2.
Circa tre mesi dopo, a settembre, andai a Londra per le riprese della mia prima commedia romantica. Alla fine Hector, il mio agente, aveva deciso di infilarmi in un film corrosivo, britannico, dissacrante e solo moderatamente romantico.
Era una specie di resa, ma non una resa completa. La mia parte era buona, anche se non prevedeva chissà quale virtuosismo da parte mia e non posso dire che con quel ruolo mi stessi mettendo minimamente in gioco. Ma facevo cassa, e anche questo conta, a volte.
Il coprotagonista era specializzato nel genere e un attore miserrimo, ma non era un cattivo ragazzo. Inoltre era scozzese, e ho sempre avuto un debole per gli scozzesi. In parole povere, mi chiese di uscire e gli dissi di sì.
Scott mi portò in un posto piuttosto pretenzioso di Mayfair. Uno di quei ristoranti bui e minimali, in cui tutto ha dei bagliori bronzei e ti aspetti che da un momento all’altro esca una mistress per frustarti sul tavolo.
«Confesso che non sapevo che fosse così» sorrise Scott, quando entrammo. Poco dopo un cameriere vestito lugubremente di nero venne a prelevarci per portarci al nostro tavolo.
E, mentre passavamo tra gli altri avventori, vidi Ellis Carmichael.
Stava cenando con due uomini più vecchi di lui e notevolmente più abbondanti di lui. Ellis, in realtà, in quel posto sembrava perfetto. Indossava un completo grigio antracite un po’ lucido, una camicia bianca e, al posto della cravatta, un foulard sui toni del bordeaux. Era assolutamente perfetto e credo che deglutii forte. Per fortuna Scott non se ne rese conto. Per fortuna non se ne rese conto nemmeno Ellis.
Qualche secondo più tardi, tuttavia, mi vide, e mi salutò con un gesto educato della mano. Tutto lì, neppure si alzò per venirmi a dire “ciao”.
«Qualcuno che conosci?» fece Scott, dimostrandosi educatamente interessato.
«Siamo stati in vacanza insieme» spiegai. «Con un gruppo di persone, è chiaro. La barca di Gérard Amis, forse lo conosci».
Lui scosse la testa. «No, ma l’ho sentito nominare. Francese, mh?».
«Già». Mi strinsi nelle spalle come se non ci fosse altro da dire, e in effetti non c’era, a meno che non gli volessi raccontare del ditalino che Ellis mi aveva fatto mentre prendevo il sole nel pozzetto. Non ne avevo nessuna intenzione.
Ci sedemmo e Scott mi accostò persino la sedia. Sembrava animato dalle migliori intenzioni e anch’io lo ero stata, al momento di uscire.
Mi ero infilata un tubino nero che mi stava davvero bene e mi ero persino messa le calze autoreggenti. Insomma, speravo proprio che la serata andasse bene. Prima.
Prima di vedere Ellis, ovviamente. Il solo fatto che fosse comparso aveva polverizzato tutti i miei buoni propositi, sostituendoli con il desiderio sempre più distinto e imperioso di andare a letto con lui, non con il povero Scott. Il quale aveva un gran numero di fan con cui consolarsi, comunque, mi trovai a pensare, un po’ cinicamente.
Ordinammo e conversammo del più e del meno, ma ero da un’altra parte.
Non sapevo nemmeno perché Ellis mi piacesse così tanto, aldilà del famoso ditalino. Ed era bello, okay, ma ero uscita con dei ragazzi molto più belli di lui. Più giovani, più lineari, meno stronzi...
Mentre lo pensavo capii che, in fondo, il punto era quello. Quelli più giovani, più lineari e meno stronzi erano, appunto, più giovani, più lineari e meno stronzi. Ossia, in confronto a Ellis, meno sexy.
Non che avesse importanza. Mi aveva salutata a stento. Probabilmente per lui ero solo una ragazza carina con cui si era divertito in una calda mattinata d’estate, una mattinata in fondo dimenticabile.
Osai sbirciare dalla sua parte. Dovevo voltare lo sguardo di pochi gradi, ma fino a quel momento mi ero astenuta. Immaginavo di trovarlo impegnato in una conversazione con i suoi due amici, che poi sembravano più che altro soci in affari.
E, in effetti, stava parlando con loro, ma mi guardava anche. Le sue labbra di tanto in tanto si muovevano come se stesse rispondendo a qualcosa, ma i suoi occhi erano fissi su di me.
Mi rivolse un sorrisino divertito e appena accennato.
