«Dove vive, questo ragazzino?».
Lei glielo disse. Gli disse chi erano i suoi genitori adottivi, gli disse che lavoravano al porto di una città vicina, gli disse il nome della barca che il padre adottivo di suo figlio usava per andare a pesca.
«Dov’è il padre vero?» chiese il reggente.
«Morto. Morto subito» ansimò Rondine. Le stava facendo male.
«Come?».
«In mare».
«Questa storia patetica è una cazzata».
Rondine gemette piano. «No, no...» balbettò. «Mio padre... era un assassino. L’ha ucciso re Piotr, dieci anni fa. Impiccato. Lo chiamavano Condor. Non volevo fare la professione di famiglia, sono scappata. Poi è nato Igor, Karlo è andato via, è morto. Sono tornata da mio padre. Non potevo andare da nessun’altra parte. Mi ha insegnato lui».
«Questo non mi interessa» concluse l’altro, lasciando andare i suoi capelli. «Dove vivi?».
Rondine glielo disse.
Questa volta il reggente rimase in silenzio più a lungo. Rondine si chiese che cosa stesse pensando. Dato che stava decidendo del suo destino, non era una curiosità fuori luogo. E odiava essere lì, schiacciata per terra, troppo spaventata per osare ribellarsi e quasi in lacrime.
Era questa la differenza tra la gente normale e le persone come Fedor Grayson? Che riuscivano ad annullarti in un secondo?
«Stai ferma, ora» disse lui, alla fine.
Sentì la sua mano sinistra che cercava qualcosa all’altezza della sua vita. L’elastico dei calzoni della calzamaglia, come capì poco dopo. «Hai ancora la pistola alla nuca. La senti?».
«Sì» confermò Rondine.
«Stai ferma» ripeté il reggente.
Rondine si irrigidì. Sentì la mano dell’altro sopra alle natiche, che si muoveva a tentoni. La canna della pistola era ancora contro la sua nuca. Poi quella che avrebbe dovuto essere la sua vittima le allargò le natiche con la mano e infilò un dito dentro il suo ano. Poi un altro, divaricando. Rondine emise un grido strozzato e iniziò a piangere sottovoce. Non era solo il dolore – e le stava facendo male – era il senso di umiliazione. La canna della pistola premette più forte contro la sua nuca.
«Stai zitta» le ordinò l’altro. Sentì le sue dita che si muovevano, tastando l’interno del suo ano. Si morse un labbro. La sensazione bruciante di avere dentro qualcosa di estraneo, che la allargava, la violava, la penetrava.
«Non è...» sussurrò.
«Ho capito. Non mi sarei fidato lo stesso, sai. Stai ferma».
Rondine fece come le ordinava. Il reggente disincastrò le dita da dentro di lei e scese verso la sua v****a. Rondine continuava a piangere ed era completamente contratta. Le dita del reggente le fecero male, quando si infilarono, prepotenti e sgradite, al suo interno. Trovò la lima quasi subito. Rondine temeva che la sfilasse di colpo, ma lo fece lentamente, con una certa attenzione.
«Non sono un sadico bastardo, ma non mi piace svegliarmi con un’assassina nella stanza, mi sembra abbastanza comprensibile». Rondine sentì la lima che rimbalzava sul tappeto, a qualche metro di distanza.
Subito dopo, Fedor Grayson si alzò dalla sua schiena.
Rondine vide i suoi piedi che le passavano davanti alla faccia. Qualche secondo più tardi, il reggente si accucciò davanti a lei. Continuava a tenerla sotto tiro con la pistola, ma aveva una bottiglia nell’altra mano.
Gliela portò alle labbra.
«Bevi» le disse, inclinandola verso di lei.
Rondine bevve. Era acqua, semplicemente acqua.
«Bevi ancora» disse l’altro, quando scostò la testa.
«Non...»
«Ora non hai più sete, ma tra qualche ora la avrai di nuovo e non ho nessuna intenzione di lasciarti la bottiglia».
Rondine bevve ancora.
«Adesso alzati».
