità di rifiutare?».
Lui rise. Una risata amara e graffiante. «Non sia stupida».
«Mi scusi se glielo chiedo, ma hanno modificato chirurgicamente i suoi genitali?».
Era una pratica illegale. Completamente illegale.
«I miei? Nah. Hanno detto che rientrano per un pelo negli standard che gli ospiti si aspettano, sa. Non per i dopo-combattimenti... o forse anche per quello, non lo so... quanto per i combattimenti stessi. Odiano che i gladiatori sembrino mini-dotati, mentre combattono. Al pubblico piace veder dondolare la mercanzia».
Isenly deglutì. Era stato senz’altro diretto. D’altronde, non si aspettava che usasse educate circonlocuzioni e tranquillizzanti eufemismi.
«E i detenuti che non rientrano in questi “standard”, signor Renan?».
Un sorriso sarcastico. «Fa un po’ ridere, signor Renan. Comunque. A loro ingrandiscono l’uccello e le palle a colpi di bisturi. Certo, poi è più difficile usarli per i dopo-combattimenti».
«Quindi, per quello che ha potuto osservare, questo genere di procedura può dare disfunzioni sessuali».
«È chiaro. Scusi se glielo chiedo...»
Lei sorrise. «Ha ragione, non è il modo più cortese per iniziare una conversazione».
Renan sbatté le palpebre. «Non ha importanza. Sono qua per fare quello che vuole. Se vuole risposte sincere le darò risposte sincere, se vuole violentarmi con un dildo mi lascerò violentare con un dildo».
Isenly lasciò cadere il registratore a terra.
Si scusò, lo riprese e controllò che non si fosse spento. Le tremavano le mani.
«Le... le è successo?».
«Qualche volta. Ma per lo più, sa, gli ospiti si aspettano una manifestazione di virilità».
«Che cosa vorrebbe fare, dopo un combattimento?».
«Restare vivo?».
Isenly prese atto del tentativo di scherzare con un sorriso. Anche se come scherzo era piuttosto agghiacciante.
«Lavarmi e andare a dormire».
Lei indicò il letto. «Può dormire, se vuole. Possiamo continuar a parlare anche domattina».
Renan scosse la testa. «Ora non ci riesco. Sta per tornarmi duro. Continuerà così per un po’».
«Capisco» disse lei, a voce bassa.
«Non voglio sconvolgerla, ma le buone maniere non contano più molto per me».
Isenly annuì. «È sopravvissuto a ventitré combattimenti».
«Già».
«Da quanto tempo è prigioniero?».
«Trecentoquarantuno giorni».
«Quanto le resta?».
«Circa tre anni. Non sappiamo la data di rilascio precisa».
Isenly si appuntò una domanda per dopo. «Il tasso di mortalità è molto alto, qua».
«Lo so. Voglio provarci lo stesso».
«Ha un motivo per vivere?».
Lui annuì. Non aggiunse altro.
«Mi può parlare della sua routine giornaliera?».
«Mi svegliano, mi danno cibo semi-solido, vado ad allenarmi al simulatore. Altro cibo semi-solido, un’ora d’aria con gli altri, allenamento in palestra, cibo semi-solido, dormire. Niente doccia, tranne prima dei combattimenti. Niente da leggere, niente da guardare, il cesso è un buco per terra. Niente vestiti, mai. Solo un lenzuolo sulla brandina».
«Con gli altri detenuti...»
«Cerco di parlare poco. Dovrò ammazzarli, se voglio uscire di qua».
Isenly prese un documento.
«Signor Renan... suppongo che non riesca ancora a leggere...»
«No. Per lei sarebbe un problema se tornassi in bagno?».
Isenly sbatté le palpebre. Ci arrivò.
«No, prego».
Renan si alzò. L’accappatoio non nascondeva un’altra erezione. Si cacciò in bagno e si richiuse la porta alle spalle. Isenly si chiese se gli avessero dato una dose particolarmente forte per mettere in imbarazzo lei.
Circa dieci minuti più tardi Renan tornò nella stanza. Si risedette in poltrona senza dire una parola.
Isenly riprese il documento.
«Come dicevo... anche se non può leggerlo, questo è il contratto che ha firmato al momento della sentenza. Lei è qua su base volontaria, me lo conferma?».
Lui annuì. Aveva la faccia stanca, gli occhi cerchiati di scuro. «L’alternativa era l’ergastolo».
«Immaginava che fosse così?».
Di nuovo, lui rise. «Così? No. Pensavo che fosse brutto, ma non così. Forse ho capito male, ma lei sta cercando di provare che la Trident violi i diritti umani, giusto?».
«Sappiamo già che li viola. Il problema è che l’opinione pubblica è d’accordo, quindi è molto difficile intervenire. Per questo abbiamo deciso di cambiare strategia».
«Volete convincere l’opinione pubblica che nessuno merita questo?».
«Qualcosa del genere».
