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2098 Words
1 Tre strane ragazze Era una calda serata afosa di fine estate, la più calda che la città di New York ricordasse. O almeno così pensavano le persone ammassate attorno al ring di Williamsburg, nel distretto di Brooklyn. Il torneo della federazione indipendente di arti marziali era agli sgoccioli. Dopo aver animato le serate dei newyorchesi con incontri spettacolari, la cintura veniva messa in palio per l’ultima volta prima della pausa tra un campionato e l’altro. Un uomo armato di microfono salì finalmente sul quadrato e la folla scalmanata ammutolì. “Signore e signori, un caloroso benvenuto da parte mia a tutti voi!” esclamò con tono scherzoso mimando il gesto di farsi aria. Delle risatine serpeggiarono tra il pubblico, Kevin Slater era il presentatore più amato della federazione. “Dopo tre mesi di sangue, sudore e lacrime su questo spietato ring, il grande giorno, o forse sarebbe meglio dire la grande notte è giunta! Abbiamo visto lottatori da tutta l’America combattere ferocemente tra loro, abbiamo ammirato stili di lotta diversi, abbiamo assistito a vere e proprie battaglie, abbiamo vissuto e sofferto insieme a loro mentre scalavano la vetta del torneo e abbiamo pianto lacrime amare ogni qualvolta uno dei nostri beniamini ha dovuto fare le valigie. Ma questo sport non prova pietà per nessuno. Solo i duri e i forti possono rimanere in piedi su questo ring e solo una macchina da guerra poteva arrivare fino allo scontro decisivo con il campione in carica e calcare questo campo di battaglia per l’ultima volta!” Si voltò verso l’angolo rosso e sollevò con teatralità il braccio sinistro. “All’angolo rosso lo sfidante! Colui che non è mai andato oltre la seconda ripresa, l’uomo che ha vinto venti incontri per ko su ventiquattro, il campione di Vale Tudo, e ripeto Vale Tudo, non MMA, il serpente nero Boiùna, da San Paolo, Brasile, Heitor Pereira!” Un bestione salì al centro del ring sollevando le braccia. I lunghi dreads neri ricadevano sulla schiena color caramello celando parzialmente il tatuaggio a forma di testa di serpente. Il pubblico urlò a gran voce il suo nome di battaglia, Boiùna, il mitico serpente nero del folklore brasiliano, anche se non tutti sembravano dalla sua parte. Aveva eliminato molti beniamini dalla competizione e sembrava non gliel’avessero ancora perdonato. Il presentatore si schiarì la voce e il silenzio calò di nuovo. “All’angolo nero.” Un sorriso si fece largo sul suo volto. “Il tornado lottatore, l’uragano infuriato, il pugno danzante, la regina del sinistro, il jab della leggenda…” Mentre l’uomo continuava ad elencare i vari soprannomi del campione in carica, la folla cominciò a dividersi formando un corridoio. “…la specialista del gancio, la furia scatenata, è con grande onore che vi presento la nostra campionessa imbattuta, l’unica, grande e sola Hells!” Il pubblico esplose in un boato di grida mentre una sagoma avvolta in un mantello scuro percorreva a tutta velocità il passaggio tra la gente. Con un balzo saltò in cima all’angolo del ring, lanciando contemporaneamente in aria il drappo nero e svelando la sua identità: una ragazza dai lunghi capelli corvini legati in una coda di cavallo. Tolse la cintura da campione e la alzò sopra la testa, ricevendo le ovazioni della folla nella sua interezza. Si inchinò in segno di ringraziamento per poi scendere dall’angolo con un saltello. Affidò la cintura al presentatore, gli fece l’occhiolino e si posizionò al centro del ring, di fronte allo sfidante. Sembrava una bambina paragonata al gigantesco lottatore. “Finalmente ci affrontiamo, tornado lottatore.” esclamò l’uomo, ma più che un complimento il suo sembrava un tentativo di scherno. “Sei arrivata fin qui con la tua bella cintura di Tiffany solo perché sei stata così fortunata da non incontrarmi sulla tua strada!” “Lo sai, Boiùna? Quando questo incontro sarà finito dovranno aggiungere un altro titolo alla mia presentazione: la mangusta nera!” “O-oh, l’atmosfera sul ring sta cominciando a scaldarsi!” esclamò il presentatore con un sorriso. L’arbitro salì sul ring e si avvicinò ai due contendenti. “Conoscete le regole, sono poche ma dovete rispettarle: niente armi, oggetti