I Jones
Era il primo di giugno, e Victor Jones di Filadelfia, sconfitto nella sua prima grande battaglia contro la vita, se ne stava seduto nel vestibolo del Savoy Hôtel di Londra.
Benchè di Filadelfia, Jones non era americano e non aveva nemmeno l’accento americano. Australiano di nascita, il suo primo impiego lo doveva a una banca di Melbourne. Mandato in India da una casa di commercio, aveva tentato di avviare per suo conto una piccola azienda, ma era fallito. Allora si era messo a girare il mondo, andando a finire a Filadelfia.
Senza alcuna base finanziaria, Victor Jones e un suo socio di Filadelfia erano entrati in gara per ottenere dal Governo inglese una fornitura di barre e lamiere d’acciaio. Venuto a Londra per spingere personalmente l’affare, Victor aveva intervistato innumerevoli personaggi ufficiali, che con belle frasi evasive l’avevano rinviato ad altri personaggi ufficiali. Così erano passate tre settimane. E quella mattina l’offerta della «Società Stringer» (il socio di Jones e finanziatore del viaggio si chiamava Aronne Stringer) era stata respinta e l’appalto aggiudicato ai Fratelli Hardmans, di Pittshurg.
Il colpo era assai duro. Se Jones e Stringer fossero riusciti ad assicurarsi l’appalto, Stringer avrebbe passato l’ordinazione a Laurenson di Filadelfia, ottenendone una percentuale enorme. Un tratto di penna del Governo britannico avrebbe riempito d’oro le loro tasche: mancando quello, la bancarotta li minacciava. O almeno minacciava Jones.
E con ragione, si dirà, riflettendo che l’intera faccenda non era altro che un bluff gigantesco. Sì, forse; ma in difesa di Jones dirò che egli aveva arrischiato tutto su quell’unica carta e che per lui l’insuccesso non rappresentava soltanto una perdita rilevante, ma il disastro più brutale ed assoluto.
Gli rimanevano in tasca meno di dieci sterline e doveva una forte somma al Savoy. Aveva calcolato di sbrigarsi in una settimana, e, nel caso che non fosse riuscito – ipotesi su cui non si era nemmeno fermato – di tornare in America in terza classe. Non aveva previsto l’enorme costo della vita a Londra, nè le tre settimane di attesa.
Inviato un telegramma il giorno innanzi a Stringer per chiedergli un supplemento di fondi, aveva ricevuto la seguente risposta: «Attendo notizie contratto». Stringer era un uomo assolutamente privo di cuore.
Jones pensava appunto a Stringer mentre, seduto nel vestibolo del Savoy, osservava l’andirivieni dei suoi compagni d’albergo, americani ed inglesi, liberi, o almeno così gli pareva, da preoccupazioni economiche. Pensava a Stringer ed alla propria situazione: meno di dieci sterline in tasca, un conto d’albergo da pagare e tremila miglia di oceano tra sè e Filadelfia.
Jones aveva ventiquattro anni, ma ne dimostrava trenta. Prima di mettere su quel viso serio, pallidissimo, una qualunque etichetta, molti avrebbero esitato tra un ministro della chiesa scozzese, un attore specializzato nel genere melodrammatico e un epicureo disilluso.
In realtà, come s’è detto, Jones aveva iniziato la sua carriera in una banca, e dopo aver seguito per corrispondenza dei corsi di contabilità e commercio, fermamente deciso a diventare un milionario, aveva abbandonato la banca per buttarsi nel grande oceano degli affari.
Ordinò a un cameriere che passava un whisky-and-soda per cercar di dimenticare la sua penosa situazione e Stringer; stava prendendo il bicchiere da un vassoio quando la sua attenzione fu attirata da un individuo vestito con eleganza, apparentemente della sua stessa età e statura, che entrato in quell’istante nel vestibolo, si dirigeva verso il bar americano sotterraneo.
Il viso di quell’uomo sembrò a Jones talmente familiare che egli trasalì e fece un movimento, come per alzarsi e andargli incontro. Anche lo straniero sembrò subire la stessa impressione, ma solo per un attimo; dopo un brevissimo indugio continuò il suo cammino e presto fu nascosto dal fogliame delle palme che adornavano l’ingresso. Jones si lasciò ricadere nella sua poltrona.
La sua memoria, dopo aver cercato invano un nome da mettere su quel viso, si dichiarò battuta. Terminato il whisky-and-soda, Jones si levò e avvicinatosi al tavolo dei giornali, prese a sfogliare una rivista senza riuscire a leggere una sola parola del testo.
Poi, senza saper come, si trovò nel bar americano, con uno champagne-cocktail davanti.
Di regola Jones era astemio, ma gli ultimi avvenimenti avevano scosso profondamente il suo sistema nervoso. L’insolito whisky-and-soda, rasserenandolo, aveva guidato i suoi passi; il barman, giovanotto allegro e rumoroso, coadiuvato dallo champagne-cocktail, riuscì a far risorgere a tal punto il suo ottimismo che, vuotato il bicchiere, Jones lo spinse sul banco ordinando: «Datemene un altro».
In quell’istante un signore appena entrato nel bar si avvicinò a sua volta al banco, buttandovi sopra una mezza sterlina. Subito il barman gli servì un bicchiere di sherry.
Jones, voltandosi, si trovò faccia a faccia con lo straniero già notato nel vestibolo, lo straniero di cui conosceva il viso senza poterne ricordare il nome.
I viaggi e l’abitudine di contrarre dovunque rapide amicizie, avevano tolto a Jones ogni timidità.
— Scusatemi, – disse. – Vi ho visto poco fa nel vestibolo e sono certo di avervi incontrato in qualche posto. Ma non riesco a ricordare il vostro nome. –