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Quel bravo ragazzo

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Blurb

Il compito di Janet Bellini sulla carta non è difficile: portare una bozza d’accordo a un capo-clan pronto a pentirsi, farglielo firmare a tornare alla procura federale. Angelo Balistreri si sta nascondendo con l’intera famiglia in un compound estremamente protetto a nord dello Stato di New York. Sembra che nulla possa andare storto, ma quando Janet e il suo collega arrivano sul posto la villa viene colpita a colpi di lanciarazzi. Janet si trova a dover proteggere Angelo Balistreri e la sua famiglia dagli attacchi delle famiglie rivali, che vogliono azzittirlo prima che testimoni contro di loro. Non è un compito semplice: Angelo è paranoico, preoccupato e nutre una profonda sfiducia nel genere femminile. Le donne, per lui, servono solo a una cosa e non fa mistero delle sue idee. Il problema è che Janet lo trova attraente... primitivo, ma sexy da morire. E Angelo non ha mai rifiutato una “femmina” in vita sua...

-

"Janet uggiolò di dolore, ancora scossa dal piacere, e Balistreri si sfilò, per poi caderle addosso.

«Quindi... agente Bellini, ce l’hai un nome?».

«J-Janet» rispose lei, un po’ perplessa.

Lui le leccò il collo. «Piacere, Angelo. Lasciamoci alle spalle i brutti momenti e cerchiamo di uscire vivi da questa storia. Fino a poco fa ti consideravo sacrificabile, ma negli ultimi minuti ho deciso che il tuo culo merita di essere preservato. In senso letterale».

Lei sospirò. «Bene. Molto romantico».

Angelo le lanciò un veloce sorriso. «L’ultima donna con cui sono stato romantico è saltata in aria»."

