bc

La Rondine Rossa

book_age0+
detail_authorizedAUTHORIZED
25
FOLLOW
1K
READ
like
intro-logo
Blurb

Rondine Rossa è un'assassina fredda e spietata, ma quando si introduce nelle stanze del reggente dell'Unione della Ruota per ammazzarlo non lo fa a cuor leggerlo. Lo fa perché è costretta: hanno scoperto la sua identità e ora minacciano di uccidere il figlio che ha avuto da giovanissima e ha affidato a una famiglia di pescatori. Ma il suo piano non funziona e Fedor Grayson la scopre. Invece di farla giustiziare, però, la prende al suo servizio, perché uccida per lui.

La strada verso la libertà sarà molto lunga, per la Rondine Rossa, e la strada per i sentimenti sarà non meno impervia...

"Aveva indossato il suo costume il mattino dell’ultimo giorno di viaggio. L’aveva confezionato personalmente. Il bustino era molto stretto, la scollatura molto profonda. Per il resto era un abito da cameriera.

Era salita sulla carrozza del reggente, che l’aveva osservata con sguardo analitico.

«Perfetto» aveva commentato. «Respiri?».

Rondine aveva cercato di tenere tutte e due le tette dentro la scollatura. «Lavoro» aveva ribattuto, di cattivo umore."

