CAPITOLO UNO
Riley notò che Jilly aveva un sonno agitato. La quattordicenne era seduta nel sedile adiacente a lei, la testa appoggiata alla spalla di Riley. Il loro aereo era partito ormai tre ore, e ce ne sarebbero volute altre due, prima di atterrare a Phoenix.
Sta sognando? Riley si domandò, augurandosi che, nel caso, fossero bei sogni.
Jilly aveva avuto delle tremende esperienze durante la sua breve vita, e aveva ancora molti incubi. La sua ansia era aumentata, quando i servizi sociali di Phoenix avevano scritto una lettera, informando dell’intenzione del padre di Jilly di riaverne la custodia. Ora erano in volo dirette a Phoenix, per un’udienza che avrebbe risolto la questione una volta per tutte.
Anche Riley era preoccupata. Che cosa sarebbe successo alla ragazzina se il giudice non le avesse permesso di restare con Riley?
L’assistente sociale l’aveva rassicurata, escludendo un epilogo del genere.
Ma se si fosse sbagliata? Riley si chiese.
Jilly prese ad agitarsi ancora di più. Iniziò a lamentarsi leggermente.
Riley la scosse gentilmente e disse: “Svegliati, tesoro. Stai avendo un incubo.”
Jilly si svegliò di soprassalto, lo sguardo fisso davanti a sé per un istante. Poi, scoppiò in lacrime.
Riley mise un braccio intorno a Jilly, e prese un fazzoletto nella sua borsa.
Chiese: “Che cosa c’è? Che cosa stai sognando?”
Jilly singhiozzò silenziosamente per alcuni momenti. Poi disse: “Non è niente. Non preoccuparti.”
Riley sospirò. Sapeva che Jilly custodiva dei segreti di cui non le piaceva parlare.
Accarezzò i capelli scuri della ragazza e disse: “Puoi dirmi tutto, Jilly. Lo sai.”
Jilly si asciugò le lacrime e si soffiò il naso.
Infine, disse: “Ho sognato una cosa che è accaduta per davvero. Alcuni anni fa. Mio padre era davvero ubriaco, e mi accusava di tutto, come sempre …del fatto che mia madre se ne fosse andata e della sua incapacità a mantenere un lavoro. Di tutto. Mi disse di volermi fuori dalla sua vita. Mi prese per un braccio e mi trascinò fino ad un armadio, per poi buttarmi dentro e chiudere la porta e …”
Jilly divenne silenziosa e chiuse gli occhi.
“Ti prego, continua” Riley la incitò.
Jilly si scosse un po’ e poi proseguì: “All’inizio, avevo paura di urlare, perché pensavo che mi avrebbe trascinata fuori e mi avrebbe picchiata. Mi ha soltanto lasciata lì, come se mi avesse completamente dimenticata. E poi …”
Jilly soffocò un singhiozzo.
“Non so quante ore siano passate, ma tutto è diventato davvero tranquillo. Pensavo che fosse svenuto o andato a letto. Ho aspettato per un tempo infinito, e tutto è rimasto così tranquillo. Infine, ho supposto che avesse lasciato la casa. Lo faceva qualche volta. Andava via per giorni, e non sapevo quando sarebbe tornato, o se lo avrebbe fatto.”
Riley rabbrividì, provando ad immaginare l’orrore della povera ragazza.
Jilly continuò: “Infine, ho cominciato a gridare e a colpire la porta, ma, naturalmente, nessuno poteva sentirmi, e non potevo uscire. Sono rimasta da sola in quell’armadio per … neppure adesso so per quanto tempo. Diversi giorni, probabilmente. Non avevo nulla da mangiare, e certamente non potevo dormire, ed avevo fame e paura. Ho dovuto persino andare al bagno lì dentro e ho dovuto pulire, dopo. Ho iniziato a vedere e sentire cose strane al buio, immagino che fossero allucinazioni. Credo di aver quasi perso la testa.”
Poco da meravigliarsi, Riley pensò con orrore.
