3.

3164 Words
3. I prigionieri che arrivavano alla Sezione Speciale erano intelligenti. Non sopravvivevi a tutto quello che avevano passato loro, se non lo eri. A volte i traumi ripetuti li avevano resi fragili sotto certi aspetti, ma nessuno di loro era folle o demente. Potevano essere chiusi, arrabbiati, pieni di disprezzo, seduttivi, manipolatori, amichevoli... ognuno aveva la sua strategia di sopravvivenza, e Caradoc le rispettava tutte. La nuova prigioniera, Sienna, era sospettosa e ferita, ma anche ironica e sensuale. Due giorni dopo il suo arrivo la vide nel chiostro che flirtava con una delle guardie. Non con uno degli altri prigionieri, ma con una guardia. Era un modo efficiente per raccogliere informazioni da una fonte diversa da lui. Quella guardia le avrebbe detto cose che Caradoc non si sarebbe mai lasciato sfuggire. Si ripromise di tenere d’occhio la situazione. Tra le prigioniere politiche aveva visto altre donne come Sienna. Spietate anche con se stesse, capaci di corteggiare il nemico con freddezza, dandogli tutto quello che voleva e traendone ogni beneficio possibile. Erano scambi asimmetrici che finivano sempre per rivoltarsi contro chi aveva più bisogno, ma Caradoc apprezzava la determinazione. Tornò a trovarla quella sera sul tardi, l’ultimo colloquio prima di andare a casa. La trovò nella sua cella, intenta a scrivere qualcosa. «Che cos’è?» le chiese. Lei finì di scrivere una parola, poi si voltò a guardarlo. «Mi hanno portato dei tamponi» disse. Caradoc inclinò la testa da un lato in una domanda muta. Che cosa c’entrava? «Non mi era mai successo prima. Di solito le guardie ti lasciano sanguinare, ti portano via qualsiasi pezzo di stoffa o di carta. Sei costretta ad andare al lavoro con i pantaloni macchiati, sempre più sporchi. Lo sapevi?» «No. Anche se non mi sorprende». Sienna si voltò del tutto. Accavallò le gambe. Caradoc quasi sorrise per come aveva deciso di lasciarlo in piedi. «E che cosa ne pensi?» «Dei metodi dei miei colleghi o delle mestruazioni?» Lei sbatté le palpebre una volta, forse presa alla provvista dalla sua risposta. Era chiaro che la sua domanda era una provocazione e che voleva spingerlo a disapprovare chi l’aveva preceduto, ma decise di cambiare strada. Era intelligente, confermò Caradoc. Era un segugio. «Sulle mestruazioni?» Lui sospirò. Si avvicinò in silenzio e si andò a sedere su un angolo della sua scrivania, invadendo così il suo spazio personale e risolvendo il problema di essere in piedi. In realtà ora la sovrastava. «Una domanda interessante. Non avrei dovuto farmi sfuggire quella frase su mia moglie, mentre ti stavano visitando, ma non ho pazienza con chi cede alle proprie pulsioni in pubblico». «Mentre in privato è meglio?» «In privato non sono lì a perdere la pazienza» disse lui, con un mezzo sorriso. Fece scorrere lo sguardo su di lei in un’analisi attenta e distaccata. Sì, aveva i seni piccoli e alti, le gambe lunghe e snelle. Dopo due giorni di cibo decente le guance si stavano rimpolpando e gli occhi sembravano meno incassati. «Il sesso è sempre una moneta di scambio debole. Provvisoria. Puoi offrirlo, pretenderlo o subirlo, ma alla fine che cosa resta? Scusa, non ho risposto alla tua domanda. Le mestruazioni di mia moglie sono una sospensione di pena per entrambi. Non ho particolari pensieri sulle mestruazioni delle altre donne». A Sienna sfuggì una risatina. «È già qualcosa». Caradoc fece una piccola smorfia, una smorfia involontaria. Quella donna l’aveva già fatto scivolare due volte ed era una cosa che gli piaceva. Lei rise. «Mh-mh. È molto maschile, quell’aria schifata». «Se parliamo ora di quello che ci piace a letto, le conversazioni future possono solo peggiorare» disse Caradoc. «Dati i presupposti, non mi aspetto che migliorino». Caradoc lasciò gli occhi nei suoi per diversi secondi, riflettendo. Doveva cedere o ristabilire la distanza? Ma sapeva già che cosa