CAPITOLO V
Scaricato il legno, Pencroff si dette subito da fare per rendere abitabile la grotta scelta come abitazione, ostruendo le aperture con sabbia, pietre, rami intrecciati saldamente e terra bagnata per evitare il passaggio dei venti. Venne lasciata una sola via libera, una specie di condotto, per il fumo. Nell'interno, la grotta era suddivisa in tre o quattro camere, se si potevano definire in tal modo certe tane delle quali una fiera si sarebbe disdegnosamente accontentata. Ma ci si stava al riparo, ci si poteva stare in piedi, almeno nella più grande, che era al centro della grotta. Il suolo era coperto da una sabbia finissima. Insomma, in attesa di meglio, ci si poteva arrangiare abbastanza bene.
Pencroff e Harbert lavoravano di buzzo buono, e parlavano.
- Non credi, Pencroff, che i nostri compagni avranno trovato una casa migliore di questa nostra?
- Può darsi; ma, nel dubbio, non astenerti dal lavoro. Meglio due corde sull'arco che nemmeno una corda.
- Pur che riportino l'ingegnere Smith, e non avremo più nulla da chiedere al Cielo.
- Sì... Che uomo, l'ingegnere! Non se ne trovava un altro...
- Trovava?!... Ma allora tu disperi di rivederlo?
- Dio me ne guardi.
Intanto, il lavoro era finito, e Pencroff se ne dichiarò soddisfattissimo.
- Ecco - disse. - Ora i nostri compagni possono tornare; troveranno un rifugio sufficiente.
Restava da costruire il focolare e preparare la cena. Una cosa semplice e facile, in fondo. In fondo a una specie di corridoio scavato fra le rocce, nella grotta, sotto l'apertura che era stata lasciata apposta per l'uscita del fumo, furono collocate delle grosse pietre rotonde e piatte. C'era anche questo di buono: quel calore che non se ne sarebbe uscito insieme col fumo dall'apertura, sarebbe bastato ad assicurare alla «casa» una temperatura conveniente. In una delle «camere» venne ammassata la provvista di legna, e poi il marinaio dispose sulle pietre del focolare improvvisato dei grossi ceppi mescolati a legna minuta. Fu a questo punto che Harbert gli domandò se avesse degli zolfanelli.
- Perbacco - gli rispose Pencroff. - E aggiungo, per fortuna; perché senza zolfanelli o senza esca, saremmo in un brutto impiccio.
- Non potremmo fare del fuoco come i selvaggi, strofinando energicamente due pezzi di legno uno contro l'altro? - Provaci, provaci, figliolo, e vedremo se ce la fai prima a ottenere il fuoco o a romperti le braccia.
- Eppure, è un metodo assai in uso nelle isole del Pacifico.
- Non dico di no; ma bisogna concludere che quei selvaggi sanno come si fa, oppure usano del legno particolare, perché io l'ho provato cento volte, e non ci sono mai riuscito. No; preferisco gli zolfanelli. Dove sono, a proposito?
Pencroff cercò la scatola per tutte le tasche della giacca e dei pantaloni, ma, con sua grande sorpresa, non la trovava.
- Ecco una cosa maledettamente seccante - brontolò. - La scatola deve essermi caduta dalla tasca, e non me ne sono accorto. Tu, Harbert, non hai uno zolfanello o qualche cosa da accendere?
- No, Pencroff!
Il marinaio uscì dalla grotta grattandosi la testa energicamente e, con Harbert, si dette a cercare ansiosamente nei dintorni, sulla sabbia, se per caso si trovasse la sua scatola preziosa. Era una scatola di rame, e difficilmente avrebbe potuto sfuggire ai loro occhi.
- Sei sicuro, Pencroff, di non aver buttato fuori dalla navicella anche quella scatola?
- Oh, me ne sono guardato bene. Soltanto, capirai, con tutti quegli scossoni che abbiamo subito, è facile che un oggetto così piccolo si sia smarrito. Anche la mia pipa, vedi, è sparita. Maledizione! Dove può mai essersi cacciata quella diabolica scatola?