Jilly riprese: “Quando ho sentito di nuovo dei rumori nella casa, ho pensato che forse stavo sentendo delle cose. Ho gridato, e papà è venuto all’armadio e l’ha aperto. In quel momento era sobrio, e sembrava sorpreso di vedermi. “Come sei finita qui dentro?” ha chiesto. Si comportò come se fosse stato dispiaciuto, per avermi messa in quella situazione, e mi trattò BENE per un po’ dopo.”
La voce di Jilly si era ridotta quasi ad un sussurro, e poi aggiunse: “Pensi che otterrà la mia custodia?”
Riley soffocò la sua ansia. Come poteva condividere le sue stesse paure con la ragazza che sperava ancora di adottare, per farla diventare a tutti gli effetti sua figlia?
Non poteva permetterselo.
Così, rispose …
“Sono sicura che non lo farà.”
“Sarà meglio che non succeda” Jilly replicò. “Perché, se lo facesse, scapperò via per sempre. Nessuno riuscirà mai a trovarmi.”
Riley fu scossa da un profondo brivido, perché capì …
Dice davvero.
Jilly era già scappata via da una vita che non le piaceva in passato. Riley ricordava anche troppo bene tutto quello che era successo la prima volta in cui aveva incontrato Jilly: stava lavorando ad un caso che coinvolgeva delle prostitute uccise a Phoenix, ed aveva trovato la ragazza nella cabina di un camion, in un parcheggio in cui lavoravano le prostitute. Jilly aveva deciso di vendere il proprio corpo al proprietario del veicolo.
Avrebbe fatto di nuovo qualcosa di così disperato? Riley si chiese, inorridendo alla sola idea.
Nel frattempo, Jilly si era calmata e si era rimessa a dormire.
Riley riappoggiò la testa della ragazza contro la sua spalla, tentando di soffocare le sue preoccupazioni per l’imminente udienza. Ma non riusciva a scrollarsi di dosso il timore di perdere Jilly.
La ragazza sarebbe sopravvissuta se ciò fosse accaduto?
E, anche se fosse sopravvissuta, che tipo di vita avrebbe avuto?
*
Quando l’aereo atterrò, quattro persone accolsero Riley e Jilly. Una aveva un volto familiare, Si trattava di Brenda Fitch, l’assistente sociale che aveva affidato Jilly alle cure di Riley. Brenda era una donna snella, con un sorriso caloroso ed amorevole.
Riley non riconobbe le altre tre persone.
Brenda le abbracciò entrambe, poi iniziò le presentazioni.
Cominciò da una coppia sposata di mezz’età; erano entrambi tarchiati e sorridenti.
Brenda disse: “Riley, non credo che tu abbia mai incontrato Bonnie e Arnold Flaxman. Sono stati i genitori affidatari di Jilly, per qualche tempo, dopo che l’hai salvata.”
Riley annuì, mentre ricordava come Jilly fosse subito scappata via da quella coppia, per quanto benintenzionata. La ragazza voleva vivere soltanto con Riley, che si trovò a sperare che i Flaxman non serbassero alcun rancore. In realtà sembravano gentili e accoglienti.
Brenda poi presentò a Riley un uomo alto con una testa lunga e dalla forma strana, e un sorriso in qualche modo sciocco.
Brenda disse: “Questo è Delbert Kaul, il nostro avvocato. Bene, andiamo a cercare un posto in cui sederci a parlare.”
Il gruppo attraversò frettolosamente l’atrio, fino al caffè più vicino. Gli adulti ordinarono un caffè, e Jilly prese una bibita analcolica. Mentre erano tutti seduti, Riley ricordò che il fratello di Bonnie Flaxman era Garrett Holbrook, un agente dell’FBI di stanza lì a Phoenix.
Riley chiese: “Come se la passa Garrett in questi giorni?”
Bonnie alzò le spalle e sorrise: “Oh, sa com’è. Garrett è Garrett.”
Riley annuì. Ricordava il collega come un uomo taciturno e dall’atteggiamento freddo. Ma aveva indagato sull’omicidio della sorellastra di Garrett, che quindi si era dimostrato grato per il contributo dato alla risoluzione del mistero, e aveva collaborato a far sì che Jilly finisse con gli affidatari Flaxman. Riley sapeva che era un brav’uomo, sebbene esternamente sembrasse di ghiaccio.
