UN VISITATORE

1835 Words
UN VISITATORE Peter Callander viveva in una bella casa in stile georgiano vicino a Sevenoaks, abbastanza grande e imponente per essere definita una "residenza" e circondata da un giardino così ampio da poter essere chiamata una "tenuta". Aveva scelto lui l'arredamento, che era essenziale e comodo. Non c'era nessuna signora Callander. Era morta quando Gladys era solo una bambina. Era molto più giovane del marito e Gladys si era chiesta molte volte se sua madre si fosse distrutta fino a morire per cercare di capire il marito. Oppure se avesse accettato con gioia la possibilità di dimenticarlo una volta capito come era fatto. Gladys non aveva molta fiducia in suo padre. Era un uomo ricco, era un pilastro nella società, ma lei conosceva i limiti del suo rispettabile genitore. Tre giorni dopo il telegramma che aveva annunciato l'arrivo di Pallard l'infame, Gladys stava passeggiando sul prato di Hill View (era il nome della residenza dei Callander), aspettando suo padre. Horace si stava divertendo a giocare a croquet. Lo amava molto, era uno dei migliori giocatori inglesi: il croquet e la pittura erano gli unici suoi vizi. Si ispirava alla scuola dei preraffaelliti e la sua specialità era dipingere ragazze sottili dai i capelli rossi. Gettò la mazza e si avvicinò alla sorella, con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni di flanella grigi. — Prendiamo un tè o qualcos'altro? — chiese. — Papà ha promesso di tornare per le cinque — disse — ma se non ti va di aspettare ti farò mandare qualcosa in giardino. — Oh, non ti preoccupare! — rispose lui. Prese una scatoletta d'argento dalla tasca e si accese una sigaretta della Virginia. — Mi chiedo se papà ha visto quell'uomo? — Non credo — rispose Gladys. — Non penso che il suo desiderio di conoscerci superi il freddo distacco della lettera di papà. — Sì, è così — ammise Horace con un tono ammirato. — Lui sa essere molto tagliente. A proposito, Gladys, gli hai parlato di... insomma... di quello che sai? Una piccola ruga si formò sulla fronte della ragazza. — Sì — rispose in poche parole — e vorrei non averlo fatto. Perché non gliel'hai chiesto tu? — Io ho già la mia rendita ma, per essere sincero, l'ho dissanguata — confessò. — Ti darà i soldi? — No. — Ma non hai detto che erano per me? — No, non avere paura — rispose lei fredda. — Se gli avessi detto che erano per il suo cocco, sono sicura che me li avrebbe dati. Era ben meglio se glieli chiedevi tu. Il giovanotto gettò per terra la sigaretta. — Sei molto sgarbata, Gladys — disse scuotendo la testa — molto sgarbata. Papà ha la stessa considerazione per me e per... È una sciocchezza! — lo interruppe lei con un sorriso. — Perché non ti comporti da uomo? Perché non mi dici a cosa ti servono quei soldi? Papà non si tira indietro quando si tratta di te. Ti ha dato venti sterline non più di una settimana fa. I conti per i tutti tuoi divertimenti li paga lui; non ti compri né i vestiti e né le sigarette! — Ho tante spese di cui tu non sai nulla — rispose lui con deciso; in quel momento, dalla strada, arrivò il rumore del clacson del signor Callander e un attimo dopo la sua bella macchina fece capolino tra le siepi che costeggiavano il vialetto di casa. Scese con l'aria stanca di un uomo che ha lavorato tutto il giorno e che è conscio della sua fatica. Il rumore dell'auto aveva fatto accorrere due camerieri, uno con un vassoio d'argento, preparato per il tè del pomeriggio, e l'altro con un tavolino. Horace riunì tre sedie e suo padre si lasciò cadere su una di queste. — Ah! — sospirò con gratitudine. — Bene, papà — disse la ragazza, porgendogli una tazza di tè — siamo ansiosi di avere notizie. Hai visto il nostro ignobile cugino? Callander, sorseggiando il tè, scosse la testa. — No, ma ho parlato con lui. — Posò la tazzina. — Non mi sarei mai immaginato che, dopo aver ricevuto la lettera che gli avevo spedito, avrebbe desiderato ancora di mettersi in contatto con me. Questa mattina mi ha telefonato... mi ha telefonato! — Che sfacciato! — mormorò Horace. — L'ho pensato anch'io! E poi la sua voce! — Il signor Callander sollevo le mani con un gesto disperato. — È volgare, rozza, rauca. "Parlo con Callander?" ha chiesto: "Sono Pallard che parla dal Great West Central. Voglio parlare con il capo!". Callander era un mimo eccellente e Gladys rabbrividì mentre suo padre riportava la conversazione. — Prima che potesse andare avanti — continuò Callander solenne — gli ho detto: "Signor Pallard, per prima cosa rendetevi conto che io non voglio avere nulla a che fare con voi". "Io voglio parlare con il capo" ha detto pensando di rivolgersi a chissà chi. "Io sono il capo" ho risposto; è una parola che detesto, ma ho dovuto usarla. Come risposta ha esclamato una zozzeria di sorpresa che non ripeterò. Ho riagganciato e così è terminata la conversazione. — E anche i suoi rapporti con noi — sbottò Horace deciso. — Che ignorante! Gladys non disse nulla. Era un po' delusa. Senza un motivo preciso pensava che Pallard, anche se mascalzone, fosse un po' più eroico. Le parole del padre non confermavano l'immagine che si era fatta di lui leggendo la lettera. Aveva sperato di restare turbata dalla vista di suo cugino; ora si sentiva offesa nei propri princìpi e anche nei propri gusti. Callander entrò in casa