avrebbe scelto: cedere era sempre stata la sua strategia di elezione. Provava un piacere quasi fisico nell’esporre le proprie debolezze. Le usava come esche, come botole nascoste. «Non ci metterei la lingua» disse, con un mezzo sorriso. «Già, quello mi farebbe schifo. Per il resto non saprei. Mia moglie non è di quell’avviso, comunque, così entrambi abbiamo una pausa da questa... inutile ansia riproduttiva». «Perché lei è sterile». Un altro lieve sorriso. «O lo sono io. Non mi importa, ma a Jane sì. Non accetta di non poter avere figli e non contempla neppure l’idea che non ne possa avere io. Sono complicati, i meccanismi che ruotano attorno alla riproduzione». «Ho avuto due aborti» disse lei. «No, anzi. Mi hanno fatto perdere due bambini». «Non mi sbattere in faccia il tuo dolore, non mi commuove». Per un attimo Sienna si irrigidì. Poi rise. «Non era quello che intendevo. Pensavo all’ironia della sorte. Avere una moglie giovane e bella che vuole solo restare incinta e non ci riesce. Perdona l’indiscrezione, lo dicono tutti, che è giovane e bella». «Non ha importanza. Non l’ho scelta io». Di nuovo Sienna sbatté le palpebre. Questa volta non mangiò l’esca. Non lasciò che Caradoc le mostrasse delle altre debolezze. Forse aveva già capito che erano botole nascoste. «Be’, ci si adatta. Tutti ci adattiamo. In questo mondo sempre più simile al Racconto dell’Ancella potrei facilmente offrirti il mio grembo in cambio della libertà». Caradoc sbuffò. Aveva letto Il Racconto dell’Ancella, molti anni prima. Quando era giovane c’era una serie TV di successo per chi non aveva la pazienza di leggere il libro. All’epoca le TV trasmettevano ancora qualcosa di vagamente interessante. In un futuro distopico, gli Stati Uniti finivano governati da un gruppo di fondamentalisti cristiani che divideva la società in caste e privava le donne di ogni libertà. Visto che quelle fertili erano pochissime, queste venivano obbligate a partorire i figli dei funzionari di grado più alto, ingravidate con un assurdo rituale che prevedeva la presenza anche della legittima consorte del funzionario. Per quanto l’Inghilterra fosse scivolata nel totalitarismo, tuttavia, non era nulla di così fantasioso. Era fascismo old-style, mescolato al moderno sovranismo. E non c’era nessun problema di sterilità, quindi all’Ordine di Thule bastava incoraggiare le donne a fare più figli per rimpolpare una nazione semi-spopolata. «È offensivo» le fece notare Caradoc, dopo un istante di riflessione. «Cercare di corromperti». «Cercare di corrompermi con qualcosa che non mi interessa avere». Sienna socchiuse le palpebre. «Ma hai detto che è tutto quello che vuole tua moglie». «Potresti aver notato che io non sono mia moglie» ribatté lui. Lei si inumidì le labbra. «Giusto. Mai fare assunzioni. Errore mio». Caradoc scivolò giù dalla scrivania e le batté un paio di pacche amichevoli su una spalla. La lasciò lì, pronta a essere chiusa dentro per la notte, e si avviò verso casa. Tra le due prigioni in cui viveva, probabilmente preferiva quella con le sbarre. Una guardia chiuse la porta della cella. Il consueto rumore di serratura, il rumore della sua vita. Sienna si stese sulla brandina, pensierosa. Aveva pensato alla sua nuova situazione, nei due giorni precedenti. Alle sue possibilità. Non si fidava del direttore, era ovvio, ma sapeva anche che non tutto quello che le aveva detto durante il primo colloquio era un inganno. Era sicura che non fosse il tipo da raccontare fandonie, quando poteva invece tacere informazioni importanti, quindi più lo faceva parlare meglio era. Nel contempo, farlo parlare era pericoloso anche per lei, perché Caradoc Trelease aveva uno strano modo di insinuarsi dentro di te. Alla fine dei primi due giorni di riflessioni Sienna era arrivata a un verdetto: l’unico modo che aveva per sopravvivere alla Sezione Speciale era comprarsi il direttore. Non sarebbe stato