CONTIENE SCENE ESPLICITE - CONSIGLIATO A UN PUBBLICO ADULTO

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1.
1. Attraverso le lenti del binocolo il complesso delle Catskill sembrava meno impressionante che dal vivo. Janet Bellini e Robert Cuomo l’avevano osservato per tre giorni, prima di azzardarsi ad entrare. Forse erano troppo prudenti, ma con i Balistreri era meglio non dare nulla per scontato. La loro rete di collusioni e amicizie era così vasta che se avessero fatto sparire due agenti federali nello svolgimento delle loro funzioni la cosa avrebbe potuto persino venire insabbiata. Quindi, prima di presentarsi all’alto cancello d’ingresso, Janet e Robert avevano osservato per bene la tenuta. Era abbastanza in alto, incastrata in una valle dei monti Catskill, a nord dello Stato di New York. Gli Appalachi erano relativamente aguzzi, in quel tratto, coperti di conifere, e l’aria pulita profumava di primavera. Il complesso dei Balistreri era a metà strada tra una villa e un compound di massima sicurezza. Stretto in una gola, era circondato da un alto muro di cemento armato, appena ingentilito, in alto, da un bordo di tegole. All’interno, l’edificio principale sporgeva dal fianco destro della gola, rettangolare e moderno, grigio chiaro, squadrato, a due piani, con un lato interamente occupato da una vetrata. Un immacolato prato all’inglese lo separava da una graziosa dependance dalle forme simili a quelle dell’edificio principale, da un basso garage per la collezione di auto dei Balistreri, dagli alloggi del personale e dal campo da tennis. A chiudere il complesso, dove la gola finiva, un piccolo lago artificiale. Sull’intero perimetro, cinto dal muro di cemento armato, c’era una telecamera ogni due metri e, ogni dieci metri circa, una sorta di torretta con un uomo armato in cima. Vedere quel posto attraverso le lenti di un binocolo era già abbastanza impressionante, ma essere fermi davanti al cancello e vedere l’interno da lì dava quasi le vertigini. «Bellini e Cuomo, FBI» si erano presentati i due. Ora aspettavano di essere ammessi in quel regno privato e protetto. L’uomo che aveva esaminato i loro documenti era stato chiaro: avrebbero chiamato alla sede di New York per accertarsi della loro identità, li pregavano di attendere. «Di’ un po’, Bellini» disse Cuomo, mentre facevano anticamera, «secondo te quanto può valere un posto del genere?». Janet si mordicchiò il labbro inferiore. «Non so. Qualche milione, probabilmente». «Solo i muri, eh?». Janet annuì. «Poi ci sarà la manutenzione. È pazzesco. Sembra il bunker di Bin Laden. Senza contare l’esercito privato». «Già. Suppongo che Angelo abbia bisogno di sentirsi al sicuro, in questo periodo. Anche a costo di murarsi vivo». «Be’, sai... ha un elicottero». «E credo che l’unico modo di entrare con la forza in questo posto sia lanciandogli contro un missile terra-terra». Stavano oziosamente riflettendo su questo quando un uomo in uniforme blu da sicurezza privata tornò al cancello e lo aprì battendo un codice su un tastierino. «Tutto a posto. Il signor Balistreri vi riceverà nel suo studio. Potete parcheggiare qua sulla sinistra». Lasciarono la loro macchina accanto a un gigantesco SUV nero, per poi seguire il tizio in tuta militare blu verso l’edificio principale. Portava tranquillamente in spalla una mitraglietta 9mm e alla cintura aveva la fondina di una pistola. Camminava scrupolosamente sul vialetto, non sul prato all’inglese. Mentre andavano da quella parte, una porta-finestra del piano terra si aprì e fece la sua comparsa Angelo Balistreri in persona. Nei pochi secondi in cui lo vide, Janet pensò che rispetto alle ultime foto fosse un po’ sciupato. La pelle era troppo pallida, sotto ai penetranti occhi neri aveva delle ombre scure e sembrava dimagrito. A parte questo restava un uomo molto bello, alto e dritto, con le spalle larghe, i lineamenti affilati e i capelli lucidi e scuri. Stava indulgendo in queste considerazioni un po’ frivole quando il complesso venne colpito appunto da un missile terra-terra. +++ Sul momento fu impossibile capire che cosa stesse succedendo. Un attimo prima Janet era in un piccolo angolo di paradiso ben curato, con il prato verde, i cespugli folti e gli irrigatori che creavano arcobaleni in miniatura nel giardino, un attimo dopo era in Iraq durante la Seconda Guerra del Golfo. Davanti a lei si alzò una sorta di geyser di terra e detriti e vide la guardia privata che li precedeva volare via. Il suo grosso del suo corpo volò da un lato, il suo braccio e la sua spalla sinistra volarono dall’alto. In mezzo, spruzzi di sangue e frammenti d’osso. Janet fu sbalzata via a sua volta e atterrò diversi metri più il là, dentro una sorta di cratere, tramortita dall’onda d’urto. Le orecchie le fischiavano, ma dopo la prima sentì delle altre esplosioni. Davanti agli occhi aveva qualcosa, una specie di velo rossastro... sangue, comprese. Dal punto in cui era atterrata non era in grado di vedere nulla, in ogni caso. Sentiva delle grida, attutite, e poi dei colpi di mitraglia. Forse l’esercito privato di Balistreri che reagiva all’attacco. Niente di quello che stava avvenendo aveva un senso. Lei e Cuomo erano lì per proporre un accordo al capo-clan, nient’altro. La sua valigetta era piena di documenti legali. Be’, lo era stata. Ora Janet non sapeva dove fosse. Si rivoltò lentamente su un lato e si rese conto che le faceva male dappertutto. Doveva aver fatto un bel volo. Era un miracolo che fosse ancora tutta intera. Fece per estrarre la pistola, ma sotto la giacca, dove di solito portava la fondina, non trovò niente. Le servì un istante per ricordarsi che erano entrati disarmati, come richiesto da Balistreri. Il fischio che aveva nelle orecchie continuava a venire sovrastato a intervalli regolari da delle raffiche di mitraglia, quindi alzarsi non era una buona idea. E, per dirla tutta, forse non ne sarebbe neppure stata in grado. Si limitò a strisciare faticosamente verso l’orlo dalla buca in cui era finita. Il suo completo era lacero e lurido e aveva i capelli impastati di fango, sangue e sudore. Faceva fatica a muovere la gamba destra e sperò di non essersela rotta. Aveva troppo male dappertutto per riuscire a localizzare le proprie ferite, ma sentiva di avere la fronte bagnata e supponeva