CAPITOLO IV
Subito il giornalista disse a Pencroff di aspettarlo in quello stesso punto dove avevano toccato terra, e, senza il più piccolo indugio, risalì la costa seguendo la stessa strada che aveva poco prima seguito il n***o Nab, sparendo presto dietro un angolo di terra. Harbert avrebbe voluto accompagnarlo, ma Pencroff lo aveva trattenuto, dicendogli: - Resta, figliolo. Dobbiamo preparare un accampamento e vedere se non ci è possibile trovare qualche cosa da mettere sotto i denti: qualche cosa di più sostanzioso delle arselle di ieri. Anche i nostri amici avranno bisogno di rifocillarsi, quando torneranno. Andiamo: al lavoro!
- Eccomi pronto, Pencroff.
- Vedrai che qualche cosa combineremo. Procediamo con metodo. Siamo stanchi, abbiamo fame e abbiamo freddo. Bisogna dunque trovare un ricovero, del cibo e del fuoco. La foresta ha del legno, i nidi avranno delle uova; non ci resta che trovarci una casa.
- Andrò io a cercare una grotta dentro queste rocce, e finirò pure per trovare qualche bel buco dove potremo rifugiarci!
- Ecco. Andiamo, ragazzo.
Si misero in cammino ai piedi della enorme muraglia granitica, sulla spiaggia che la bassa marea aveva scoperto per largo tratto. Andavano però verso sud, perché Pencroff aveva osservato che, a un centinaio di metri al di sotto del punto dove erano arrivati, la costa presentava una specie di taglio che, secondo il marinaio, doveva essere la foce di un fiume o di un ruscello. Ora, se era importante trovare dell'acqua da bere, era anche possibile che la corrente avesse portato Smith proprio verso quella foce. La muraglia di granito, che si innalzava, come s'è detto, di un centinaio di metri, era compatta e nemmeno alla sua base, che pur veniva lambita dalle onde, presentava la più piccola incrinatura. Era, insomma, una specie di muraglione a picco liscio e durissimo, sulla cui sommità roteavano miriadi di uccelli acquatici, tutt'altro che spaventati dalla presenza di quegli uomini che vedevano certo per la prima volta. Pencroff riconobbe in mezzo a essi due o tre specie di gabbiani, e pensò che con un sol colpo di fucile se ne sarebbe potuto abbattere molti; ma per sparare un colpo di fucile, è necessario un fucile, e i due uomini non l'avevano. D'altra parte, si sa che i gabbiani non sono affatto buoni da mangiare e nemmeno le loro uova sono gradevoli al gusto.
Intanto, Harbert, che si era allontanato di qualche passo verso sinistra, scoprì delle rocce rivestite di alghe in mezzo alle quali innumerevoli erano certe conchiglie a doppia valva abbastanza solleticanti per gente affamata. Chiamò subito Pencroff, che si affrettò a raggiungerlo.
- Perbacco! - gridò il marinaio. - Ma sono delle arselle!
- Non direi - osservò Harbert che le aveva esaminate con attenzione. - Le direi piuttosto dei litodomi.
- Si mangiano?
- Benissimo.
- E allora, facciamo colazione con questi signori.
Ci si poteva fidare di Harbert, ferratissimo in storia naturale, che aveva, per volontà del padre, seguito i corsi dell'Università di Boston i cui professori avevano subito preso a ben volere quel giovinetto studioso e appassionato. La sua profonda conoscenza di siffatta disciplina doveva, anzi, tornare di grande utilità anche in avvenire.
Questi litodomi erano dei molluschi cosiddetti perforatori perché si scavano dei buchi dentro la pietra e hanno la conchiglia arrotondata verso le estremità.
Pencroff e Harbert ne fecero una scorpacciata, come se fossero ostriche, e non dovettero nemmeno lamentarsi per la mancanza di pepe perché il sapore di quei molluschi era già assai pepato per conto suo.
Calmato un poco l'appetito, bisognava pensare a trovare dell'acqua da bere. Raccolta un'ampia provvista di quei molluschi, Pencroff e Harbert si misero in cammino e duecento passi più in là arrivarono a quella spaccatura della costa dove il marinaio aveva supposto la foce di un corso di acqua. La sua supposizione era stata infatti esatta. Vi trovarono una specie di fiume che si cacciava dentro la spaccatura della muraglia di granito e, mezzo miglio più in su, spariva dentro un bosco.