Renan scosse la testa. «Sono dei sadici, ci godranno solo di più. Può raccontare loro tutte le storielle dell’orrore che vuole. Può raccontargli che cosa ti succede quando senti il corno della battaglia. Mi succede. Non mi importa. Non ho più dignità, non ho più pudore, non ho più vergogna. Sono un animale, ormai».
L’aveva detto con un’ombra di sentimento e con una convinzione maggiore di quella che aveva dimostrato fino a quel momento.
«Che cosa le succede quando sente il corno della battaglia? Che cos’è?».
«Il segnale che indica che quel giorno combatterai. È il segnale che suonano subito prima di farti entrare nell’arena. Mi fa...» guardò il soffitto, in cerca di ispirazione, «...come spiegarlo a una donna? Mi fa ritrarre palle e uccello come una secchiata d’acqua gelida. Mi fa contrarre il buco del sedere. Non riesco ad andare di corpo per due giorni, dopo. Non scherzo. E con la roba che ci danno da mangiare capirà che è davvero strano. Mi fa... non so come dirlo. Mi paralizza di terrore, ma riesco a muovermi lo stesso. A muovermi, a pensare... ma tutto è come dietro un velo di paura sempre più spesso. Alla fine la gente impazzisce. Io... sono già impazzito? Non lo so. Può darsi».
Isenly non riuscì a evitare di posargli una mano su una spalla.
«Mi dispiace molto, mi creda».
E le dispiaceva davvero. Stava lottando per non mettersi a piangere. Il modo in cui costringevano a vivere quelle persone era... indegno.
Lui la guardò. Occhi azzurri e smarriti in quel viso duro, segnato da diverse piccole cicatrici, invecchiato dalla costante esperienza del terrore di morire.
«G-grazie».
«Prego. Ora pensa di riuscire a dormire? Almeno stanotte può farlo in un letto vero».
Lui si guardò attorno, confuso.
«E lei? Non posso. Il pavimento va benissimo. Questa moquette è così morbida e pulita».
Isenly sorrise e lo tirò gentilmente per un gomito. «C’è spazio per tutti e due, se per lei non è un problema. Mi dispiace non avere un pigiama per lei, ma... venga, si metta sotto le coperte. Poi può passarmi l’accappatoio».
Lo aiutò fisicamente a infilarsi a letto. I suoi movimenti erano goffi e rigidi, perché l’effetto delle droghe stava scemando e i postumi del combattimento si impadronivano di lui.
«Vuole un antidolorifico?» gli chiese, mentre lui si liberava faticosamente dell’accappatoio, sotto le coperte.
Renan annuì.
Isenly ne sciolse uno in un bicchiere e lo aiutò a bere. Smorzò le luci e andò in bagno a cambiarsi. L’aria era ancora calda e umida per l’ultima doccia di Renan.
Si mise il pigiama e tornò in camera.
Il prigioniero dormiva in posizione fetale, quasi tutto sotto le coperte. Spuntavano solo la testa, un pezzo di schiena e la parte posteriore del collare.
Prima di mettersi a letto. Isenly gli rimboccò le coperte.
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A un certo punto lo sentì scivolare fuori dal letto. Lo vide passare, diretto in bagno, nudo e di nuovo con un’erezione in corso. Dovevano avergli dato una dose da orso, non da essere umano.
Richiuse gli occhi, aspettandosi di sentirlo tornare dopo poco. Quando si risvegliò si rese conto che era già passata mezz’ora.
Poteva essersene andato alla chetichella? Era possibile, ma non le sembrava molto probabile. Era quasi sicura che una defezione simile sarebbe stata punita dall’amministrazione del Ludo.
Si alzò in silenzio e andò a controllare in bagno.
La luce si accese automaticamente quando aprì la porta. Van Renan era per terra, rannicchiato su un fianco sul pavimento di piastrelle, che piangeva in silenzio.
Si accucciò accanto a lui. Quel povero corpo nudo e ferito. Usato, violato, abusato, sfruttato... avrebbe voluto abbracciarlo.
«Signor Renan... che cosa succede?».
Lui socchiuse le palpebre.
«Perché ha dovuto farlo? Perché ha dovuto trattarmi... come una persona?».
Isenly lo aiutò ad alzarsi.
«Perché lo è. Capisco che possa fare male e, mi creda, sono dispiaciuta. Venga a dormire, ora. Torni al caldo».
Lo accompagnò fino al letto. Gli rimboccò di nuovo le coperte e tornò a stendersi a sua volta.
«Come ha detto che si chiama?» chiese lui, a voce bassa.
«Isenly Timesa».
«Voglio ricordarmi il suo nome. Mi dica una cosa, signora Timesa... viene da Centralia, è vero?».
«Sì».
«Chi ha vinto il campionato, quest’anno?».
Isenly sorrise. «I Vesper».
Lui sbuffò. «D’altronde sono stato io a volerlo sapere».
Chiuse gli occhi, un’espressione vagamente divertita sul volto. «Grazie».