che fosse sangue. Alzò cautamente la testa oltre il bordo. Sbatté le palpebre, incredula. Sembrava un’area di guerra. Voragini e montagnole di terra. Corpi dilaniati. Un fumo basso e pesante. Odore di cordite. «Resti giù!» gridò qualcuno. Janet non aveva idea di chi fosse, ma le sembrava una buona idea. Tornò strisciando nella sua buca. +++ La voltarono sulla schiena una ventina di minuti più tardi. Vide la faccia abbronzata di un paramilitare. Occhi azzurri spiritati. «Qua c’è uno dei feebee!» gridò, voltandosi appena. «Le serve un medico». Janet provò ad alzarsi. «No, guardi, non mi serve un...» «Signora, resti giù. Abbia pazienza. Ha la faccia tutta sporca di sangue». Pochi minuti più tardi venne fatta rotolare su una barella pieghevole. Altri paramilitari vestiti di blu. La sollevarono e la portarono via. Mentre passava in quel che restava del giardino vide il corpo di Robert Cuomo steso a pancia in su. Aveva un buco sanguinolento in mezzo alla pancia e metà dell’intestino fuori. Janet represse un conato di vomito. Poco dopo iniziò a piangere. +++ Fu visitata da quello che sembrava un infermiere o un medico. Spogliata, disinfettata, incerottata. Fu accompagnata in un bagno dove poté farsi una doccia. Poi la incerottarono di nuovo e la spedirono lungo un corridoio. Doveva trovarsi nelle viscere dell’edificio principale. Il pavimento era coperto di moquette folta, non c’erano finestre. Su un lato si aprivano delle porte, l’ultima delle quali era scostata. Janet ebbe l’impressione di starsi inoltrando nella parte più privata della casa, stanze in cui normalmente entravano solo i Balistreri. O, insomma, quelli rimasti. Camminò lentamente verso la porta socchiusa. Era scalza e indossava solo un accappatoio di spugna bianca. Aveva un grosso cerotto sulla fronte e una bendatura alla caviglia destra. Era sotto shock. Spinse la porta ed entrò. Si trovò a fissare Angelo Balistreri che, in piedi accanto a un mobiletto, si stava versando da bere. Erano in un salottino privato, anche questo senza finestre. Mobili moderni nei toni della terra, un divano di pelle color testa di moro, due poltrone che facevano pendant, quadri astratti alle pareti. Angelo Balistreri la vide e si bloccò a metà del gesto. Indossava un impeccabile gessato blu, camicia bianca, scarpe stringate. Aveva le occhiaie e la barba un pelo troppo lunga. «Agente Bellini. Come diavolo...» Posò il bicchiere e la andò a prendere per un gomito. La accompagnò al divano, o meglio, quasi ce la portò di peso, e la fece sedere. «Avevo chiesto di vederla quando fosse stata meglio, ma non intendevo questo» disse. «Le verso qualcosa da bere». Le passò in bicchiere che stava preparando per sé e Janet lo afferrò con entrambe le mani. Si rese conto che le tremavano come se avesse qualche brutta malattia neurologica. Balistreri si sedette accanto a lei e la aiutò a buttare giù un sorso. L’alcool le bruciò la gola e le diede una vaga sensazione di calore nello stomaco. Aveva bisogno di piangere, ma non poteva farlo. Balistreri andò all’interfono. «Vinnie. Ti ho detto di mandarmela, non di tirarla fuori dalla doccia e spedirla qua. Non mi interessa. Sì, manda dei vestiti, qualcosa». Janet tornò a guardarlo. Poi si fissò i piedi nudi. Lo smalto rosso scuro e la catenella d’oro alla caviglia. «Mi dispiace per il suo collega» le disse l’altro. Janet riportò gli occhi su di lui. «Che diavolo è successo?» chiese, con voce roca. Balistreri fece un gesto vago e impotente. «Vi hanno sparato con un lanciarazzi». +++ Era tutto sconnesso, assurdo. Erano rimasti in silenzio finché non era arrivato un uomo sulla quarantina, un po’ pingue, con in mano il sacchetto di una boutique. «Angelo, qua la scelta è limitata. Tute militari troppo grandi o vestiti da bottana. Forse l’agente può fare un mix. E comunque ho pensato che c’aveva il fisico anche per i micro-short». Janet inarcò un sopracciglio, ma non disse niente. Non disse niente nemmeno Balistreri, si limitò a prendere il sacchetto e a passarlo a lei. «Venga. Può usare la mia stanza per cambiarsi». La accompagnò lungo il corridoio fino a un’altra porta. In lontananza si sentivano delle voci di bambini. Janet entrò in una camera da letto. Niente finestre. Mobili moderni, eleganti, tutto pulito e ordinato. Era soffocante. Quel posto era soffocante e lei stava per avere un attacco di panico. Si strappò di dosso l’accappatoio e lo buttò sul letto. Prese un lungo respiro, ma il fiato le si mozzò in gola prima che finisse di inspirare. Iniziò a respirare velocemente, tra i denti, mentre dagli occhi le rotolavano giù le prime lacrime. «Va tutto bene» disse la voce di Balistreri. Janet non sapeva nemmeno che fosse lì. Cercò di dominarsi. Chiuse gli occhi, li strizzò. Strinse i pugni piantandosi le unghie nel palmo delle mani. Poi qualcosa dentro di lei cedette e iniziò a singhiozzare. Balistreri le diede qualche pacca sulla schiena. Mormorò un “Su, su...” rassicurante. La stoffa del suo completo sulla pelle. Le sue braccia che la circondavano. Janet singhiozzò fino a calmarsi. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era entrata in quella stanza. Le mani di lui erano tra i suoi capelli, ora. Poi la sua bocca sul suo collo. Le sue labbra sulle labbra di lei. «Se non mi fermi io procedo» lo sentì dire. Ma non vedeva motivo di fermarlo. Quello che stava succedendo le serviva. La faceva stare meglio. Se lo trovò sopra, sul letto. Steso tra le sue gambe. Lo sentì armeggiare con la chiusura dei pantaloni. E poi le entrò dentro. Erano stretti l’uno all’altra. Le mani di lui sulla nuca, la sua testa accanto alla propria. Il suo torace che le strusciava sul seno a ogni affondo. Guardò il soffitto, mentre lui la scopava. Era a listelli bianchi, con un lampadario a plafoniera. Il suo cazzo le spingeva dentro, duro. Grosso, in realtà. La infilzava a ritmo monotono, allargandola tutta. Janet gli si strinse attorno. Pensò che non sarebbe mai venuta. Poi venne. Lo sentì che grugniva. Il ritmo cambiò. Il suono del suo respiro cambiò. Capì che stava venendo. Dopo, per un secondo, restò lì, gravandole addosso. Aveva lo sguardo di un naufrago. Alla fine rotolò di lato. Janet non si voltò nemmeno a guardarlo. Chiuse gli occhi e si addormentò.

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