- Guarda, il mare sta ritirandosi. Andiamo sul posto dove abbiamo preso terra.
Era assai poco probabile trovare la scatola su quella sabbia dove le onde avevano dovuto farla rotolare chissà dove, ma non si poteva trascurare neanche la più piccola possibilità. Corsero dunque su quel punto della costa, e là frugarono con cura minuziosa in ogni anfratto, in ogni buco, in ogni angolo, ma senza trovar niente. Evidentemente, se la scatola era caduta su quella sabbia, doveva poi essere finita in mare. Era una perdita gravissima, nelle loro circostanze: irreparabile, anzi, e Pencroff non nascondeva il suo cruccio e il suo dispetto. Harbert cercò di confortarlo dicendogli che, se anche l'avessero trovata, quella scatola avrebbe ormai contenuto degli zolfanelli inservibili, inzuppati d'acqua di mare; ma il marinaio protestò: la sua scatola era assolutamente impenetrabile, aveva una chiusura ermetica.
- Beh, Pencroff, troveremo certamente qualche altro mezzo per procurarci del fuoco. E poi, Spilett o l'ingegnere avranno bene in tasca degli zolfanelli.
- Sì, ma intanto siamo senza fuoco, e al loro ritorno troveranno una ben malinconica cena che li aspetta. E poi, Nab e l'ingegnere non fumano, e perché vuoi che abbiano degli zolfanelli in tasca? E quanto a Spilett, quello avrà conservato senza dubbio il suo taccuino, ma non la sua scatola di zolfanelli.
Harbert non rispose. Era sicuro che si sarebbe potuto ottenere del fuoco anche senza quella famosa scatola. Pencroff invece, per quanto non fosse uomo da perdersi d'animo, non era altrettanto sicuro.
Comunque, intanto non c'era che una cosa da fare: aspettare il ritorno di Nab e di Spilett. Addio però cena con le uova sode! Bisognava accontentarsi di carne cruda: e la cosa, francamente, non era gran che allettante. A buon conto, prima di tornare alla grotta, fecero una nuova e abbondante provvista di litodomi. Lungo la strada del ritorno, Pencroff camminava a testa bassa, cercando sempre per terra la sua scatola, fermandosi a frugare sotto i ciuffi d'erba, sotto i sassi, lungo la riva del fiume. Alle cinque erano a «casa», e anche qui, dentro la vasta grotta e le sue «stanze» e i' suoi corridoi, fu cercato minuziosamente. Finalmente, decisero di sospendere quelle ricerche evidentemente inutili.
Un'ora dopo, proprio mentre il sole stava scendendo a occidente, dietro gli altipiani di quella terra, Harbert, che stava passeggiando sulla sabbia, vide Spilett e Nab che stavano tornando. Erano soli!... Il giovinetto sentì stringersi il cuore. Ah, il marinaio non si era dunque ingannato: l'ingegnere Smith non era stato trovato!
Il giornalista, appena arrivato, si sedette sopra un sasso senza profferire parola. Sfatto di stanchezza e di fame, non aveva più la forza di parlare. Quanto a Nab, i suoi occhi pesti e arrossati dicevano quanto avesse pianto e, come fu davanti alla grotta, ricominciò a piangere.
Spilett fece poi il racconto di tutte le ricerche fatte. Insieme con Nab egli aveva percorso la costa per un tratto di otto miglia, e cioè era andato assai più in là dal punto dove era avvenuta la prima caduta dell'aerostato,caduta che aveva provocato la scomparsa dell'ingegnere. Ma la costa era deserta e non si era trovata alcuna traccia, alcuna impronta, né un sasso rimosso di fresco, né il segno di un piede umano sulla sabbia. Era evidente, anche, che nessun abitante frequentava quella zona costiera. E, corre la costa, deserto era il mare. Forse, in quel deserto d'acqua, a qualche centinaio di metri dalla riva, l'ingegnere aveva trovato la morte e la tomba! A queste parole Nab si alzò di scatto e con voce convulsa e decisa gridò: - No! No! Egli non è morto! No! No! Lui?!... Ma via... Qualsiasi altro, forse... Ma lui, no! Lui, non è possibile. Egli è un uomo che sa difendersi contro tutto e contro tutti...