- Harbert! Guarda. Qui, l'acqua; là, il bosco. Adesso non ci manca che la casa.
Era un'acqua limpida e, in quell'ora di bassa marea, dolce. Invano però Harbert cercò intorno una grotta, un rifugio qualunque: la muraglia di granito permaneva liscia e compatta. Però, proprio alla foce di quel corso di acqua, a seguito di alcune frane, si erano formate non delle grotte, ma come dei mucchi di rocce. Pencroff e Harbert si cacciarono per i sentieri di sabbia che correvano in mezzo a quella convulsione rocciosa, sfiorando pinnacoli che si reggevano per miracoli di equilibrio naturale, e duravano fatica a reggere contro il vento che si infilava rabbioso e violento dentro quei camminamenti sabbiosi che formavano come un labirinto in mezzo alle rocce.
- Fermiamoci - disse Pencroff. - Potremo utilizzare, per ora, uno di questi roccioni che presenti qualche cavità. Certo, se fosse qui l'ingegnere, egli saprebbe sfruttare assai meglio queste rocce...
- Tornerà presto - affermò Harbert. - Ma quando torna, deve trovare qui una dimora abbastanza abitabile. Del resto, la renderemo abitabile, se riusciremo a costruire una specie di focolare, in una di queste cavità, e a lasciarvi un'apertura perché il fumo possa uscirne.
- Ce la faremo, ragazzo mio. E prima di tutto, andiamo a raccogliere un poco di combustibile; penso che il bosco ce lo fornirà; e ci fornirà anche dei grossi legni per turare convenientemente la nostra grotta e sbarrare il passo a questo vento del diavolo.
Risalirono allora la sponda sinistra del corso d'acqua, notando che la corrente era assai forte e si portava dietro dei tronchi d'alberi.
Certo, durante l'alta marea, quelle acque dovevano essere risospinte all'indietro per un lungo tratto: e Pencroff pensò che si sarebbe potuto utilizzare benissimo quel movimento di flusso e riflusso per trasportare degli oggetti pesanti.
Dopo aver camminato per un quarto d'ora, il marinaio e il ragazzo arrivarono dove il corso d'acqua descriveva una brusca giravolta e si tuffava dentro una foresta di alberi stupendi, ancor ricchi di fogliame nonostante la stagione. Si trattava di conifere, e Harbert, il piccolo naturalista, riconobbe subito la famiglia alla quale appartenevano quelle conifere dal gradito profumo, e poi mostrò a Pencroff alcuni alti ciuffi di pini marittimi dal largo ombrello. Camminando sotto quegli alberi, sotto le alte erbe, il marinaio sentì scricchiolare e crepitare sotto i suoi passi delle legne secche.
- Ragazzo - fece Pencroff, - io non conosco il nome di questi alberi, ma so di poterli catalogare nel genere della «legna da ardere»: ed è quello che, per ora, ci interessa.
- Facciamone subito una buona provvista - gli rispose Harbert, mettendosi senz'altro all'opera.
La raccolta fu facile. Non occorreva nemmeno rompere dei rami o strapparli dagli alberi, tanta era la quantità di legna secca che giaceva in terra. Il combustibile, insomma, non mancava; quello che mancava era un mezzo di trasporto. Secca com'era, quella legna doveva ardere con estrema facilità e rapidità; sarebbe quindi stato necessario portarne una forte provvista alla grotta, e il carico di due uomini era ben lungi dal bastare.
- Non preoccuparti, ragazzo - fece Pencroff - troveremo bene un mezzo per trasportare questo combustibile. Ci si arrangia sempre. Certo, se avessimo una carretta o una barca, la cosa sarebbe fin troppo facile.
- Ma abbiamo il fiume - esclamò Harbert.
- Ecco. Il fiume sarà per noi la strada che cammina per conto suo, e i traini di legname non sono stati inventati per nulla.
- Però, in questo momento, questa nostra strada d'acqua corre in una direzione proprio opposta alla nostra. C'è l'alta marea, e il corso d'acqua retrocede.
- Aspettiamo la bassa marea; e penserà quest'acqua a portarci il combustibile alla grotta.
E subito, tutt'e due, cominciarono a portare verso la sponda del fiume grossi fasci di legna secca. Poi, con dei tronchi abbastanza grossi legati insieme con robuste liane secche, costruirono una specie di zattera sulla quale accumularono ordinatamente la legna raccolta. In poco più di un'ora, il carico era completo, e il traino, assicurato alla sponda, aspettava la bassa marea per prendere il via e lasciarsi portare dalla corrente.