contundenti o quant’altro, potete fare affidamento unicamente sulla vostra forza fisica!” “Non ti preoccupare, mi basta un morso per eliminare questo topolino!” sibilò lo sfidante con aria arrogante. “Dateci dentro!” Il suono del gong seguì le parole dell’arbitro, segnando l’inizio dell’incontro. “Avanti orbettino, fammi vedere cosa sai fare! Mordimi, se ci riesci!” Con un urlo di rabbia l’energumeno si avventò sulla ragazza che evitò facilmente la sua presa sgusciandogli di lato con un movimento aggraziato. La campionessa giocò con lui per una manciata di minuti, giusto per non deludere il pubblico che aveva atteso tre lunghi mesi per assistere alla finale, se l’incontro fosse finito in un batter d’occhio non ci sarebbe stato alcun gusto. “Non sai fare altro che scappare, ragazzina?!” sbraitò l’uomo infuriato, per quanto ci provasse nessuno dei suoi attacchi era andato a segno. “Perdonami, ma i tuoi colpi soporiferi non hanno effetto su di me!” ribatté lei sbadigliando con fare teatrale. “Mi sto addormentando, posso schiacciare un pisolino?” Boiùna tornò alla carica sibilando come un vero e proprio serpente, quella minuscola ragazzina si stava prendendo gioco di lui davanti a centinaia di persone. La lottatrice cominciò ad aumentare il ritmo, rispondendo ai suoi attacchi senza però sbilanciarsi troppo. Erano già alla terza ripresa quando con la coda dell’occhio notò il presentatore a bordo ring sbracciarsi per attirare la sua attenzione. Alla vista del cellulare nella sua mano che suonava incessantemente, le iridi d’ametista della ragazza si illuminarono improvvisamente. “Ti chiedo scusa, ma sono richiesta altrove.” Sferrò un calcio al ginocchio d'appoggio dell'uomo che cedette senza quasi rendersi conto del perché, tanto era stata veloce, e prima che potesse rialzarsi lo colpì al torace e infine al mento con una rovesciata all’indietro. Lo sfidante crollò sul ring a peso morto, il conteggio dell’arbitro fu totalmente superfluo. La folla esplose in un boato di sorpresa e giubilo e la campionessa salì nuovamente in cima all’angolo sollevando le braccia al cielo. Il Woodlawn Cemetery, uno dei più grandi cimiteri di New York, è un luogo allo stesso tempo suggestivo e lugubre di giorno, figurarsi di notte. Cosa ci facesse una giovane donna tutta sola, lo sapeva solo il cielo, sembrava quasi una visione, o uno scherzo di cattivo gusto. Il suo abbigliamento era elegante e raffinato mentre il volto contornato dai lunghi capelli rossi era abbellito da un velo di trucco, di certo non era una senzatetto con la passione per il grottesco. Camminava guardandosi intorno con fare indifferente, come se fosse alla ricerca di qualcosa ma non avesse alcuna fretta di trovarla. Oltrepassò la tomba di Miles Davis e quella di Herman Melville, superò mausolei e statue senza nemmeno degnarle di uno sguardo e finalmente si fermò sopra un’anonima lapide in mezzo a tante altre. Passarono diversi secondi senza che accadesse alcunché, il silenzio del camposanto disturbato solo dai rumori della città in sottofondo. Controllò l’orologio al polso e sbuffò impaziente. “Quanto ancora hai intenzione di farmi aspettare?” Si inginocchiò e bussò sopra la lastra di marmo. “C’è nessuno? Non ho tutta la notte!” esclamò con fare stizzoso, ma non ricevette risposta. “Al diavolo!” Girò i tacchi e tornò da dove era venuta. Una mano spuntò improvvisamente dal terriccio della tomba e in pochi istanti un vampiro redivivo scavò la sua via d’uscita. Si ripulì i vestiti sporchi di terra e fece per allontanarsi, ma un fischio in lontananza attirò la sua attenzione. Prima ancora che potesse capire cosa stava succedendo, un falco pellegrino piombò dall’alto e gli artigliò la faccia. La creatura urlò più di sorpresa che di dolore, portando una mano agli occhi insanguinati. La sua vista offuscata catturò l’immagine sfocata della ragazza di poco prima, ferma di fronte a lui, un sorriso sardonico sul volto grazioso e allo stesso tempo inquietante. Fu l’ultima cosa che vide prima di diventare un mucchietto di cenere. “E anche questa è fatta!” sospirò la ragazza infilando il paletto di frassino nella borsetta per poi tirarne fuori un guanto di cuoio. Sollevò il braccio e il falco che volava in cerchio sopra