semplice, ma doveva provarci. Quella sera aveva avuto una conferma. Trelease non si era offeso per il tentativo di corruzione, ma per la sua inefficacia. Nel contempo le aveva anche comunicato che non gli importava un fico secco di quali fossero i desideri di sua moglie, quindi di non provare nemmeno a fare leva sui suoi effetti. Che un funzionario dell’Ordine non avesse affetti, d’altronde, era tutt’altro che una sorpresa per Sienna. Ottenere informazioni su di lui non era stato difficile. John, la guardia con cui aveva flirtato quella mattina, era un ragazzo chiacchierone, ammorbidito dalla prigione-hotel in cui prestava servizio. Le aveva spifferato un sacco di cose senza neppure accorgersene. Caradoc veniva da una famiglia di diplomatici, da qui il suo strano aspetto. Il padre era un britannico doc, la madre una di quelle persone internazionali tanto comuni nella vecchia Gran Bretagna: in parte marocchina, in parte francese, educata nel Regno Unito e in Germania, naturalizzata britannica e funzionaria al Ministero degli Esteri. Restava il mistero su come Trelease fosse diventato un fascista. Forse, come molti, per semplice opportunismo. Il giorno seguente Sienna approfondì la conoscenza con la guardia John. Era disposta a dargli tutto quello che voleva, anche se era d’accordo con Trelease: il sesso era una moneta di scambio debole. Provvisoria. Ma in fondo a lei bastava anche un vantaggio provvisorio, ed era meglio averlo prima che dopo. Non era ansiosa di fare amicizia con gli altri prigionieri per due motivi. Per prima cosa, l’amicizia era una debolezza. Interagire con altri oppositori politici del regime, persone con cui di certo aveva molto in comune, avrebbe creato dei legami che avrebbero potuto ostacolarla. Il suo obbiettivo era tornare a essere libera e riprendere la lotta. Aveva appreso cose che voleva riferire ai vertici della Resistenza. Aveva delle idee da mettere in pratica. Se voleva riuscire nel suo intento doveva essere dura, spietata, non poteva concedersi debolezze. Quando le cose avevano iniziato ad andare male, Sienna aveva pensato di tenere la testa bassa e aspettare che il vento girasse. Era stata pavida e indifferente. Ma nel corso degli anni aveva capito che non fare nulla per combattere i Thule era come essere loro complice. E che nessuno poteva restare indifferente alle schifezze che mettevano in atto su base quotidiana. Il secondo motivo per cui non voleva dare troppa confidenza agli altri prigionieri era più pratico: era sicura che Trelease avesse infilato una spia tra di loro. Un traditore con un curriculum sufficiente a farlo passare per un vero prigioniero politico che gli spifferava tutto quello che dicevano gli altri. Era logico. Era quello che avrebbe fatto lei al suo posto. Trelease la avvicinò di nuovo il lunedì seguente. Non seguiva un vero e proprio calendario, ma parlava con i prigionieri a rotazione. La raggiunse mentre prendeva il sole sull’erba, una provocazione che nei piani di Sienna era indirizzata a John La Guardia. Si era sfilata la casacca ed era rimasta solo con la fascia-reggiseno e con i pantaloni rimboccati fin sopra alle ginocchia. Trelease si era avvicinato e l’aveva salutata con un cenno del capo. «Mi stai facendo ombra» si era lamentata Sienna. Lui si era sfilato la giacca dell’uniforme e l’aveva stesa sull’erba, prima di sedersi accanto a lei. «Se il tuo scopo è una tintarella omogenea dovresti toglierti anche i pantaloni» le disse, senza il minimo ammiccamento. «Non ero sicura che fosse consentito». «Ma certo che lo è. Come ti ho già detto, potete fare quello che volete». Lei si sfilò anche i pantaloni, restando solo con gli slip di cotone bianchi della prigione. Probabilmente erano abbastanza sottili da lasciar vedere il pelo scuro del sesso. Anche se era consapevole che Trelease non si sarebbe lasciato distrarre dal suo corpo, provarci non le costava nulla. Si era lasciata