Poi, disfatto dall'angoscia e dalla stanchezza, si lasciò cadere a terra, dicendo: - Non ne posso più!...
Harbert gli si avvicinò: - Coraggio, Nab. Lo troveremo, vedrai. Dio ce lo restituirà. Ma, adesso, dovete aver fame; mangiate, ve ne prego; mangiate qualche cosa.
Così dicendo, offriva al n***o una manciata di conchiglie, una magra e povera cena, in verità! Nab, per quanto fosse digiuno da molto tempo, ricusò. No, senza il suo diletto padrone, egli non voleva vivere. Gedeone Spilett, invece, divorò una grande quantità di quei molluschi, poi si sdraiò sulla sabbia, contro una roccia, estenuato ma calmo.
Harbert gli si avvicinò e gli disse: - Signore, noi abbiamo trovato un rifugio dove starete meglio di qui. Sta scendendo la notte. Venite a riposarvi. Domani vedremo...
Il giornalista si alzò e, guidato dal giovinetto, si avviò verso le grotte. A un tratto Pencroff lo fermò e gli chiese, con l'aria più naturale di questo mondo: - A proposito, signor Spilett, non avreste uno zolfanello?
Il giornalista si frugò nelle tasche, non ci trovò niente, e rispose: - Ne avevo, sì; ma ho dovuto buttar via tutto...
Il marinaio rivolse la stessa domanda a Nab, e n'ebbe la stessa risposta.
- Maledizione! - esclamò allora Pencroff fra i denti. Ma il giornalista lo sentì e gli chiese: - Nemmeno uno zolfanello?
- Nemmeno uno, e, per conseguenza, nemmeno un briciolo di fuoco.
- Ah, se ci fosse qui il mio padrone - esclamò Nab - saprebbe ottenere il fuoco anche senza zolfanelli!
I quattro naufraghi si guardarono in viso preoccupati e perplessi. Poi Harbert ruppe quell'inquieto silenzio e disse: - Signor Spilett, voi siete un accanito fumatore, dovete sempre avere degli zolfanelli dispersi in qualche tasca. Forse, non avete cercato bene. Cercate ancora! Un solo zolfanello basterebbe...
Il giornalista frugò accuratamente tutte le tasche della giacca, del panciotto, dei pantaloni, e finalmente, con grande gioia di Pencroff, sentì un piccolo sottilissimo legno tra la stoffa e la fodera del panciotto. Doveva essere uno zolfanello; ma era l'unico, ed era necessario estrarlo con grandissima cautela per non strappar via quel poco di fosforo.
- Volete lasciar fare a me? - chiese Harbert.
E, con molta leggerezza e abilità, il giovinetto riuscì a estrarre, da quel nascondiglio, la fragile asticciola di legno, quel misero e preziosissimo pezzo di legno, che rappresentava, per i naufraghi, un vero e proprio tesoro.
- Uno zolfanello! - esclamò Pencroff. - Ma è come se ne avessimo un carico intero.
Prese in consegna il prezioso zolfanello e, seguito dai suoi compagni, entrò nella grotta. Bisognava ora servirsi di quel legnetto con grande sicurezza e cautela, non sciuparlo. Pencroff si assicurò anzitutto che fosse ben secco, poi, guardandosi in giro, disse: - Mi occorre un po' di carta.
Spilett stette un poco soprappensiero, poi, sospirando, strappò un foglio dal suo taccuino, e lo diede al marinaio che si era già inginocchiato davanti al focolare, e vi aveva collocato accuratamente alcune manciate di erbe secche. Ciò fatto piegò il foglio in forma di imbuto, come fanno i fumatori di pipa per difendere la fiamma dal forte soffio del vento, e lo cacciò sotto le foglie secche. Si trattava ora di accendere quell'unico zolfanello. Pencroff sospirò, prese un ciottolo ben asciutto, vi sfregò contro piano piano lo zolfanello; ma la fiamma non sprizzò. Il marinaio aveva tenuto lo zolfanello troppo leggero, timoroso di rovinare la capocchia di fosforo.
