IV Il risveglio
Si svegliò a letto, in una camera buia, con il cervello limpido come il cristallo e una sensazione di rovente vergogna. Il primo ricordo che lo assalì fu quello di Rochester: un ricordo associato con azioni poco dignitose. Guidato da Rochester egli si era comportato indegnamente, aveva trasceso a gesti inconsueti e violenti. Come sarebbe ricomparso davanti al personale dell’albergo? E dov’era andato a finire l’ultimo denaro che gli rimaneva?
Questi pensieri lo tennero immobile per alcuni istanti dolorosi. Poi, portando le mani alla testa, si voltò su un fianco e rimase immobile, con gli occhi sbarrati nell’oscurità. Ora ricordava tutto chiaramente.
La condotta insensata di Rochester, il pranzo, i piatti fracassati, la lite. L’idea di alzarsi e di frugare nelle sue tasche gli metteva paura: ne indovinava la condizione. Invece tentò di occupare il pensiero immaginando che cosa avrebbe fatto senza denaro e senza amici nel deserto di Londra. Con dieci sterline sarebbe stato possibile far qualcosa — perdute anche quelle, che cosa poteva tentare? Nulla, tranne qualche lavoro servile, e nemmeno questo sapeva come procacciarselo.
Poi Rochester. che non aveva mai abbandonato il suo pensiero, gli tornò vivo davanti. Quella somiglianza era reale o soltanto un inganno dell’alcool? E che altro aveva fatto Rochester dopo averlo lasciato? Gli era sembrato abbastanza matto per esser capace di tutto. Lui, Jones, era forse responsabile delle azioni di Rochester? Stava ancora ponderando questo problema, quando un orologio incominciò a suonare nell’oscurità, accanto al letto: nove delicati colpi argentini che imperlarono di un sudor freddo la fronte di Jones.
Egli non si trovava nella sua camera del Savoy. Nella camera del Savoy non c’erano orologi e nessun orologio d’albergo aveva rintocchi così melodiosi. L’ultima nota argentina s’era appena spenta che una voce gli giunse (forse da un corridoio esterno?):
— Gli hanno preso tutto il denaro e l’hanno mandato a casa nei panni di un altro. –
Seguì poi il rumore di un passo elastico, sul tappeto, il fruscio delle tende che scorrevano sui vetri, infine un’imposta si aprì, lasciando piovere la luce del giorno in una camera che Jones non aveva mai vista – una camera arredata in stile elisabettiano, severa ma raffinata in ogni suo particolare.
L’uomo che aveva aperto le imposte, e il cui possente profilo si stagliava sullo sfondo luminoso della finestra, rivelò al sole una faccia dal colorito vinoso, egualmente distribuito, che faceva pensare al vecchio Porto, custodito per lunghi anni in una cantina aristocratica. Insomma, il colorito tipico dei vecchi giudici, dei vescovi e dei maggiordomi inglesi.
L’uomo indossava un abito di panno nero, e dal suo contegno, dalla sua corporatura e dal suo aspetto si sprigionava una gravità compunta, vescovile, di effetto sicuro.
Jones ne fu addirittura atterrito. Fingendo di respirare come se dormisse, osservò attraverso le palpebre socchiuse tutti i movimenti dello strano personaggio, che con le labbra serrate e le sopracciglia inarcate in segno di profonda attenzione, apriva ora le tende e le imposte dell’altra finestra.
Ciò fatto si avvicinò alla porta e dopo aver conferito in tono sommesso con un’invisibile persona, tornò nella camera recando un vassoio con la colazione, che posò sul tavolino accanto al letto. Poi sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Jones, balzando a sedere sul letto, si guardò intorno.
I suoi abiti erano spariti. Egli aveva l’abitudine di appoggiare i calzoni sulla spalliera, ai piedi del letto, buttandogli altri indumenti su una sedia, ma di calzoni e d’altri indumenti personali in quella carnera non c’era traccia. Sembrava fossero spariti per opera di qualche incantesimo. Soltanto allora Jones notò il ricco pigiama di seta che indossava. Sollevando un braccio esaminò, ammirato, l’ordito e il disegno della stoffa.
In un lampo, e con sollievo indicibile, capì ogni cosa. Egli si trovava nella casa di Rochester, dove Rochester doveva averlo mandato la sera innanzi. L’apparizione vestita di nero era il cameriere di Rochester. Il pensiero di Rochester, trasformato da spirito maligno in angelo custode, lo riempì di una sensazione di calda riconoscenza, e stava versandosi una tazza di tè, quando le parole udite bisbigliare nel corridoio gli tornarono alla mente.