guardare, toccare e fottere da uomini molto più brutti di lui, nel corso degli anni. La sua prima marchetta era ormai un ricordo sbiadito. Trelease la guardò. La guardò con quegli occhi d’ambra dura, esplorandola senza neppure fingere di non farlo, e Sienna provò un brivido di pericolo ed eccitazione. Doveva essere il tipo che ti schiaccia e ti affonda dentro senza pietà, a letto. E che ti infila la lingua dappertutto, quello l’aveva ammesso lui per primo. Alla fine dell’esame si tolse il cappello e lo lasciò sull’erba. «Spero di non essere io ad abbronzarmi» disse, con un mezzo sorriso. Sienna inarcò le sopracciglia. «Non che tu possa passere per nordico, in ogni caso». «No, vero? Ma oggi parliamo di te. Laureata in lettere, sposata una volta con tale Fred Convoy, omosessuale poi corretto. Il matrimonio annullato. All’epoca hai fatto qualche mese di lavori forzati». Sienna chiuse gli occhi. Non pensava a Fred da anni. Era sicura che fosse morto. «È ancora vivo, eh?» «Certamente. Sposato, con tre bambini. Iscritto al partito». «Dio» sospirò lei. «Perché? Non sei felice che sia vivo?» Sienna si voltò su un lato, i piccoli seni che quasi sfuggivano alla fascia. «Certo che sono felice che sia vivo. Ma è finocchio, okay? Aveva un compagno, prima di questa follia». Trelease si strinse nelle spalle. «Ora ha una moglie, che differenza vuoi che faccia?» «Stai scherzando. Voglio dire, non sei uno di quelli che ci crede davvero, si vede a occhio nudo. Avrai i tuoi motivi per far parte della Thule, ma che un omosessuale possa essere rieducato è una fesseria bella e buona». Lui le lanciò una lunga occhiata. «Tutti possono essere rieducati, cara. Dobbiamo solo metterci d’accordo su che cosa significa». «In questo caso, obbligato, no? L’hanno obbligato a sposare una donna e a farci... quanti figli?» «Tre». «Tre. Non sarà nulla, rispetto allo schifo generale, ma è una violenza. Ti ricordi quando il mondo riconosceva ancora quei reati tipo la violenza sessuale? La riduzione in schiavitù?» Lui sembrò divertito. «Sono ancora reati». «Oh, certo. Certo. Allora scusa, portami carta e penna, ho giusto quella ventina di persone da denunciare. Venti? Bah, ormai ho perso il conto. Ti ricordi di quando lasciarsi scopare per sopravvivere era ancora una cosa traumatica?» «Già. E pensa in che realtà interessante viviamo ora. Hai i capezzoli duri». Sienna guardò verso il basso e provò una fitta di vergogna, la prima fitta di vergogna che provasse da anni. Non di umiliazione, ma di vera vergogna. Sì, scherzare con il fuoco era diventata una sensazione eccitante, per lei. Trelease si appoggiò su un gomito, rispecchiandola. Era così vicino che Sienna riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba. Si aspettava una frase sprezzante, a quel punto, o forse un commento ironico. Tra i due, avrebbe preferito il primo, in fondo. Non aveva mai avuto problemi a flirtare con quegli assassini schifosi, ma in quel preciso istante l’idea la nauseava. Aveva bisogno di un attimo per superare la vergogna e rindossare la corazza. «Sienna, cerca di capire, scopo già una donna che mi disprezza. Non mi infilerei mai in un altro vicolo cieco di mia spontanea volontà. Non ne trarrei niente e tu ti faresti solo male. Ti ho già avvertita di non provare a corrompermi con qualcosa che non voglio». La sua risposta la disorientò. Non era quello che si aspettava. «N-non l’ho fatto apposta» ammise. Se ne pentì quasi subito. Lui si umettò le labbra e tornò a guardarla. Che gli facesse schifo quello che vedeva proprio non si sarebbe detto. «L’ho capito. E, credimi, ne sono lusingato. Ma qual è la differenza tra una donna che ti trova repellente da un punto di vista estetico, e una a cui dai il voltastomaco dal punto di vista morale? Che cosa preferiresti?» Sienna aprì la bocca, ma non riuscì a rispondere. Si rese conto che i propri capezzoli erano ancora eretti e che tra le gambe