Brenda disse a Riley: “Mi fa piacere che tu e Jilly siate riuscite a venire qui con così poco preavviso. Speravo davvero di portare a termine l’adozione, ormai, ma, come ti ho scritto nella mia lettera, siamo incappati in un imprevisto. Il padre di Jilly ha dichiarato di aver preso la decisione di rinunciare alla figlia per costrizione. Non solo contesta l’adozione, ma minaccia anche di accusarti di rapimento, e me come complice.”
Sfogliando alcuni documenti legali, Delbert Kaul aggiunse: “Il suo caso è piuttosto inconsistente, ma ne sta facendo una seccatura. Ma non preoccupatevi. Sono sicuro di poter risolvere la questione entro domani.”
In qualche modo, il sorriso di Kaul non parve a Riley molto rassicurante. Aveva qualcosa di debole e incerto. Si domandò come gli fosse stato assegnato il caso.
Riley notò che Brenda e Kaul sembravano essere in buoni rapporti. Non certo amanti, ma buoni amici. Forse era questo il motivo per cui Brenda lo aveva assunto.
Non necessariamente una buona ragione, Riley pensò.
“Chi è il giudice?” Riley chiese.
Il sorriso svanì dal volto di Kaul, che rispose: “Owen Heller. Non esattamente la mia prima scelta, ma è il meglio che siamo riusciti ad ottenere in tali circostanze.”
Riley soffocò un sospiro. Si sentiva sempre meno rassicurata. Sperava che Jilly la vivesse diversamente.
Kaul poi spiegò quello che tutti avrebbero dovuto dire all’udienza. Bonnie e Arnold Flaxman avrebbero dovuto raccontare della la loro esperienza con Jilly, sottolineando il bisogno della ragazza di vivere in un ambiente stabile, che certo non poteva avere con suo padre.
Kaul spiegò che avrebbe voluto avere il fratello maggiore di Jilly come testimone, ma era sparito da molto ormai, e non era riuscito a rintracciarlo.
Riley doveva testimoniare riguardo al tipo di vita che era in grado di offrire a Jilly. Era arrivata a Phoenix munita di ogni sorta di documentazione per supportare le sue dichiarazioni, inclusi i dati finanziari.
Kaul tamburellò con la matita contro il tavolo ed aggiunse: “Ora Jilly, non devi testimoniare”
Jilly interruppe: “Voglio farlo e lo farò.”
Kaul sembrò un po’ sorpreso dalla nota di determinazione nella voce di Jilly. Riley avrebbe voluto che l’avvocato sembrasse tanto determinato quanto la ragazza.
“Bene” Kaul disse, “è deciso, allora.”
Quando l’incontro giunse al termine, Brenda, Kaul ed i Flaxman se ne andarono insieme. Riley e Jilly noleggiarono un’auto, poi raggiunsero un albergo vicino e fecero il check in.
*
Appena si furono sistemate all’interno della loro camera d’albergo, Riley e Jilly ordinarono una pizza. In TV davano un film che avevano già visto entrambe, e non vi prestarono molta attenzione. Con grande sollievo di Riley, Jilly non sembrava neanche un po’ ansiosa. Chiacchierarono piacevolmente di piccole cose: l’imminente anno scolastico di Jilly, vestiti, scarpe e di gossip.
Riley trovava difficile credere che Jilly facesse parte della sua vita da così breve tempo. Le cose sembravano così naturali e semplici tra loro.
Come se fosse sempre stata mia figlia, Riley pensò. Era esattamente così che si sentiva, ma questo pensiero incrementò la sua ansia.
Sarebbe tutto finito domani?
Riley non riusciva a immaginare come sarebbe stato, se fosse successo.
Avevano quasi finito la pizza, quando furono interrotte da un forte segnale proveniente dal portatile di Riley.
“Oh, dev’essere April!” Jilly esclamò. “Ha promesso che avremmo fatto una videochiamata.”
Riley sorrise e lasciò che Jilly rispondesse alla chiamata della sua figlia maggiore. Ascoltò svogliatamente dall’altra parte della camera, mentre le due ragazze chiacchieravano come le sorelle che erano davvero diventate.