Assaggiai gli antipasti e cercai di mantenere viva la conversazione con Scott, ma il mio sguardo non si spostò più da Ellis. Continuava a guardarmi a sua volta, inespressivo.
Iniziai ad avere sempre più caldo. I capezzoli mi si indurirono e iniziai a bagnarmi. Fisicamente. Non provavo una mera attrazione mentale, per lui, provavo un trasporto fisico incomprensibile.
Scott parlava e io cercavo di seguire il suo discorso, ma facevo sempre più fatica. Le mie osservazioni erano banali e distratte, come quando a scuola ti interrogano, non stavi seguendo e provi a improvvisare qualcosa.
«Ti senti bene?» mi chiese, a un certo punto. «Sei... ecco, hai il collo rosso».
Era un modo fin troppo educato di metterla. Avevo i capezzoli duri come sassi e sono sicura che attraverso il vestito si vedessero perfettamente. Respiravo in modo troppo veloce e mi sentivo girare la testa dall’eccitazione.
«Sì, bene» mormorai. «Ma credo di dover andare un attimo in bagno. Ho una specie di vampata. Devono essere gli ormoni».
Lui sbatté le palpebre, perplesso. «Ormoni? Ma sei... be’, giovane. Oh, scusa, non volevo essere invadente».
Risi. «Non quegli ormoni, Scott. Quegli altri ormoni».
La sua occhiata fu completamente confusa, cosa che non deponeva un granché a suo favore. La ragazza con cui stai mangiando ti dice di avere un picco ormonale e tu le rispondi che è troppo giovane per la menopausa? Via.
Comunque, mi alzai e mi resi conto che avevo gli slip fradici. Era possibile che Scott, lì, ricevesse un dono inaspettato a fine serata, se non fossi riuscita a calmarmi un po’.
Passai di nuovo accanto al tavolo di Ellis e stavolta non lo degnai di un’occhiata. Né lui guardò me. Circa cinque metri dopo sentii il rumore di una sedia che si scostava, da qualche parte alle mie spalle.
Andai fino al bagno. Avevo davvero intenzione di rinfrescarmi un po’ e di cercare di calmarmi. Aprii la porta delle signore ed entrai. Qualcun altro entrò subito dopo di me.
«Pensavo che non ti alzassi più» disse Ellis, con un mezzo sorriso.
Non dissi assolutamente nulla. Non avevo nulla da dirgli, in effetti. Quando avevo deciso di andare in bagno non avevo idea che mi avrebbe seguita. Spinsi la porta di un cubico ed entrai. Ellis entrò dietro di me e richiuse la porta.
Non mi baciò. Non mi abbracciò. Non mi palpò nemmeno, in quel momento. Mi girò attorno e mi premette contro il tramezzo di legno nero. Tutto era nero, là dentro.
Appoggiai le mani accanto alla mia testa e sentii il mio stesso ansimare. Ne presi improvvisamente coscienza. Sì, stavo ansimando e lui non mi aveva ancora toccata.
In ogni caso lo fece subito dopo. Mi tirò su il tubino nero e giù gli slip. Mi appoggiò una mano a conca tra le cosce, sotto al sedere. Mi infilò un dito nella fica.
Così, come se nulla fosse.
Come se ci fossimo messi d’accordo e avessimo deciso di farlo in quel bagno. Come se ci conoscessimo.
Mugolai di piacere, inutile negarlo. Ellis sicuramente sentì che ero bagnata fradicia, anche se non approfondì più di tanto. Si limitò a stuzzicarmi il buchetto della passera e poi quello posteriore.
Sentii un suono. Una bustina di plastica. Poi il suono di una zip che si abbassava.
Pochi secondi più tardi Ellis mi appoggiava la punta del cazzo tra le natiche e mi copriva la bocca con una mano.
Fu semplicemente bestiale. Un attimo prima ero seduta al tavolo con Scott e quello dopo Ellis mi stava inculando nei bagni del ristorante.
Oh, sì. Andò dritto verso l’obbiettivo, senza fare nessuna deviazione. Mi posò una mano sulla bocca per impedirmi di urlare e me lo piantò dietro. Indossava un preservativo, quindi scivolò. Ma era anche una taglia forte, quindi mi fece urlare di dolore. Per questo la mano. Il mio grido fu quasi del tutto coperto. Una volta che mi fu dentro Ellis allontanò la mano e iniziò semplicemente a muoversi.
