4.
Le mani strette al parapetto della torre dei sorveglianti, Sienna sopportava con stoicismo gli affondi dell’uomo dentro di lei. Gemeva sottovoce, fingendo un entusiasmo che era ben distante dal provare davvero.
John La Guardia era un peso medio in tutti i sensi. Un po’ abbondante sulla vita, di taglia M al di sotto. La teneva per i fianchi e grugniva felice, sicuro che anche lei si stesse divertendo, cosa che in fondo deponeva a suo favore. Non si eccitava per la sua sofferenza, quantomeno.
Quando ebbe finito Sienna decise di lusingarlo un po’ chiedendogli di aspettarla. Per non tirare troppo la corda finse di venire pochi secondi più tardi.
A quel punto si voltò, languida e sensuale, appoggiandosi a lui e facendogli scorrere le mani sul petto.
«Era un sacco di tempo che non stavo così bene, John» mormorò.
Lui borbottò qualcosa di imbarazzato.
Sienna tornò a voltarsi, prendendo i suoi polsi in modo da farsi abbracciare da dietro, il sedere nudo ancora attaccato al suo inguine.
«E che vista c’è da quassù la notte, eh?»
«Meglio di quella che c’è di giorno, di sicuro».
«Mh, già. Trelease mi ha portata qua appena arrivata, per farmi vedere che non potevo scappare».
Un altro borbottio imbarazzato. Lei rise. «Hai ragione, non parliamo di queste cose! Non roviniamo il momento. Sei stato a Londra, di recente? È un sacco che non ci vado. È cambiata? Si è un po’ ripopolata?»
John le toccò una tetta. La palpò per un po’, distratto. «Mh... una specie. Verso il centro, diciamo. Nella zona del Parlamento vivono tutti i pezzi grossi dell’Ordine, naturalmente, e...» Diede un colpo di tosse. «Forse è meglio che non ne parli».
Lei rise ancora. «Oh, sì, il grande segreto di stato che i gerarchi vivono nella zona del Parlamento! Chi mai l’avrebbe detto».
Rise anche lui. La strinse ancora. Dio, voleva fare il bis?
«Hai capito».
«Ma certo. Volevo solo sapere com’era cambiata la città. Se ai Docks ci sono ancora le houseboat dei contrabbandieri – no, questo non potrai dirmelo – o se davanti alla Torre vendono ancora i doughnut più buoni del mondo, in quel baracchino tutto lercio...»
John ridacchiò, tornando a toccarla. Le sue mani scivolarono giù, fino al sesso di lei.
«Lo confermo».
«Dio, ucciderei per uno di quei doughnut...»
«Bambina viziata...»
Sì, era già pronto per ricominciare. Sienna era basita. Mr. Medio, lì, aveva il periodo refrattario più breve che avesse mai visto.
Gli strofinò il sedere sull’uccello e gli chiese se voleva punirla per le sue voglie.
Quell’idiota ridacchiò ancora e un minuto più tardi Sienna lo aveva di nuovo dentro. Questa volta si appoggiò al parapetto con i gomiti per stare più comoda e finse di finire un po’ prima di lui. John non si pose il problema di darsi una mossa.
Fu Caradoc Trelease a entrare nella sua cella con un doughnut in mano, la sera dopo. Andò verso di lei con in faccia un’espressione tale che Sienna si alzò dallo scrittoio e fece un salto indietro.
Lui la incollò al muro con il suo corpo, il petto contro il suo petto, una mano che le stringeva dolorosamente un polso.
«Non vuoi il tuo dolcetto, cara?»
«C-Caradoc, aspetta. Era una richiesta innocen—
«Non prendermi per il culo, okay?» la interruppe lui, schiacciandola ancora più forte. Sienna riusciva a sentire la barriera dura dei suoi muscoli pettorali, i bottoni della giacca, la sua coscia premuta sull’inguine...
Rabbrividì, scoprendosi eccitata come mai prima.
«Pensi che sia scemo? Che messaggio ha passato quell’inetto?»
«Non... non è coinvolto».
Trelease le strinse più forte il polso, le diede un altro spintone contro il muro e Sienna quasi gemette di piacere. Molto normale, davvero. Tutto sotto controllo.
«Io lo so che non è coinvolto. La polizia politica? Loro vogliono controllare per bene, e non dubitare che lo faranno».
Lei gli rivolse un sorrisino finto-compassionevole. «Uno in meno, no?»
Trelease le torse il polso fino a farla uggiolare di dolore. «Che messaggio ha passato?»
«N-niente di speciale, Caradoc. Che sono viva. Che sono qua. Che altro avrebbe mai potuto comunicare, presentandosi in un luogo e comprando una ciambella?»
Lui la scrutò in silenzio per diversi secondi. Lo vedeva, quanto era eccitata? Si rendeva conto che stava per mettersi a godere?
Come mai fosse ridotta così, Sienna non lo sapeva e non era sicura di volerlo sapere, ma come si sentiva era un fatto innegabile. Aveva la passera tutta bagnata, i capezzoli duri, il respiro affannoso.