il camposanto vi si appollaiò. “Bravo piccolino.” lo vezzeggiò prima di fargli spiccare nuovamente il volo. “Andiamo a riscattare la nostra ricompensa!” annunciò sfregandosi le mani mentre un sorriso compiaciuto si faceva largo sul suo volto. Si diresse verso l’uscita del camposanto sfilando contemporaneamente il guanto, ma quando aprì la borsetta notò il suo cellulare vibrare per una chiamata in arrivo. Guardò il numero sul display e il sorriso svanì per lasciare il posto a una smorfia. Con un'alzata di spalle richiuse la cerniera ignorandolo volutamente e una volta uscita dal cimitero chiamò un taxi per l’AMC, il suo casinò preferito. Il West Forth Street Courts di Manhattan, meglio conosciuto come “The Cage”, era gremito di persone ammassate attorno al campo da basket. Due squadre amatoriali si stavano sfidando in quella che non era più una semplice partita, sembrava un vero e proprio incontro di NBA tanta era la bravura dei giocatori in campo. L'attenzione del pubblico era però rivolta ad una ragazza dai corti capelli neri che spiccava sul campo da gioco non solo perché era l'unica donna, ma perché era l’unica a non essere afroamericana. “Che ci fa quella ragazza con le Pantere? È una sostituta?” domandò un ragazzo dopo essere finalmente riuscito a farsi strada fino alla rete. “Stai scherzando? Davvero non sai chi è lei?” ribatté l’uomo al suo fianco, sbigottito. “Dovrei?” “Guarda coi tuoi occhi.” rispose semplicemente mentre un sorriso enigmatico si faceva largo sul suo volto. Il punteggio era di perfetta parità, centouno a centouno. Mancava meno di un minuto allo scadere del tempo e la palla era in mano alla squadra avversaria. Il playmaker scattò improvvisamente in avanti, scartando con abilità due giocatori che si frapposero nella sua avanzata. “Excell!” urlò uno dei due alla campagna di squadra. “Ricevuto!” rispose la ragazza con un sorriso. In un istante attraversò il campo da gioco e rubò con maestria la palla all'avversario. Fu così veloce che il giocatore fece altri due passi prima di rendersi conto di non avere più il possesso del pallone. “Fermatela!” sbraitò voltandosi verso i suoi compagni. Fu tutto inutile. Uno dopo l’altro cercarono di frapporsi tra la ragazza e il canestro, ma lei li scartò tutti con leggiadria e agilità al limite dell'umano, correndo poi a segnare i due punti della vittoria. Era stata così veloce che aveva impiegato solo una manciata di secondi a prendere palla e concludere l’azione. “Ma chi è, la moglie di Flash?!” esclamò sorpreso il ragazzo del pubblico e l’uomo al suo fianco scoppiò a ridere. “Ora capisci perché è l’unica ragazza a cui è stato concesso di giocare con le Pantere? Quando si è presentata nessuno voleva farla giocare, ma dopo aver battuto ogni singolo avversario in una sfida uno contro uno hanno letteralmente fatto a botte per aggiudicarsela in squadra!” L’arbitro fischiò la fine della partita e i compagni di squadra corsero ad abbracciare la ragazza per poi sollevarla come un’eroina. L’allenatore si stava sbracciando da dietro la rete per attirare la sua attenzione e quando finalmente intercettò le sue iridi dorate sollevò un cellulare che suonava incessantemente da cinque minuti. La ragazza sgranò gli occhi sorpresa. “Scusate ragazzi, potreste mettermi giù?” Corse ad afferrare il telefonino tra le maglie della rete. “Pronto? Adesso? D’accordo, arrivo subito.” Interruppe la chiamata e si voltò verso i compagni con un sorriso amaro. “Scusate ragazzi, ma dovrete festeggiare senza di me.” “Come sarebbe a dire?! Sei tu la star, hai fatto novantuno punti da sola, senza contare tutti i canestri che hai impedito!” protestò il capitano della squadra. “Mi dispiace davvero tanto ma è un'emergenza, e poi lo sapete che sono astemia!” “Ma…” “Devo andare.” Prima che potessero trattenerla oltre sgattaiolò fuori dalla recinzione e si dileguò tra i palazzi. Si guardò intorno più volte per accertarsi che nessuno la stesse osservando, infine chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Delle ali dalle piume nere spuntarono dalle sue scapole. Riaprì gli occhi e alzò con decisione la testa verso il cielo notturno sopra di lei. Un istante dopo era sparita.
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