- No! - fece. - Sento che non ci riuscirò mai... Non posso... Non voglio...
Si alzò, pregò Harbert di far lui. Il ragazzo non era mai stato così emozionato in tutta la sua vita. Il cuore gli batteva forte forte.
Prese lo zolfanello, lo fregò con vivacità sul ciottolo, si udì un lieve crepitio, e una piccola fiamma azzurrina spiccò in cima all'asticciola di legno. Harbert girò allora lo zolfanello in modo da alimentare quella fiammella, poi la introdusse dolcemente dentro l'imbuto di carta che si infiammò in un baleno, e pochi secondi dopo le erbe secche prendevano fuoco, la fiamma divampava alta e consolatrice, attaccava la legna accumulata sul focolare.
- Ah! - esclamò Pencroff. - Non sono mai stato così commosso!
Il focolare funzionava alla perfezione. Il fumo saliva per l'apertura, e un gradevolissimo calore si spandeva nella grotta.
Ora, sarebbe però stato necessario conservare quel fuoco, non lasciarlo spegnere mai, tenere sempre la bragia sotto la cenere; ma, insomma, tutto si sarebbe risolto con un poco di perseveranza e di pazienza.
Intanto, il marinaio provvide a preparare una cena che fosse un poco più invitante di quei molluschi, e Harbert portò due dozzine di uova di piccione. Spilett, seduto un poco in disparte, guardava quei preparativi e taceva. Tre pensieri lo tormentavano. Cyrus viveva ancora? E se viveva, dove poteva mai trovarsi? E, se era sopravvissuto alla catastrofe, come mai non era riuscito a dar segni della sua presenza? Quanto a Nab, sdraiato sulla sabbia,piangeva silenziosamente: egli non era ormai più che un corpo senz'anima... Pencroff, che conosceva cinquantadue maniere di cuocere le uova, non aveva molta scelta, in quel momento. Dovette accontentarsi di seppellirle dentro la cenere calda e lasciarle cuocere così. Dopo qualche minuto, erano pronte, e il marinaio invitò i compagni a quella cena. La prima cena su quella ignota terra! Ma quelle uova erano squisite, e, poiché l'uovo contiene tutti gli elementi indispensabili al nutrimento dell'uomo, i naufraghi ne risentirono subito un grande beneficio.
Ah! se ci fossero stati tutti! Se uno non fosse mancato! Se i cinque prigionieri evasi da Richmond fossero stati tutti là, sotto quel cumulo di rocce, davanti a quella fiammata crepitante, su quella sabbia asciutta, avrebbero dovuto veramente ringraziare il cielo! Ma il più ingegnoso di loro, il più dotto, quello che era il loro capo, Cyrus Smith, mancava... e forse il suo corpo non aveva nemmeno potuto avere una sepoltura!... Così trascorse quella giornata del 25 marzo.
Intanto, era scesa la notte, si udiva, fuori, fischiare e gemere il vento, e rompersi il mare contro la riva. I ciottoli, sulla sabbia, percossi e spinti dall'onda, fragorosamente rotolavano.
Il giornalista si era ritirato in fondo a un corridoio oscuro, dopo aver tracciato sul suo taccuino sommariamente gli avvenimenti della giornata, ed era riuscito ad addormentarsi. Harbert, data la giovanissima età, lo aveva preceduto nel sonno. Il marinaio, steso davanti al fuoco, dormiva con un occhio aperto preoccupato com'era che il suo fuoco si spegnesse. Uno solo dei naufraghi non dormì: era l'inconsolabile, il disperato Nab che, nonostante tutte le preghiere dei compagni, per quanto durò la notte, girò su e giù per la costa chiamando il suo padrone!