«Chi è quella gente?»
Lei sorrise. «Suvvia».
«Se ti vedo di nuovo fare la civetta con uno dei miei uomini ti strappo la pelle a forza di frustate».
«Davvero? Sei così geloso?»
Per un attimo nei suoi occhi d’ambra passò un lampo di confusione. Poi rise e si allontanò di mezzo passo. Le lasciò andare il polso.
«Tieni» disse, tornando a porgerle il doughnut, ma stavolta con espressione divertita. Lo teneva con due dita. L’aveva tenuto tutto il tempo e, a posteriori, in effetti era una cosa ridicola.
Sienna si allungò verso di lui, le mani sulle sue spalle, il corpo di nuovo contro il suo corpo, e diede un morso al doughnut.
«Come scena di seduzione è perfezionabile» le fece presente Trelease.
Lei continuò a mangiare dalla sua mano, il corpo inarcato a sfiorare il suo. Quando ebbe finito la ciambella gli leccò le dita e Trelease non si tirò esattamente indietro.
«È questo l’effetto che mi fai, se mi strattoni e mi strapazzi» gli disse, avvicinando la bocca al suo orecchio.
«E ti sembra normale, sì?»
«Che cosa può dirsi normale, di questi tempi?»
Lui si strinse nelle spalle e si spostò di nuovo. Girellò per la sua cella, guardandosi attorno. «Non te ne frega niente che quello sfigato venga torturato per averti fatto una gentilezza, vero?»
«No, non me ne frega niente» confermò lei.
«Né che i proprietari del banchetto abbiano fatto la stessa fine?»
Sienna non si scompose. «Non bluffare. Se ne sono andati ben prima che vi accorgeste di qualcosa».
Lui le rivolse un piccolo sorriso duro. «Si impara sempre qualcosa, a bluffare. Buona notte, Sienna. Ti consiglio una doccia fredda».
Lui di sicuro la fece. In ufficio, prima di tornare a casa. Si fece una doccia veloce e una sega quasi rabbiosa. Quella stronza. Lo beffava e lo provocava, quindi?
Anche se l’impressione non era che lo stesse provocando. L’impressione era che se l’avesse scopata contro quel muro lei sarebbe venuta dopo cinque minuti e gliene avrebbe chiesto ancora.
Dio Cristo, Caradoc, riprenditi. Ti sta manipolando.
Ma per quanto provasse a riprendersi, fu lui a venire dopo cinque minuti pensando alle sue labbra che gli succhiavano le dita.
Più tardi Sienna mise in prospettiva quello che era successo. Alla sua eccitazione non voleva neppure pensare. Era qualcosa che sembrava alieno ai suoi stessi occhi, un fenomeno che non capiva e non voleva capire.
Ma il resto meritava una riflessione.
Caradoc era incazzato, okay (quando era diventato “Caradoc”, nella sua mente?). Era normale che lo fosse, visto che lei gliel’aveva fatta sotto il naso. Aveva fatto uscire un messaggio dalla sua prigione, senza che nessuno se ne accorgesse.
Per inciso, per John un pochino le dispiaceva. Non era molto sveglio e aveva agito più per lussuria che per galanteria, ma comunque era il tizio più decente a cui l’avesse data per interesse. Ce n’erano stati di ben peggiori. Sperava che anche la polizia politica capisse che era stato beffato e lo lasciasse andare subito.
Ma era Caradoc il vero mistero. Si era arrabbiato con lei, ma non le aveva fatto nulla. Non aveva neppure ventilato ritorsioni, se si escludeva la minaccia di spellarla che era quasi sicuramente metaforica.
(Al solo pensiero di Caradoc che la schiacciava contro il muro, al suo corpo solido sul proprio, a Sienna si inturgidivano i capezzoli. Triste, ma vero.)
Era così sicuro di riuscire a farla diventare una delatrice da tollerare una simile intemperanza? Qualsiasi altro direttore l’avrebbe ributtata in una prigione della polizia politica per un’altra tornata di sevizie. Nella migliore delle ipotesi l’avrebbe messa in isolamento per un mese.
Caradoc se n’era andato lasciandola lì come una scema. Tremante, arrapata, bagnata, ma illesa sotto tutti gli aspetti. Perché?
Fu quello che gli chiese due giorni più tardi, quando lui le comparve accanto in biblioteca. Sienna si alzò e propose di andare a parlare in un luogo più tranquillo.
Caradoc la seguì con una vaga occhiata derisoria, ma senza protestare.
«Perché mi hai salvato le chiappe?» gli chiese lei, quando furono nella sua cella.
Caradoc la guardò dall’alto in basso. «Perché sarò io a prendermi il merito della tua confessione, non qualche bolso poliziotto dalle mani pesanti».
«Tutto qua? È solo per questo?»
«Quale altro motivo dovrei avere?»
Sienna sospirò. Si passò una mano sulla faccia. Si riavviò i capelli con le dita.