Là dietro ero in fiamme. Il suo cazzo mi allargava tutta, tendendomi come un elastico. Faceva male, così grosso e così prepotente, ma era anche la cosa più eccitante che mi fosse mai capitata. Il dolore (lacrimavo) era venato di piacere. Un piacere più forte di secondo in secondo.
Ellis prese la mia mano destra e me la portò sul clitoride.
Mi afferò per i fianchi e iniziò a fottermi. Forte, senza risparmiarsi e senza risparmiarmi.
Lo sentivo entrare un po’ di traverso, dilatandomi in modo davvero disumano, e la sensazione era intensissima. Le sue mani mi allargarono anche le natiche, facendomi gemere ancora più forte. Mi attaccai letteralmente al mio clitoride. Lo strizzai e lo schiacciai finché il piacere non superò il dolore e lo fece così platealmente che iniziai a venire.
Tremavo, rabbrividivo, Ellis mi teneva schiacciata contro il divisorio e continuava a incularmi a colpi secchi e devastanti, gli umori della mia fichetta mi colavano giù lungo le cosce e dalla mia bocca uscivano gemiti a tutto volume dei quali a Ellis non importava e che io non riuscivo a evitare.
Schizzai i miei umori dappertutto e sentii che cambiava ritmo. A ogni affondo mi sollevava praticamente da terra. Era brutale, era la quintessenza della carnalità, era... non lo so. Non ero mai stata scopata in modo così virile e normalmente non sarei stata sicura che mi piacesse, ma in quel momento, con lui... era perfetto.
Ellis concluse e aspettò che anch’io finissi di contrarmi prima di sfilare l’uccello.
Mi accasciai contro il tramezzo, ansimando, la guancia sul braccio e la schiena che si sollevava e si abbassava mentre cercavo di riportare il respiro alla normalità.
Sentii che Ellis si allungava a prendere un po’ di carta igienica, lo schiocco del preservativo, il rumore di una zip che si richiudeva.
Un attimo dopo la porta del cubicolo si apriva e Ellis se ne andava come se nulla fosse.
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Tutto quell’incredibile show, mi resi conto dopo, era durato in tutto dieci minuti. Certo, dieci minuti in cui Scott era rimasto al tavolo chiedendosi che cavolo avessi, ma comunque dieci minuti.
Non appena il respiro mi tornò alla normalità mi diedi una pulita con la carta igienica, mi tirai su gli slip, giù il vestito e uscii dal cubicolo. Il mio aspetto non era neanche tanto male, a parte il fatto che avevo le guance rosse. Mi spruzzai un po’ d’acqua e tornai al mio tavolo.
Là dietro mi sentivo tutta gonfia e indolenzita, ma non potevo farci nulla. E in ogni caso, per quanto ora mi desse fastidio, ne era valsa la pena al cento percento. Era stato banale, squallido e nel complesso non molto lusinghiero per me, ma era stato anche intenso, eccitante e terribilmente piacevole.
Ero così carica che dopo cena invitai Scott nella mia stanza e scopai anche con lui. Purtroppo non fu paragonabile a Ellis. Nemmeno alla lontana. Mi abbracciò, mi leccò e diede la giusta importanza ai preliminari. Non cercò di farmi il culo, ma mi stuzzicò un pochino con la punta di un dito (gli allontanai la mano, quel che è troppo è troppo). Mentre lo facevamo ci baciammo profondamente.
In teoria non potevo lamentarmi, ma in pratica simulai l’orgasmo senza un briciolo di senso di colpa.
Continuai anche a frequentarlo, per un po’. Passai con lui gli ultimi giorni di riprese.
Poi salii su un aereo e me ne tornai a Los Angeles.
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La terza manche ci fu subito prima di Natale. Gérard mi invitò a una festa a Parigi. Evidentemente gli piacevo e gli piaceva che facessi parte di quella sua specie di serraglio. Era un serraglio di gran classe, quindi non avevo intenzione di lamentarmi. Inoltre speravo di rivedere Ellis.
Vi chiederete perché non avessi cercato di contattarlo. Avrei potuto trovare il suo numero molto facilmente, ma poi? Che senso avrebbe avuto? Avrebbe solo rovinato la magnifica casualità delle prime due volte.
Nel frattempo avevo girato un film molto duro con un regista nordeuropeo. Avevo dovuto perdere dieci chili e tagliarmi i capelli a zero.
Per la festa di Gérard avevo ripreso cinque o sei chili e avevo una cortissima zazzera nero corvino. Avevo compensato con un trucco piuttosto pesante per gli occhi e per la bocca e avevo mascherato la magrezza un po’ eccessiva con un vestitino di angora bianca.