Rondine si alzò e sollevò lentamente le mani. Dove l’aveva perquisita le faceva male. Il reggente la scrutò con espressione seria, la testa un po’ inclinata.
Si spostò verso un angolo della stanza senza perderla di mira.
«Non voglio scappare, davvero» mormorò Rondine. «Mi ha battuta».
L’altro le rivolse un lieve sorriso. «Mi perdonerai se non ti credo». Aprì quella che sembrava l’anta di un armadio. «Dentro» le disse.
Rondine si avvicinò cauta, un po’ preoccupata. Era un cubicolo ricavato nel muro, grande pressappoco come un armadio, appunto. Poteva essere profondo cinquanta centimetri, largo un metro e alto due. Sospirò ed entrò.
«Ti lascio i vestiti perché sono gentile. Spero di non pentirmene quando verrò a tirarti fuori».
Lei scosse la testa.
«Come ho già detto, non sono un sadico bastardo, ma ho un certo numero di sadici bastardi sul libro paga. Resta lì brava, buona e in silenzio e non li incontrerai mai. Sono stato chiaro?».
«Sì, signore» mormorò Rondine.
Lui la chiuse dentro e lei sentì il rumore di una serratura e quello di una sbarra.
Intrappolata.
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Quando lo rivide, dovevano essere passate più o meno ventiquattro ore. Era rimasta seduta dentro quella sorta di armadio a muro, alzandosi di tanto in tanto. Per terra c’era un telo cerato di cui aveva presto compreso lo scopo.
L’aria non le mancava, ma aveva avuto prima troppo caldo e poi troppo freddo. Aveva avuto fame e sete.
Aveva sentito dei rumori, nella stanza, ma non aveva fiatato.
Era persino riuscita a dormire, per qualche ora.
Si sentiva pesta e macilenta, anche se il reggente non l’aveva picchiata. Si sentiva sconfitta e umiliata.
«Sto per aprire, sei sveglia?» disse la sua voce, più o meno un giorno più tardi. La voce del padrone, in pratica.
«Sì» mormorò Rondine.
«Alzati in piedi, voltati di fronte, posa una mano sulla parete destra e una su quella sinistra all’altezza della tua testa. Se quando apro sei in un’altra posizione ti sparo. Hai capito?».
«Sì» ripeté Rondine.
«Brava ragazza».
Sentì la sbarra che veniva tolta e la chiave che girava nella serratura, poi la porta si aprì.
Il reggente indossava uno dei completi austeri per cui andava famoso. Era sbarbato e pettinato, naturalmente. E aveva una pistola in mano.
La osservò in silenzio per qualche istante.
«Molto bene. Spogliati, poi puoi uscire».
Rondine restò ferma.
«Non mi sembri esattamente in una posizione contrattuale forte» le fece notare l’altro. «Mi sono informato. La storia del figlio è vera. E adesso sono io che ti ricatto, mi sembra chiaro».
Rondine si tolse la maglia e poi restò lì, con l’indumento in mano.
«Buttala per terra» le spiegò l’altro. Rondine lo fece, prima di sfilarsi anche la calzamaglia. Buttò per terra anche quella. Era sporca, aveva un odore acre. Provò ribrezzo per se stessa e abbassò gli occhi.
«Va tutto bene. Vieni con me. Non credi che se mi fosse interessato stuprarti l’avrei già fatto?» le disse lui, in tono paziente.
«Non lo so» borbottò Rondine.
Lui scosse appena la testa, ma non aggiunse altro. Le indicò un’altra porta.
Come Rondine scoprì poco dopo, era una stanza da bagno. Era calda e la vasca era piena d’acqua fumante.
«Entra. Controlla che non scotti».
Rondine mise una mano nell’acqua. Era molto calda, ma non ustionante. Entrò lentamente nella vasca. Si sentiva debole, confusa.
Il reggente poso la pistola sopra a un mobiletto e lo aprì. Prese un flacone e andò verso di lei. Rondine si portò le ginocchia al petto. L’altro, senza guardarla direttamente, versò un po’ di liquido dentro alla vasca.