«Non lo so. Non capisco più niente. Non... non mi sono mai sentita così».
Lo tirò per un braccio in modo che si sedesse sul letto accanto a lei. Una volta seduti, la sua mano rimase sul polso di lui.
«Ho... ho come...»
«Una Sindrome di Stoccolma» la gelò Caradoc. «Si chiama così. Ne avrai sentito parlare».
Sienna aggrottò la fronte. Aveva senso, eppure...
«Non credo».
Caradoc accavallò le gambe e si voltò a metà dalla sua parte. Le rivolse un sorriso sornione. «Credi quello che vuoi. Sei pronta a parlarmi della Resistenza, ora? So che eri nel direttivo londinese».
Sienna si irrigidì. «Non ti dirò proprio un cazzo».
«Vedi? Se avessi dei veri sentimenti per me vorresti almeno in parte il mio bene. Troveresti il modo di darmi qualche informazione, fingere pentimento, denunciare vecchi ritrovi ormai quasi certamente inutilizzati, consegnarmi persone già catturate o persino già morte... e invece».
«È questo che vorresti? Una messinscena? Perché?»
Lui restò impassibile. «Non ho detto che è quello che vorrei. Una messinscena mi farebbe solo incazzare. Ma è quello che mi aspetto».
Sienna si portò una mano al collo. Era rosso, lei era accaldata. «Perché devo sentirmi così?»
«Te l’ho già detto».
«Disincrocia le gambe».
Lui rise e non si mosse.
A Sienna sembrava di impazzire. Non aveva mai provato un desiderio così forte per un uomo, un desiderio da farle dubitare della propria salute mentale.
Si lasciò cadere sul letto di schiena e si sfilò i pantaloni di cotone sottile. La blusa della divisa li seguì poco dopo.
«Toccami» sospirò.
«Sono un uomo sposato» rispose lui.
Fu quella risposta inaspettata a farle riprendere un minimo di controllo. Si tirò di nuovo a sedere e gli lanciò una lunga, lunga occhiata al di sotto delle ciglia folte e nere.
«È la tua prima autentica bugia, e la cosa più buffa è che è una cosa vera».
Sul suo viso scuro aleggiò un sorriso indulgente. «Sono un bugiardo pieno di talento».
Sienna scivolò sulle sue cosce. A cavalcioni sulle sue gambe, il corpo premuto sul suo e i seni davanti alla sua bocca. Si tirò giù la fascia, rivelandoli, accostandoli alle sue labbra.
«Non vuoi leccarmi? Non vuoi prendere quanto ti viene negato?»
Lui le lanciò uno sguardo duro. «Non sono le tue tette che voglio leccare». Sembrava arrabbiato e quella collera trattenuta accese un incendio nel petto di Sienna.
Lentamente, si alzò in piedi sul letto. Posò entrambe le mani contro il muro, inclinandosi in avanti. Inarcandosi. Avvicinando il sesso al viso di lui, fino a sentire il naso sulle mutandine di cotone, il naso che, se lei ondeggiava, le stuzzicava il clitoride attraverso la stoffa.
Caradoc inspirò lentamente.
Quando espirò, Sienna gemette per la sola sensazione del suo fiato tiepido sulla fica.
Si abbassò gli slip, fece respirare quell’organo caldo per l’afflusso di sangue, carico di umori, pulsante, sensibile, bagnato e dischiuso.
E ora era nuda. Nuda davanti a lui, sopra di lui, con il sesso davanti al suo naso. Con un movimento lento, si avvicinò fino a strusciarsi di nuovo sul suo viso. Il piacere la faceva tremare, la faceva rabbrividire. Caradoc stava fermo, respirando veloce.
Poi Sienna sentì le sue mani sui polpacci, che si posavano calde sulla sua pelle e non si spostavano più.
«Leccami...» ansimò. «Ti prego, leccami».
I palmi di Caradoc scivolarono verso l’alto, afferrarono le sue natiche mentre le sue labbra la succhiavano... la succhiavano in modo così perfetto da farle emettere un lungo lamento.
«Zitta» ordinò lui.
Subito dopo la morse. La leccò. La divorò come un frutto maturo riempiendola di un piacere tormentoso, perfetto, di un’estasi violenta come un incendio. Così come le fiamme bruciavano e guizzavano, così la sua lingua. Sienna fu scossa da un primo orgasmo, ma continuò a godere.
Ormai Caradoc la sorreggeva per le natiche, più che palpargliele. La sua lingua dappertutto, fin nel buchetto della fica, tra le labbra, a pulirla dai suoi stessi umori, a leccarli via, a berli come un nettare prezioso...
Sienna si mordeva le labbra e cercava di non urlare. Voleva tutto il resto, voleva il suo corpo sul proprio, il suo cazzo dentro...
«Signore!»
L’esclamazione veniva dalla porta. La fece quasi cadere.
Si voltò e vide una delle guardie.
«Signore, ci attaccano!»