1.
Il mare era una tavola azzurra e calma, la lieve increspatura delle onde un luccichio lontano. La Saloppe beccheggiava dolcemente, trattenuta da un’ancora galleggiante. Qualsiasi cosa fosse un’ancora galleggiante.
Io sapevo solo che eravamo in mare aperto, ma non troppo lontano dalle coste della Grecia. Una di quelle isole dal nome impronunciabile, piene di turisti e albergatori. Un posto dove nessuno di noi avrebbe messo piede, grazie tante.
La Saloppe era un lungo yacht grigio dalla tolda bianca, un siluro da dieci cabine più gli alloggi del personale di bordo. Il proprietario, Gérard Amis, era a capo di un gruppo editoriale, in Francia. La compagnia era eterogenea, e giustamente. Immaginate una barca piena di soli attori, per dire. Soffocante.
Invece Gérard aveva cercato la varietà. E giacché era un tipo provocatorio (il suo yacht si chiamava “stronza”, se vi fosse sfuggito) aveva cercato anche il contrasto. Bello e brutto, destra e sinistra, arte e finanza, mondanità e riservatezza, mode effimere e classici intramontabili.
Quindi c’era una modella, una venere color caffelatte nota solo come Jamal, che in realtà stava attaccata più o meno tutto il tempo a w******p. Forse un fidanzato lontano. D’altronde Jamal era giovanissima, nemmeno vent’anni. C’era poi Christine Jeux, nota collezionista d’arte, eccentrica a tempo pieno, settant’anni vissuti pericolosamente nei salotti buoni di tutto il mondo. Ellis Carmichael era un britannico di mezza età o vicino alla mezza età; uno di quei tipi della City con la sua compagnia di non-so-che e la moglie ospite fissa in un programma di cucina. La moglie, Jenna, era sui quarantacinque e con la pelle color cuoio per la troppa abbronzatura, con il fisico muscoloso di una che preferisce l’androginia all’invecchiamento. Anthony detto Tony era un fashion blogger, venticinque anni al massimo, sulla Saloppe con quello che sembrava prossimo a diventare il suo ex: Pete. Non facevano che battibeccare. Battibeccare e scopare. Ero un po’ invidiosa.
E poi c’ero io, Avery Thompson, l’unica americana del gruppo, ma conosciuta specialmente in Europa per via dei miei ruoli in vari film indipendenti che negli USA non erano stati così apprezzati. Trentasei anni, un veloce passato da fotomodella, pelle pallidissima, bel fisico, faccino innocente che avevo prestato a ogni nuance del disagio. Avevo interpretato tossiche, ragazzine abusate, psicopatiche, assassine, giovani della classe media oppresse dalla futilità della vita e una volta una ritardata mentale. L’unica cosa che non avevo mai fatto erano le commedie romantiche e i super-eroi, ma il mio agente aveva detto che dovevo piantarla e probabilmente aveva ragione.
In ogni caso, questo era per darvi il quadro il giorno in cui iniziò una delle vicende più strane della mia vita.
Erano più o meno le undici del mattino, il sole picchiava. Gérard era andato da qualche parte in Francia per un appuntamento mollandoci tutti sulla sua barca. Il capitano ci aveva tenuti d’occhio con sguardo sospettoso per tutto il pomeriggio precedente, ma alla fine sembrava essersi convinto che eravamo innocui e ci aveva lasciati a sua volta a noi stessi.
Che cosa credete che potesse fare una compagnia come quella, in mezzo a un mare incredibilmente azzurro e tranquillo? Prendevamo il sole, tutto qua.
Eravamo disseminati tra prua e poppa come tante vittime di una granata, solo senza sangue e talvolta anche senza costume.
Tony, Pete, Jenna e Christine erano a prua, stesi su dei lettini. Tony e Pete prendevano la tintarella nature, ma nessuno faceva caso a loro, Christine era coperta dalle tese di un cappello di paglia gigantesco, a spirali bianche e nere, e aveva in mano un immancabile saggio della Gallimard.