Quando la conversazione terminò, Riley parlò con April, mentre Jilly si stese sul letto a guardare la TV. Il viso di April sembrava serio e preoccupato.
Lei chiese: “Come andrà domani, mamma?”
Buttando un occhio dall’altra parte della camera, Riley vide che Jilly si era rimessa a guardare di nuovo il film. Non pensava che stesse davvero origliando ciò che lei ed April stavano dicendo, ma voleva comunque stare attenta.
“Vedremo” Riley rispose.
April parlò a bassa voce, così che Jilly non potesse sentire.
“Sembri preoccupata, mamma.”
“Immagino di sì” rispose, parlando lei stessa a bassa voce.
“Puoi farcela, mamma. So che puoi.”
Riley deglutì rumorosamente.
“Lo spero” replicò.
Parlando sempre con tono basso di voce, la voce di April era scossa dall’emozione.
“Non possiamo perderla, mamma. Non può tornare a quella vita.”
“Lo so” Riley disse. “Non preoccuparti.”
Riley ed April si guardarono in silenzio per alcuni istanti. Improvvisamente, Riley si sentì profondamente colpita dalla maturità che dimostrava la sua figlia quindicenne.
Sta davvero crescendo, Riley pensò orgogliosamente.
April disse infine: “Va bene, ti lascio andare. Chiamami non appena sai qualcosa.”
“Certo” Riley rispose.
Terminò la videochiamata e tornò a sedersi sul letto con Jilly. Il film era quasi terminato, quando il telefono squillò. Riley cadde nuovamente in preda alla preoccupazione.
Le telefonate non avevano portato alcunché di buono ultimamente.
Prese il telefono e sentì una voce femminile.
“Agente Paige, la chiamo dal centralino di Quantico. Abbiamo appena ricevuto una chiamata da una donna di Atlanta … beh, non so come gestire la cosa, ma vuole parlare direttamente con lei.”
“Atlanta?” Riley chiese. “Di chi si tratta?”
“Il suo nome è Morgan Farrell.”
Riley sentì un brivido che la mise in allerta.
Ricordava la donna da un caso a cui aveva lavorato a febbraio. Il ricco marito di Morgan, Andrew, era stato - seppur per breve tempo - sospettato in un caso di omicidio. Riley e il suo partner, Bill Jeffreys, avevano interrogato Andrew Farrell a casa ed avevano compreso che non era il killer, che stavano cercando. Ciò nonostante, Riley aveva notato dei segni, da cui aveva dedotto che abusasse della moglie.
Aveva silenziosamente dato a Morgan un bigliettino dell’FBI, ma, da allora, non aveva mai avuto sue notizie.
Immagino che voglia finalmente aiuto, Riley pensò, visualizzando la donna minuta ma timida che aveva visto nella villa di Andrew Farrell.
Si chiese che cosa sarebbe stata in grado di fare per chiunque, in quel momento.
Infatti, l’ultima cosa al mondo di cui lei aveva bisogno era un altro problema da risolvere.
L’operatrice in attesa chiese: “Vuole che le giri la telefonata?”
Riley esitò per un secondo, poi rispose: “Sì, per favore.”
Nel giro di un istante, sentì una voce femminile.
“Pronto, parlo con l’Agente Speciale Riley Paige?”
In quel momento ricordò: Morgan non aveva pronunciato una sola parola per tutto il tempo in cui era stata a casa sua. Era parsa fin troppo terrorizzata dal marito persino per parlare.
Ma non sembrava affatto terrorizzata adesso.
In effetti, sembrava piuttosto felice.
E’ soltanto una telefonata di cortesia? si chiese.
“Sì, sono Riley Paige” rispose.
“Beh, ho soltanto pensato di doverle fare una chiamata. E’ stata molto gentile con me quel giorno quando è venuta a casa nostra, e mi ha lasciato il suo bigliettino da visita, e sembrava molto preoccupata per me. Volevo soltanto informarla che non deve già farlo. Tutto andrà bene adesso.”
Riley respirò più facilmente.
“Mi fa piacere saperlo” disse. “Lo ha lasciato? Otterrà il divorzio?”
“No” Morgan rispose allegramente. “Ho ucciso il bastardo.”