CONTIENE SCENE ESPLICITE - SI CONSIGLIA A UN PUBBLICO ADULTO

missblack1.wix.com/missblack

chap-preview
Free preview
1.-1
1. C’è chi dice che l’assassinio sia un’arte. Rondine Rossa non era mai stata d’accordo. Eppure, se qualcuno avesse potuto fregiarsi del titolo di artista dell’omicidio, quella sarebbe stata lei. Nella sua quindicennale carriera aveva ucciso ogni possibile obbiettivo. Aveva avvelenato paranoici che stipendiavano quattro diversi assaggiatori e aveva accoltellato uomini che non lasciavano che nessuno gli si avvicinasse a meno di tre passi. Aveva abbattuto come bestiame individui tre volte più grossi di lei e aveva soffocato nel sonno persone che si vantavano di non dormire mai. Non era arte. Era il suo lavoro, l’unico che conoscesse. Era il secondo giorno di un novembre ventoso. I corridoi del Palazzo della Ruota erano troppo freddi, mentre li percorreva in punta di piedi, nei suoi abiti da cameriera. Anche quello faceva parte del suo lavoro: sapere come camminare. Camminava in punta di piedi, quindi, non come una persona che non vuole farsi notare, ma come una che non vuole disturbare. Una cameriera con un grosso fagotto tra le braccia. Lenzuola, biancheria sporca, niente di cui preoccuparsi. Rondine proseguì indisturbata fin quasi agli appartamenti privati del reggente. Incontrò le due guardie che avevano appena dato il cambio a un nuovo turno, davanti alla grande porta d’ingresso scura. A quella porta non si sarebbe nemmeno avvicinata, ma sapeva dov’era e com’era fatta. Era controllata da due guardie giorno e notte, anche se nessuno si aspettava che un nemico del reggente potesse davvero arrivare fin lì. Rondine sapeva tutto quello che le serviva sapere sul Palazzo della Ruota. Conosceva i turni della guardia personale del reggente e i nomi di buona parte della servitù. Aveva studiato le abitudini del suo obbiettivo. Entrò in una delle stanze di rappresentanza dell’ultimo piano e lasciò cadere per terra il fagotto che aveva portato fin lì. Chiuse la porta e si sfilò velocemente gli abiti da cameriera, il suo terzo e penultimo travestimento per la nottata. Entrare nel Palazzo della Ruota aveva richiesto tutta la sua abilità. Quindici anni di esperienza, comunque, pensò, sospirando appena. Non era poco. Non aveva ancora compiuto trent’anni. Sotto al vestito da cameriera aveva un aderente tuta di un grigio particolare. Aveva studiato anche quello. Nell’oscurità della camera in cui era entrata, sembrava quasi bianca. Prese quello che le serviva dal mucchio della biancheria sporca, poi andò ad aprire una finestra. Il vento freddo di quel novembre senza pietà le soffiò sulla faccia. Rondine aveva già i capelli legati stretti, ma ora li coprì con un foulard dello stesso grigio chiaro della sua tuta. Salì sul davanzale della finestra e la accostò dietro di sé. Bloccò i battenti con un cuneo di legno, in modo che non sbattessero per il vento. Poi guardò alla sua destra. La facciata ovest dell’edificio centrale del Palazzo della Ruota era illuminata dalla luna. Pietra grigia, che quella notte sembrava quasi d’argento. Rondine allungò un braccio e controllò che il colore del suo abito corrispondesse perfettamente a quello della facciata. Poi iniziò a camminare senza fretta lungo il cornicione. Sporgeva dal muro di circa venti centimetri: una profondità più che sufficiente, se riuscivi a dimenticare di essere a trenta metri dal livello del suolo, senza corde e senza moschettoni. Rondine l’aveva dimenticato nel momento stesso in cui era uscita là fuori. Il vento freddo le schiaffeggiava la faccia, così si affrettò lungo il cornicione. Non temeva qualche disagio, temeva di perdere sensibilità alle mani. Superò quattro finestre, poi si fermò. Secondo i suoi calcoli, doveva essere fuori dalla seconda finestra della camera da letto del reggente, quella più lontana dal suo letto. Naturalmente, non aveva mai visto gli appartamenti privati di Fedor Grayson. Non aveva nemmeno mai visto Fedor Grayson, non da vicino, quanto meno. Ma sapeva com’erano i suoi appartamenti e sapeva com’era lui. Non avrebbe sbagliato persona. Slegò il drappo di seta grigio scuro che portava alla cintura e lo fissò al bordo superiore della rientranza della finestra. Un vano di trenta centimetri scarsi. Fissò il telo anche in basso. Se qualcuno avesse guardato la finestra del reggente avrebbe visto una rientranza in ombra, come sempre. Lo incollò attentamente anche sui lati, perché il vento non lo strappasse. Iniziò a lavorare sul pannello inferiore destro della finestra. Era una finestra piuttosto comune, composta da quattro pannelli di vetro per battente, di legno rossastro. Estrasse silenziosamente i chiodini che tenevano