Ellis era seduto in un angolo del pozzetto con un k****e in mano e le gambe allungate davanti a sé. Aveva dei boxer azzurri piuttosto casti e un fisico preservato dalla natura più che dall’impegno. Era uno di quegli uomini che non ingrassano, a cui i capelli non cadono e a cui le rughe donano. Il tipo alto e snello, con le spalle larghe e i deltoidi che ti fanno chiedere se lavorare in Borsa possa considerarsi un’attività sportiva.
Jamal era accoccolata sull’altro lato del pozzetto, le lunghissime gambe raccolte sotto di sé e l’immancabile cellulare in mano. Tra i due non passava nessun tipo di comunicazione, il gap era evidentissimo. Ellis probabilmente non era nemmeno su w******p, quindi per Jamal era come se non esistesse.
Salutai e stesi il mio asciugamano su una delle panche imbottite, sul lato del londinese dove il sole non veniva schermato da nulla. Mi slacciai il pezzo di sopra del costume e mi sdraiai a pancia in giù, recuperando il mio tascabile dalla borsa.
«Non vorrai prendere il sole così».
Alzai la testa, un po’ stupita che Jamal avesse commentato, uscendo dal suo mondo virtuale. Indossava un piccolissimo due pezzi arancione e sinceramente il mio topless era più modigerato del suo bikini.
«Eh?» feci, quindi.
Anche Ellis sollevò lo sguardo.
«La protezione solare!» spiegò Jamal, con il suo delizioso accento francese. «Sei così bianca... senza protezione ti ustioni di sicuro».
Non aveva tutti i torti. «Ah, sì, hai ragione. Mi aiuti con la schiena?».
Lei rise. «No, mi dispiace, manicure fresca».
Forse, pensai, era solo un po’ stronza. Spostai lo sguardo su Ellis. «Per favore?» chiesi, anche se avrei preferito di no. In pratica non lo conoscevo e chiedere a un uomo di spalmarti la crema solare fa sempre un po’ porno anni ’80. Ma non farlo non sarebbe stato educato.
In quanto a lui, a quel punto non poteva esattamente rifiutarsi. Era l’ultimo baluardo tra me e le ustioni.
Sospirò lievemente e mise il k****e da una parte. Si spostò verso di me, finendo per sedersi accanto al mio fianco. Confesso che quella vicinanza un po’ mi piaceva, non in modo erotico, ma dal punto di vista estetico. Lo trovavo bello e mi piaceva il modo in cui si muoveva.
«Grazie mille» gli dissi, passandogli la mia crema. «In effetti Jamal ha ragione da vendere».
«Nessun problema» rispose lui, con un sorriso un po’ meccanico.
Mi spostai i capelli dal collo. In quel periodo erano rosso scuro, ondulati e alle spalle, per via dell’ultimo ruolo che avevo interpretato.
Mi strizzò un po’ di crema sulle scapole e io sobbalzai, perché era fresca. «Quindi... schiena, braccia, ma non il collo, giusto? Oppure subito sotto alla nuca sì?» disse lui, iniziando a massaggiarmi.
Scoprii che era bellissimo. Le sue dita erano delicate ma decise e il modo in cui mi strofinava per far assorbire la crema era perfetto.
«No, no» borbottai. «Hai, come dire, una specie di tecnica, è possibile?».
«Nella mia vita ho spalmato un bel po’di creme. Abbronzanti, magari» disse lui, in tono leggero. In effetti sua moglie era nera come un tizzone.
Mh, dunque, era stato un gentile promemoria sul fatto che era sposato? Perché non mi sembrava di essermi messa a gemere di piacere o roba del genere, ma forse mi ero dimostrata troppo soddisfatta.
Forse percepì la mia confusione, dato che aggiunse: «Stai ferma e lascia fare a me».
«Assolutamente» confermai.
Mi massaggiò le spalle e la parte superiore delle braccia, poi la parte tra le scapole e ai lati delle scapole. Si spremette dell’altra lozione sulle mani e mi massaggiò sui fianchi. Chiusi gli occhi e suppongo che sospirai. Era meraviglioso e a quel punto era eccitante, non sapevo neanch’io perché. Forse per il modo in cui quasi arrivò a sfiorarmi il lato dei seni, quando mi spalmò la crema sui fianchi, forse proprio per il modo in cui mi prese per i fianchi.