per cambiarsi. Faceva una partita o due a croquet con il figlio prima di mangiare; Horace era già tornato a giocare e così Gladys era sola. Stava pensando se sconfiggere la noia leggendo in salotto o se fare un giro nella tenuta, quando un'esclamazione di suo fratello interruppe i suoi pensieri. — Volevo dire — disse lui guardando l'orologio — che ho un ospite a cena, Willock; avrete sentito parlare di lui. Potresti andare a prenderlo, Glad? Arriva alla stazione e sarà qui tra un quarto d'ora. Lei annuì. — Andrò a piedi — disse. — Così farò qualcosa. — Ci andrei io ma papà ama tanto giocare prima di mangiare! — Non preoccuparti. Willock supererà lo spavento di vedere una ragazza alla stazione. Che tipo è? — Bè, una persona molto distinta — rispose Horace, vago. Lei corse in casa per prendere il cappello e un bastone e pochi minuti dopo era già in mezzo ai campi, lungo la scorciatoia che portava alla stazione. Era una bella serata d'estate e, camminando, canticchiava allegra, perché Gladys aveva delle passioni che suo padre non sospettava nemmeno. Arrivò presto alla stazione. Il treno era in ritardo di dieci minuti. Ebbe il tempo di andare a rispedire un pacco che le era arrivato quella mattina stessa. Non era contenta di respingerlo, ma il pacco conteneva uno scialle indiano, lavorato con vera perizia. C'era un biglietto: "Da Brian a sua cugina". Non poteva fare altro che rispedirlo al mittente; era uno scialle bellissimo e sospirò mentre affrancava quel pacco per rispedirlo. Arrivò sul binario proprio mentre arrivava il treno. Scese solo un passeggero e lei, per istinto, capì che era l'uomo che stava aspettando. Era più alto della media e due spalle dritte. Non sembrava un artista ma aveva una faccia intelligente, due occhi chiari, una bocca ben fatta e si capiva che era ricco di fantasia. Poteva essere un attore, un avvocato, un medico, un artista. Si avvicinò e le tese la mano. — Sono la signorina Callander — disse lei educata. Mio fratello mi ha chiesto di venirvi incontro. — Gladys? — disse lui sorridendo. — Felice di fare la vostra conoscenza. Il suo saluto era stato molto caloroso, agli artisti tutto si perdona. — Manderò un uomo per il bagaglio. Vi spiace se andiamo a piedi? — Anzi, per me è meglio — rispose lui. Mentre lasciavano il villaggio parlarono come se si conoscessero da una vita. In lui c'era qualcosa di attraente e di delizioso. Era travolta dalla sua vitalità. Rideva mentre lui commentava il suo viaggio in treno (andava a due all'ora) e restò colpita del suo carattere deciso. Mentre attraversavano i campi rimaneva sorpresa della confidenza che aveva con uno sconosciuto. — Immagino che Horace vi abbia detto di nostro cugino? — disse. — Mio fratello mi ha detto di avervene parlato; non è imbarazzante? — Beh, non conosco tutti i vostri cugini — disse lui quasi a scusarsi. — Ma se qualcuno vi dà noia, beh quel qualcuno meriterebbe l'olio bollente. Aveva parlato con una tale sincerità da lasciarla confusa e arrossita. — Portatemi da vostro cugino, subito. L'affermazione mutò l'imbarazzo di lei in risata — Sì, portatemi da lui! — Siete davvero molto buffo — lei ridendo — e non so che penserete di me che vi permetto di dire certe cose. — Vi esonero dal vergognarvi — disse lui allegro. — Nessuno è responsabile delle mie azione tranne me. Ma io sono oltre ogni possibile critica. — Ma davvero? — chiese lei un po' incredula. Le sembrava difficile rimanere seria accanto a a quell'uomo. — Certo! — Confermò lui serissimo. — Sono il figlio prediletto della fortuna; le critiche non mi toccano, scivolano via come l'acqua dalle piume di un'anatra. Il mio senso di giustizia, la mia tolleranza verso gli altri mi rendono un po' filosofo. — Avete letto Shaw? — disse lei con aria di rimprovero. — Lui non sarebbe contento di sentirvi parlare così — disse lui. — Comunque no, la mia visione strana della vita è solo mia. Un piccolo cancello, erano ormai vicini a casa. Callander lo chiamava recinto. Era l'entrata alla tenuta. Lei aprì con una chiave che portava alla catenina e lo invitò ad entrare. Insieme camminarono lungo le siepi che fiancheggiavano la casa. Horace e suo padre stavano giocando a croquet e un giovanotto austero, con una barba strana, guardava interessato. Gladys pensò immediatamente al cugino, il terribile cugino poteva essere lui. Poi, alla seconda occhiata, si rassicurò. Lo straniero era troppo rispettabile. Horace alzò lo sguardo mentre lei attraversava il prato. — Ciao Gladys — fece sorridendo — hai fatto un viaggio per niente eh? Willock è venuto con il rapido di Sevenoaks e poi ha preso un taxi. Permettimi di presentarti... Le stava per presentare il giovanotto dall'aspetto austero, quando vide un'espressione angosciata sul volto della sorella. In quello stesso momento Callander chiese con benevolenza: — Chi è l'amico di Gladys? Lei si voltò verso il giovanotto che, con il cappello in mano, stava aspettando di presentarsi alla famiglia. Non era né imbarazzato né in difficoltà perché si avvicinò con un sorriso e strinse la mano del signor Callander. — Non credo che tu ti ricordi di me, zio Peter — disse con un tono di rimprovero. — Sono Brian Pallard e devo dire che sei stato molto gentile a mandare mia cugina Gladys a prendermi.
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