in posizione il listello che bloccava il vetro. Ripeté l’operazione con altri due dei listelli, poi sfilò il pannello di vetro e lo appoggiò silenziosamente contro il battente di sinistra. Infilò un piede, scalzo, all’interno. Come supponeva, sulla mensola della finestra c’era un vaso. Entrò nella stanza evitandolo. Atterrò sul pavimento senza un rumore. Assi di legno lucido, le dissero i suoi piedi. Più avanti dovevano esserci dei tappeti. Rimase ferma dietro alle tende ascoltando i rumori. Non ce n’erano. O meglio, un rumore c’era, debolissimo. Qualcuno che respirava lentamente, a cinque o sei metri di distanza. Non era nemmeno un rumore, era quasi un’impressione. Il reggente, che dormiva. Rondine si sfilò lentamente la tuta. Sotto aveva una calzamaglia aderente, scura ma non nera. Il suo ultimo travestimento. Scivolò oltre le tende e si accorse che avrebbe potuto anche tenersi la tuta chiara. L’interno della stanza era completamente buio. Poteva essere un problema, pensò. Avrebbe individuato la sua vittima seguendo quell’impressione di respiro, ma non avrebbe potuto essere sicura di aver ucciso l’uomo giusto finché non fosse stato morto. A quel punto avrebbe potuto controllare, non prima. Cercò di cancellare l’irritazione dai suoi pensieri. Uccidere richiedeva uno stato d’animo tranquillo, quasi contemplativo. Stava per ammazzare l’uomo più potente dei Regni del Settentrione, il sovrano de facto dell’Unione della Ruota. Quell’incarico non le piaceva, anzi, lo odiava, ma questo non voleva dire che dovesse portarlo a termine in modo sciatto. Cancellò dalla sua mente ogni elemento estraneo al suo compito. Al suo lavoro. Non era arte. L’arte dà all’artista un’emozione: gioia, tormento, non importa. Rondine uccideva senza provare niente, nemmeno la legittima soddisfazione per un lavoro ben fatto. Il reggente respirava piano. L’aria della stanza era caldissima, secca. Rondine si rese conto che aveva cominciato a sudare. Prese dall’interno della manica il sottile filo piombato con cui avrebbe garrotato il reggente e iniziò ad avvicinarsi. Doveva essere a letto. Dormiva. Non si vedeva assolutamente niente. Rallentò ancora. Non doveva fare rumore. Non ne fece. Il respiro di Fedor Grayson ora era vicino. Un respiro leggero, lento. Rondine si passò un’estremità del filo nella sinistra, tenendo l’altra con la destra. Doveva essere a un paio di metri dal reggente. Pochi secondi. Un uomo gridò. +++ Non fu un grido molto forte, tutt’altro. Fu un grido soffocato. Proveniva dal letto. Rondine restò immobile. Un incubo? Di certo, ora, l’uomo nel letto respirava veloce, ben desto. Che cosa avrebbe fatto? Avrebbe acceso la luce? Avrebbe cercato di riaddormentarsi? Si sarebbe alzato? Naturalmente, lui doveva conoscere la sua camera da letto centimetro per centimetro. Rondine non sapeva nemmeno se fosse quadrata o rettangolare. Se il reggente avesse acceso la luce, avrebbe potuto sopraffarlo senza problemi. Se si fosse alzato al buio, sarebbe diventato... complicato. Una cosa è garrotare un uomo che dorme, che se ne sta fermo, lasciandoti tutto il tempo di capire dove ha la gola, un’altra è garrotare un uomo che si muove, che può gridare, che può lottare. Rondine doveva uccidere Fedor Grayson, ma voleva anche uscire viva di lì. Restò immobile, attendendo l’evolversi degli eventi. Il reggente non accese la luce e non si alzò, ma non si riaddormentò. Rondine sentì il suo respiro che accelerava e si faceva irregolare, poi sentì un singhiozzo. Rimase dov’era, ferma. Fedor Grayson piangeva, cercando di non fare rumore senza un preciso motivo. Era solo nei suoi appartamenti. Rondine aspettò paziente. Aveva caldo e il sudore iniziava a colarle sulla fronte, ma aspettò. Circa dieci minuti più tardi, il respiro del reggente tornò alla normalità. Poi, pian piano, rallentò di nuovo. Quando fu ragionevolmente sicura che si fosse riaddormentato, Rondine sollevò il filo e fece un passo avanti. Sentì un click metallico e, subito dopo, una voce maschile disse: «Fermo». +++ Si accese la luce e Rondine guardò distaccatamente la bocca della pistola che le veniva puntata contro. Abbassò le mani e spostò lo sguardo sull’uomo che teneva la pistola. Meno di quarant’anni, viso lungo e sottile, naso leggermente storto, affilato, occhi sottili e vuoti, capelli scuri. Be’, quanto meno, ora sapeva che era davvero lui, Fedor Grayson. Rondine osservò il suo torace pallido, quasi glabro. Non si alzava ed abbassava affannosamente. Quell’uomo era calmo quanto lei. «Se ti muovi, sparo» le disse, senza perdere di vista le sue mani. Aveva una voce bassa, non sgradevole, dall’accento coltivato. «Puoi aprire le dita per lasciar cadere quella garrota». Rondine