«Per qualche motivo non mi sembravi il tipo da vacanze al mare» disse Ellis, occupandosi della parte bassa della mia schiena. Il mio costume era bianco e non troppo scosciato, ma suppongo che la forma delle mie natiche non gli sfuggì lo stesso.
«Un gentiluomo è lì che si fermerebbe» intervenne Jamal. Mi ero dimenticata di lei, un po’ per il perfetto massaggio di Ellis, un po’ perché era sempre immersa in una conversazione virtuale con qualcun altro.
Sorrisi lievemente. «Un gentiluomo si fermerebbe quando gli chiedono di fermarsi» ribattei. «Non prima e non dopo».
Lei ridacchiò, ma nel contempo mi sembrò un po’ scandalizzata. Era una delle francesi più strane che avessi mai visto. Di solito nel vecchio mondo la gente non è molto perbenista.
Mi voltai appena verso Ellis. «Perché, scusa? Solo perché faccio cinema indipendente?».
Ero appoggiata sui gomiti e a quel punto mi ero sollevata un altro po’. Lui mi guardò le tette. «Già, infatti. Capisco che sia un pregiudizio. Non voglio suonare paternalistico, ma devi spalmarti anche sul lato A». Ed ecco spiegato il suo interesse per le mie tette. Un vero balsamo per la mia vanità, non c’era che dire.
«Lì ci arrivo da sola» ritorsi, un po’ seccata.
Ellis rise sottovoce. «Ah, quindi sei americana».
«Cioè?».
«Autonoma» sorrise lui, ma non era quello che intendeva. Quello che intendeva era un po’ bigotta.
Sospirai. «E tu sei il perfetto europeo» ritorsi.
«Cioè?».
Gli rivolsi un sorrisetto divertito. «Un po’ stronzo».
«Probabilmente hai ragione. Cercherò di moderarmi. Che faccio, continuo?».
«Forse è meglio se vi lascio da soli» intervenne Jamal, alzandosi e stiracchiando le lunghe membra perfette.
Ellis le lanciò un’occhiata bonaria. «O potresti riprenderci» suggerì.
Lei la prese come una provocazione e se ne andò sbuffando. Ellis emise una risatina bassa e divertita.
«Forse anche un po’ più che stronzo» sorrisi io.
Lui scosse la testa. «Lo so. Mi ricorda mia figlia minore. Sempre attaccata a quel cazzo di coso. E bada che anch’io sono sempre attaccato al mio cellulare, ma che ci vuoi fare? La coerenza è noiosa. Dicevamo: proteggere dai raggi UVA anche la parte davanti».
Mi voltai un altro po’ dal suo lato. «E le gambe. Non dimenticarti le gambe, visto che sei così servizievole».
«Figurati. Il mio libro è una noia».
Si spostò davanti a me e mi spremette una piccola noce di crema solare su ognuno dei capezzoli. I quali, a quel punto, erano duri.
Guardò il risultato con un mezzo sorriso e cominciò a massaggiarli. Lasciai gli occhi nei suoi. Erano chiari e divertiti, circondati da una serie di rughette. Non sapevo con precisione quanti anni avesse, ma doveva essere sulla cinquantina. Comunque fosse, aveva un naso davvero bello e un’ossatura del viso magnifica.
Mi spalmò la crema solare su tutto il decolté, stuzzicandomi un po’ i capezzoli con i pollici. Non male per due che si conoscevano a stento.
Mi aspettavo che a un certo punto mi baciasse o iniziasse ad amoreggiare in qualche modo, ma si limitò a quello, per poi tornare a sedersi accanto a me quando ebbe finito di spalmarmi.
«Le gambe, mh?» fece.
Per prima cosa si dedicò ai miei talloni, poi ai miei polpacci. Ero sempre più eccitata e la cosa che mi accendeva di più era non capire che intenzioni avesse. Quando arrivò alle cosce avevo di nuovo gli occhi chiusi e sospiravo lievemente. Le sue mani mi percorsero in lungo e in largo, dietro e sui lati, sull’esterno e sull’interno, fino al pube.
Avevo la fica bagnata e mi chiedevo se a quel punto si vedesse. Con quel costume bianco... forse, non potevo saperlo.