«Hai sete?» le chiese. Lei annuì.
Lo sentì che usciva dalla stanza e poi rientrava. Si sedette sul bordo della vasca, posandosi il vassoio sulle gambe. Le passò un bicchiere pieno di vino rosso. «Bevi».
Rondine bevve. Poi mise la testa sott’acqua. Ora la vasca era piena di schiuma. Si strofinò le mani sul corpo. Il reggente le passò una spugna. Aspettò pazientemente che finisse di lavarsi, prima di allungare verso di lei il vassoio. C’erano degli involtini e una mela.
Rondine mangiò gli involtini con le mani e la mela a morsi.
«Sai a chi appartieni ora, giusto?» le chiese il reggente.
«A lei?».
«Già. Ucciderti sarebbe stato uno spreco. Nessuno era mai arrivato fino alla mia camera da letto».
Rondine annuì.
«Alzati, ora».
Lei esitò.
Fedor Grayson sbuffò appena, ma le rivolse uno sguardo paziente. «Dobbiamo chiarire questa cosa, Rondine Rossa» le disse. «Penso che tu sia una bella donna, lo penso onestamente, ma ne conosco almeno venti più belle di te che non hanno mai cercato di uccidermi. Alcune di loro sarebbero lusingate se gli chiedessi di dormire con me. Tu sei una mia proprietà, ora, una mia cosa. Non vado a letto con le mie proprietà».
L’altra si alzò, con lo sguardo basso, gocciolante.
«Guardami» le disse il reggente.
Rondine lo fece. Lo vide inclinare lievemente la testa e osservarla attentamente dappertutto.
«Quello che vedo è un macchinario ben oliato che non ha altra scelta che servirmi» le spiegò. «Vedo mani abili, braccia allenate, cosce agili. Non vedo proprio nient’altro. Ieri sera non ti ho scopata con le dita, ti ho perquisita, lo capisci?».
Rondine annuì. Sentiva che gli occhi le stavano diventando caldi e odiava quella sensazione.
«Sì, è umiliante essere l’oggetto di qualcuno» concordò il reggente, tranquillo. «Ma è quello che sei, ora. Dovresti ringraziarmi per non averti uccisa. Dovresti ringraziarmi per non averti fatta impiccare sulla pubblica piazza, dove tuo figlio potesse vederti pendere. Hai assistito alla morte di tuo padre?».
«Sì» disse lei.
«Be’, anch’io. Mio padre è stato decapitato in mezzo a una sala da ballo. Prima di morire si è cagato addosso e dopo la sua morte hanno pisciato sul suo cadavere in tre. Non è una cosa che desidero per qualcun altro, nemmeno per un mio oggetto. Dimostra di essermi fedele e ti ricompenserò, in termini di denaro e in termini di rispetto. Ieri sera hai provato a uccidermi. Non ho voglia di scoparti, ho voglia di ucciderti, lo capisci?».
Lei annuì.
«E umiliarti mi dà una certa soddisfazione, non lo nego. Mi passerà, sai. Ora sono ancora arrabbiato con te, ma mi passerà. Esci da quella vasca».
Rondine si strizzò i capelli con le mani prima di farlo. Lunghi capelli rosso scuro con dei riflessi dorati.
«In ginocchio».
Questa volta non esitò. Si piegò docilmente davanti a lui. Il reggente le appoggiò una mano sulla testa e Rondine si disse che faceva parte della sua vendetta. Faceva parte della sua vendetta che le prendesse la testa come se la volesse forzare verso un rapporto orale.
«Giuri di essermi fedele?» le chiese lui.
«Lo giuro».
Come se potesse fare altro che giurare.
«Prometti di servirmi e obbedirmi?».
«Lo prometto».
Lui lasciò andare la sua testa e si asciugò la mano sul panciotto.
«Là c’è un asciugamano. Sulla sedia ci sono dei vestiti. Puoi andartene da dove sei entrata e cerca di non farti scoprire. Ti farò chiamare quando avrò bisogno di te».
«Sì» disse Rondine.
Il reggente la lasciò senza aggiungere una parola.