era umida. «N-non lo so» balbettò, alla fine. «Credo di aver solo avuto entrambe le esperienze insieme, nell’ultimo periodo». «Quindi forse, tutto considerato, il tuo amico Fred non sta così male, ti sembra?» Sienna non lo stava più ascoltando. Allungò una mano e la posò sul suo petto, sopra la camicia grigia. Chiuse gli occhi e inseguì quella sensazione vaga, che non provava da così tanto tempo. Il piacere di sentire sotto le dita dei pettorali sodi, di essere vicina a un corpo invitante, autenticamente virile, carico di un’energia che le faceva girare la testa. Ritrasse la mano, spaventata dalle sue stesse sensazioni. Scossa, si tirò a sedere e si rimise frettolosamente la blusa. «Dev’esserci qualcosa nell’acqua» disse, stizzita. Si alzò in piedi, si infilò i pantaloni, inforcò le ciabattine e se ne andò a lunghi passi scocciati. Sciogliersi così, davanti a quel merdoso. Che cacchio aveva in mente? E lui, tutto triste e consolabile, con in faccia quell’espressione da lupo pronto a sbranarti? Sul serio? Sul serio aveva il cervello così fottuto da aver cominciato a trovare attraenti quel tipo di uomini lì? Gli psicopatici, stronzi, ipocriti maschi alfa? Era meglio che si riprendesse in fretta e si ricordasse quali erano le sue priorità. Poteva essere così semplice? si chiese Caradoc, osservandola allontanarsi. Poteva conquistarla così? Portarla a letto fino a farla innamorare – e farla collaborare? Sarebbe stato molto comodo. Sarebbe stato anche magnifico, perché Caradoc doveva ammettere che l’idea di fare sesso con una che lo trovava arrapante, tanto per cambiare, lo attirava. Non era rimasto indifferente ai suoi capezzoli duri, al respiro un po’ affannoso e al rossore, quel rossore magnifico sulla gola e sul petto. Si era bagnata? Probabile. Il pensiero di affondare dentro una fica fradicia e pulsante era una tentazione, non poteva negarlo. Stringere quelle tettine e leccarle tutte, immaginarla inarcata davanti... di schiena... le natiche tonde, un po’ separate... Decise di mettere da parte quella fantasia per un altro momento. Il momento in cui avrebbe dovuto fottere con il pezzo di marmo che gli era stato assegnato dal partito, per esempio. Tra tutti i crimini dell’Ordine di Thule, aver bloccato internet era uno dei peggiori, e per più di un motivo. La pornografia era regredita di cinquant’anni e ora gli uomini si facevano le seghe sulle insipide foto delle riviste erotiche o sulle immagini molto più disturbanti che si trovavano al mercato nero. Foto di prigioniere obbligate a fare cose. Roba che neanche Caradoc aveva lo stomaco di usare. Si rimise il cappello e si alzò. Si allacciò la giacca. Doveva andare a casa. Mentre guidava verso il suo tranquillo sobborgo, con la prospettiva di una serata tranquilla a leggere sul divano, una veloce parentesi di sesso obbligatorio e una bella dormita, ripensò alla faccenda a mente fredda. E la risposta alla sua domanda iniziale – poteva essere così semplice? – era sempre più chiara: no. No, perché Sienna McLane aveva il cervello tutto incasinato da anni di schifezze e l’attrazione che provava per lui non era utilizzabile. Era qualcosa di contorto e deviato, una forma di Sindrome di Stoccolma sui generis. O forse neppure troppo sui generis, visto che lui si stava dimostrando un minimo gentile, mentre nel contempo minacciava la sua vita. Nel corso degli anni altre prigioniere si erano “innamorate” di lui. Caradoc aveva sempre usato quel sentimento per i suoi scopi, ma non aveva mai provato alcuna attrazione per loro. Questo caso era diverso e doveva stare attento. Molto più attento del solito, perché le informazioni che aveva dicevano che Sienna era stata piuttosto in alto nella Resistenza e quindi poteva diventare una collaboratrice particolarmente utile. Stava solo a lui non mandare tutto in vacca per un semplice picco di testosterone.
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