Ellis si spremette dell’altra crema sulle mani e iniziò a massaggiarmi le natiche. Ormai i miei sospiri erano più che altro ansiti di piacere, anche se ancora non avevamo fatto niente di realmente sessuale.
Mi stava solo... massaggiando entrambe le natiche al di sotto del costume, una mano per natica, separandomele leggermente e di certo non per caso. Là sotto ero fradicia ed ero sicura che lo sapesse benissimo.
Con la punta delle dita della sinistra iniziò a massaggiarmi il buchetto posteriore. Mi tesi tutta, inarcandomi e allargando un pochino le gambe. Lui spingeva e spingeva, ma non come se volesse penetrarmi. Stavo giusto pensando questo, quando mi infilò dietro la punta di un dito.
Per qualche secondo mi sentii violata, poi fui presa da un’ondata di eccitazione fortissima, che mi costrinse a mordermi il labbro inferiore per non gemere a voce alta.
Ellis non disse una parola. Mi scostò gli slip del costume e mi infilò la destra sotto. Il pollice trovò facilmente l’ingresso della mia fichetta e mi penetrò, con le altre dita iniziò a stuzzicarmi il clitoride.
Il piacere ormai era fortissimo e non godere a voce alta stava diventando difficile, per me. Chiusi il mio libro e morsi la costola, respirando forte dal naso.
Ellis spostò la destra in avanti, tendendomi tutta. Il suo pollice accarezzava l’interno grondante della mia fichetta, le sue altre dita giocherellavano con il mio clitoride e con la mano sinistra continuava a penetrarmi dietro.
Quando iniziò a muovere il pollice io iniziai a sobbalzare. Quello che mi stava facendo era incredibile. Incredibile per quanto era piacevole e incredibile perché mi stava sditalinando lì, nel pozzetto di poppa, dove chiunque avrebbe potuto passare. Strofinai i capezzoli sulla stoffa ruvida del mio ascigamano, godendo e godendo. Gli infradiciai la mano. Mi divincolai su di lui, infiammata ma anche insoddisfatta. Dio, come avrei voluto sentirmelo tutto dentro... o tutto dietro, magari.
Ellis mi infilò il pollice più in fondo che poteva, tirando verso il basso e provocandomi un piacere incredibile all’imboccatura della fica. Nel contempo giocherellava con il mio clitoride, che mi mandava lampi di piacere in tutto il corpo. E là dietro... là dietro il mio buchetto si contraeva tutto, aggiungendo godimento al godimento.
L’orgasmo continuò a lungo e mi chiesi confusamente se lui fosse almeno eccitato. Supponevo di sì, ma non avevo prove in merito, anche perché non lo vedevo.
Alla fine mi calmai. Avevo il fiatone e il mio costume era fradicio. Ellis sfilò delicatamente le dita, accarezzandomi un’ultima volta su una natica.
Voltai la testa, altro non riuscivo a fare. Ero praticamente spalmata sul mio asciugamano.
«Cristo» borbottai.
Lui emise una risatina divertita. «La prendo come una recensione positiva».
Detto questo si alzò, recuperò il suo k****e e scese sottocoperta.
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Pensavo che ci sarebbero stati degli sviluppi. Non ce ne fu assolutamente nessuno. Ero praticamente sicura che Jamal fosse andata a fare la spia con Jenna Carmichael, ma lei continuò a comportarsi in modo amichevole. Il che accrebbe giusto di quel quid il mio senso di colpa già abbastanza grosso.
Perché, insomma, potevo dirmi che comunque in queste circostanze il traditore è quello sposato, non il partner occasionale, ma mi sentivo di merda lo stesso. Jenna non fece una grinza e iniziai a sospettare che fossero quel tipo di coppia. Il tipo aperto che si racconta tutto e magari prende pure in giro le ignare conquiste dell’altro.
Anche se nei tre giorni successivi non li vidi insieme praticamente mai. E quando interagivano, per lo più a tavola, mi sembrarono educati e un po’ cauti l’uno con l’altro.
Non feci domande e nessuno mi offrì spiegazioni.
Tre giorni dopo mi rimisi in volo per la California e la cosa finì lì.
O meglio, no.