lo fece. Probabilmente a quel punto era morta comunque, ma tanto valeva dimostrarsi collaborativi. Il reggente inclinò la testa da un lato, pensieroso. Aveva gli occhi grigio scuro, tranquilli come pozzanghere. «Una donna. Giovane, nemmeno trent’anni. Chi sei?». «Rondine Rossa» rispose lei. L’altro sorrise appena. «Ma davvero...» mormorò. «Sono quasi lusingato. Pensavo che fossi più vecchia. Molto bene, Rondine Rossa, ora dimmi il tuo vero nome». «Irina Swan». «Mh. Quindi perché “rondine”? Sul “rossa” ho qualche idea». L’assassina non cambiò espressione. «Non ha nessun significato particolare». Fedor Grayson sollevò un ginocchio, sotto alle lenzuola, e lo usò per posarci il braccio con cui reggeva la pistola. «Potrei spararti e finirla qua. Potrei chiamare le guardie. Ma vorrei parlarti, prima, e non so come renderti inoffensiva senza ferirti gravemente. Non credo che ti lascerai legare. Non credo che, una volta legata, diventeresti meno pericolosa». Rondine pensò velocemente. Quell’uomo era un capo di stato, non aveva paura di uccidere e se non avesse trovato un modo per interrogarla in tutta sicurezza avrebbe scelto la soluzione più semplice: non interrogarla affatto. «Può spararmi a una coscia» disse. L’altro arricciò il naso. «Non desidero spararti a una coscia. Se ti sparo, ti sparerò alla testa. E non voglio fare rumore». Rondine tornò a pensare. «Può drogarmi, se ha della droga». Il reggente sorrise appena. «Non ne ho. Hai un coltello?». Rondine annuì appena. «Nella manica. In entrambe le maniche». «Che meraviglia. Quindi puoi uccidermi anche adesso. Se non lo fai, è perché anche tu non vuoi rumore. Quando te lo dico, sdraiati pancia a terra, con le braccia e le gambe aperte». Di nuovo, Rondine annuì, senza muoversi. Il reggente scalciò via il lenzuolo, senza distogliere lo sguardo dalle sue mani e senza perderla di mira. Si alzò sulle ginocchia. Rondine mantenne gli occhi nei suoi. «Ho un paio di mutande» la informò l’altro, con una smorfia sarcastica. «E comunque non mi sarei arrabbiato al punto di ucciderti. Ora puoi sdraiarti per terra. Molto lentamente». L’assassina fece come le diceva. Si stese sulla pancia e allargò braccia e gambe il più possibile. «Molto bene». Sentì il rumore dell’altro che scendeva dal letto e poi un peso in mezzo alla schiena. Fedor Grayson si era seduto sopra di lei, all’altezza della sua vita. Una mano le percorse il fianco e il braccio sinistro. Il coltello che aveva nella manica fu gettato lontano. «Per fortuna hai questa calzamaglia, mh? Direi che non puoi nascondere pistole. Altre armi?» chiese il reggente, buttando via anche il suo secondo coltello. Rondine annuì appena. «Non posso prenderla, ora. Una lima». «Una lima» ripeté l’altro. Rondine non era in grado di dire se stesse sorridendo. «In caso di cattura?». Di nuovo, Rondine annuì appena. «E non ti fa male?». «Sì, un po’». «Mh-mh. Chi ti manda?». Rondine non pensò nemmeno per un istante di mentire. «Pickmile» rispose. Sentì il reggente che sbuffava. «Solo lui?». «Che io sappia. Credo che rappresenti più di una persona, però». «Quanto ti ha pagata?». «Niente» rispose Rondine. L’altro rimase in silenzio per qualche istante. «Niente non è il prezzo di un sicario. Vuoi ammazzarmi per qualche motivo personale?». «No, reggente. Pickmile ha scoperto la mia identità e ha minacciato di uccidere mio figlio». Di nuovo, l’altro restò in silenzio per qualche istante. «Cazzate» concluse. Rondine scosse la testa. «No, reggente. Il ragazzo non sa che sono sua madre. Non posso proteggerlo. Non rida, per favore». «Non ho nessuna intenzione di ridere. Ho intenzione di tirarti fuori quella lima passando dalla bocca, se mi menti». Rondine scosse la testa di nuovo. Faceva fatica a respirare, con il suo peso sulla schiena, e non era più molto tranquilla. «Non le sto mentendo. L’ho affidato a una famiglia appena nato. Crede di essere loro figlio». «Quanti anni ha? Come si chiama?». «Quindici. Si chiama Igor, Igor Littleson». «Quanti cazzo di anni hai, tu?» replicò l’altro. Sembrava leggermente irritato. «Quasi trenta, reggente». Rondine si sentì prendere per i capelli. La crocchia si era sciolta in una treccia rosso-dorata e il reggente le tirò la testa verso l’alto. «Quasi trenta» ripeté. Rondine sentì la sua voce più vicina all’orecchio, ora. Probabilmente la stava guardando in faccia.

editor-pick
Dreame-Editor's pick

bc

La pelle del mostro

read
1K
bc

Sexcation

read
1K
bc

Il vampiro bianco

read
1K
bc

Desideri proibiti

read
1K
bc

Una storia di sesso

read
1K
bc

Come due alberi senza radici

read
1K
bc

Fatto per uccidere

read
1K

Scan code to download app

download_iosApp Store
google icon
Google Play
Facebook