— Gli hanno preso tutto il denaro e l’hanno mandato a casa nei panni di un altro. –
Che potevano significare?
Finì di versarsi il tè e lo bevve; su un piatto c’erano anche delle sottili fette di pane imburrato, ma egli le trascurò. A chi avevano preso il denaro e chi era stato mandato a casa nei panni di un altro?
Quelle parole si riferivano a lui o a Rochester? E se Rochester era stato derubato, poteva egli (Jones) venir considerato responsabile?
Un senso di profondo disagio e un desiderio appassionato dei propri vestiti lo spinsero a uscire dal letto. Avvicinandosi alla finestra si sporse a guardar fuori, e vide la distesa ridente di St. James’s Park dorata dal sole estivo. Voltò le spalle alla finestra e, attraversata la stanza, andò ad aprire la porta per cui era scomparsa l’apparizione.
Oltre la porta si stendeva un corridoio coperto di un folto tappeto, un corridoio silenzioso come l’ipogeo d’una divinità egiziana, segreto, lussuoso, con ricchi lumi velati e tendaggi serici. Jones da bambino aveva letto le Mille e una notte, e come un soffio del giardino incantato di Aladino lo attraversò ora una vaga sensazione di avventura, eccitando i suoi sensi e sconcertando la sua natura pratica e serena. Ma dov’erano i suoi vestiti? Quel lusso sconosciuto aveva esasperato il desiderio di ritrovare i suoi abiti. Victor Jones bruciava dalla voglia di infilare le proprie scarpe e uscire da quella camera per tener testa al mondo. Pendule lampade d’argento, tappeti soffici, tendaggi di seta gli facevano sentir più vivamente la tragica stranezza della sua situazione.
Vedendo accanto al caminetto un campanello elettrico, andò a premerlo, poi aprì la seconda porta della camera e si trovò in una stanza da bagno.
Una stanza da bagno pompeiana, con pavimento a mosaico, pareti e soffitto di marmo. Su tubi d’argento erano appoggiati grandi asciugamani damascati, con frangie d’un rosso cardinalizio. In un angolo stava una meravigliosa tavola, assai poco pompeiana, di cristallo cerchiato d’argento, coperta di rasoi di sicurezza, nécessaires per unghie e per capelli, spazzole, vasetti di pomate, bottiglie di profumi.
Dopo essersi aggirato per la stanza come un gatto capitato in una dispensa sconosciuta, Jones stava per prendere sulla tavola di cristallo una spazzola, quando un rumore proveniente dalla camera da letto attirò la sua attenzione.
Qualcuno si muoveva a pochi passi da lui, mutando la disposizione delle sedie e probabilmente riordinando la stanza.
Supponendo che fosse il servo di poco prima, pensò ch’era meglio mettere subito a posto le cose. Coraggiosamente, ma con l’animo di chi entra nel gabinetto di un dentista, uscì dalla stanza da bagno.
Un giovanotto agile, dal viso pallido e con lucidi capelli neri, che indossava un panciotto senza maniche e portava sul braccio alcuni indumenti di seta, stava posando in terra un paio di scarpe di aspetto molto fine. Sul letto stava una ricchissima veste da camera, evidentemente adagiatavi dall’agile giovanotto.
Jones aveva avuto l’intenzione di chiedere spiegazioni, ma quando aprì la bocca per parlare, chissà come, quell’intenzione sfumò.
— Ehm... potrei avere i miei vestiti, per favore?
— Sì, milord, – rispose l’altro. – Li sto preparando. –
La collera sollevata dal pensiero che la seconda apparizione si stava burlando di lui come la prima, fu sedata dal ricordo di Rochester. Questo doveva essere un altro dei suoi tiri. La casa apparteneva certamente a Rochester: tutto era chiaro. Ebbene, Jones avrebbe dimostrato a quel capo ameno che sapeva come si prende uno scherzo.
Deciso di far buon viso a cattivo giuoco, si ritirò nella stanza da bagno e seduto in una comoda poltroncina davanti alla tavola di cristallo lasciò che la sua collera sfumasse completamente. Stava ancora in quella posizione, con le mani intrecciate intorno ai ginocchi, quando entrò il giovanotto agile, con un’aria di gravità assoluta. che disarmava ogni prevenzione. Si fermò davanti a Jones, presentandogli la veste da camera spiegata e Jones, docile, si levò e introdusse le braccia nelle maniche. Poi il giovanotto riempì il bagno, provando la temperatura dell’acqua con un termometro d’argento, così assorto in quell’occupazione che sembrava aver dimenticato l’esistenza di Jones.
Riempito il bagno, uscì, chiudendo la porta.
Nell’acqua si scioglievano alcuni cristalli di sali profumati; la temperatura era sapientemente dosata, e mentre Jones si abbandonava nel liquido tiepido, rilasciando i muscoli, gli balenò per la prima volta l’idea che se lo scherzo doveva continuare piacevolmente com’era cominciato, non si sarebbe certo lamentato.
Confortato da quel profumato tepore, la sua mente ebbe una visione più chiara della situazione.
Se questo era uno scherzo di Rochester, – spiegazione non improbabile dell’accaduto, – a che mirava? Ogni scherzo ha un nocciolo, un fondamento, e qui il motivo era certo la somiglianza fra lui e Rochester.
Se Rochester era un lord, e questa la sua casa, e se Rochester aveva mandato lui (Jones) a casa propria come un pacco di merce, probabilmente era certo che la loro incredibile somiglianza avrebbe ingannato i servi, e chissà, anche altre persone. Lo scherzo prometteva di avere sviluppi divertenti. Tuttavia un uomo che si rispettasse non poteva prestarvisi. Era vero che Rochester, per quel che Jones riusciva a dedurre dal vago ricordo delle sue intemperanze, non sembrava oppresso da un eccessivo rispetto di sè. Sembrava anzi, da ultimo, disposto ad ogni sorta di follìe.
Se Rochester era l’autore del tiro, la servitù non poteva saperlo; evidentemente credeva che lui (Jones) fosse Rochester, assalito per la strada, derubato e mandato a casa nei panni di un altro.
Rochester, facendosi vivo più tardi, nella mattinata, si sarebbe certo divertito un mondo a sue spese.
Sì, il ragionamento non faceva una grinza. Quel capo ameno di Rochester, incontrando il proprio sosia, non aveva potuto resistere alla tentazione di servirsene. Ma la situazione, anche così rischiarata, non diventava più confortabile. Se i servi avessero scoperto la sostituzione prima dell’arrivo di Rochester, le cose si sarebbero messe male per Jones. Bisognava dunque agire immediatamente: scendere al pianterreno e uscire da quella bella casa al più presto possibile. Poi Jones avrebbe sistemata la faccenda con Rochester. I servi, se non erano complici del loro padrone, l’avevano scambiato senz’altro per quello: nè la lieve differenza d’accento aveva potuto colpirli. Jones ne era certo. Uscì dal bagno, e, dopo essersi asciugato, indossò la vesta da camera. Su una mensoletta di cristallo, al disopra di un lavamano fornito di rubinetti d’argento, stavano uno spazzolino da denti e un tubo di pasta dentifricia. Per strano che sembri, il fatto che egli non possedeva uno spazzolino da denti personale semb rò attutire momentaneamente per Jones la gravità della situazione.
Quell’incidente insignificante, esasperandolo, gli rese tutta la sua energia.
Aprì la porta della camera da letto. Il giovanotto dai capelli lucidi stava infilando dei gemelli nei polsini di una camicia di seta.
— Portatemi uno spazzolino da denti nuovo! – gridò Jones in tono brusco, quasi brutale. Presto!
— Sì, milord. –
Fu questa la prima indicazione che ebbe Jones di un meccanismo così prodigioso, di un sistema così perfetto, da eliminare ogni più piccolo attrito.
«Credo che se avessi chiesto a quell’individuo un elefante», disse tra sè, «non si sarebbe comportato diversamente. Tengono forse una profumeria, in casa?»
Evidentemente tenevano davvero una profumeria, perchè in meno di un minuto e mezzo il giovanotto era tornato con uno spazzolino nuovo su un piccolo vassoio laccato.
Ora, un uomo avvezzo a vestirsi da sè, rimane alquanto sconcertato vedendo che qualcuno si accinge ad infilargli le mutande come ad un bambino.
Questo accadde a Jones, e le mutando erano di seta grigio-perla.
Un paio di calzoni di flanella grigia, con una piega impeccabile e dall’apparenza perfettamente nuova, gli fu presentato nella stessa maniera. Gli fu permesso di infilarsi da sè i calzini – di seta anche quelli e nuovi – ma non di mettersi le scarpe. Il cameriere, inginocchiandosi davanti a lui, gliele mise aiutandosi con un calzatore di argento, e allacciandogli destramente le stringhe.