C'erano alcune ore da aspettare e venne a tutti e due il pensiero di impiegarle salendo fin sopra la muraglia di granito per esaminare di lassù la terra sconosciuta sulla quale avevano posto il piede. A un centinaio di metri più in là, la muraglia scendeva dolcemente, come a formare una scalinata naturale. Harbert e Pencroff la salirono agevolmente e in pochi minuti furono sulla sommità della gradinata granitica di dove potevano contemplare lo sterminato Oceano. Con ansiosa emozione scrutarono tutta la costa settentrionale, sulla quale erano scesi col pallone. Là, Cyrus Smith era scomparso, e là i loro occhi cercarono se qualche rottame dell'aerostato non fosse per avventura rimasto a galleggiare sulle acque; ma il mare non era che un infinito deserto d'acqua, e deserta appariva la costa. Non vi si scorgevano nemmeno Nab e il giornalista. Ma, forse, in quel momento,
l'uno e l'altro stavano cercando ed esplorando in qualche altra parte della costa...
- Eppure, qualche cosa mi dice - esclamò Harbert - che un uomo come l'ingegnere non ha potuto annegare come l'ultimo venuto. Egli deve aver raggiunto qualche altro punto della costa. Non lo credi, Pencroff?
Il marinaio scosse la testa con tristezza; egli non aveva troppe speranze di rivedere Cyrus Smith; ma non voleva distruggere le speranze del ragazzo, e gli rispose:
- Senza dubbio, figliolo; il nostro ingegnere è uomo da cavarsi d'impiccio dove tutti gli altri uomini sarebbero fritti.
Verso occidente, si vedeva svettare la montagna con la sua cima coperta di neve. Larghe masse boscose l'ammantavano sino a una certa altezza, e dove il bosco finiva, spaziava una vasta prateria disseminata di ciuffi di alberi. Laggiù, qua e là, si vedeva anche scintillare l'acqua del fiume che certo doveva scendere dalla montagna.
- Chissà se siamo sopra un'isola! - mormorò pensoso Pencroff.
- Comunque, dovrebbe essere un'isola assai grande.
- Per quanto grande sia, sarebbe sempre un'isola...
La questione non poteva essere risolta in quel momento. Bastava constatare che, isola o continente, quella terra era abbastanza fertile, piacevole come paesaggio, varia nei suoi prodotti.
- Bisogna ringraziare la Provvidenza - disse Pencroff - che, in fondo, ci ha assistito nel nostro disastro.
- Sia dunque lodato Iddio - gli fece Harbert, il cui giovane cuore era pieno di riconoscenza per il Creatore.
Poi ripresero la strada del ritorno, seguendo la cresta meridionale della muraglia, orlata da un festone di rocce capricciose dalle quali, al passare dei due uomini, scattavano a volo stormi di uccelli.
- Ma non sono dei gabbiani - esclamò Harbert.
- E allora, che uccelli sono? Sembrerebbero dei piccioni!
- E difatti, sono dei colombi selvatici o colombi di roccia gli rispose Harbert. - Li riconosco benissimo dalla doppia banda nera che traversa le loro ali, dalla macchia di piume bianche sul dorso, e dal colore blu-cinerino delle loro piume. E, sai, il colombo di roccia è ottimo da mangiare: di conseguenza ottime devono essere le loro uova.
Ora, per poche che ne abbiano lasciate nei loro nidi...
- Ah, non lasceremo loro il tempo di schiudersi, se non in tante belle frittate.
- Già; ma e come le farai le frittate? Con che cosa?
- Hai ragione; non sono abbastanza mago per questo. Ma non importa; ci accontenteremo di uova alla coque e di uova sode. Le più dure me le papperò io.
Nelle anfrattuosità di quelle rocce, in certi buchi annidati nelle pieghe della pietra, trovarono molte uova e ne raccolsero alcune dozzine che conservarono accuratamente nel largo fazzoletto del marinaio. Quindi, scesero verso il corso d'acqua. Quando arrivarono sulla sponda, era un'ora del pomeriggio, e la bassa marea già cominciava. Bisognava approfittare del riflusso per avviare verso le grotte il carico di legna. Pencroff non voleva che quella zattera andasse sulla corrente senza direzione, e, d'altro canto, non osava imbarcarsi su quel fragile mezzo natante in mezzo a un fiume rapinoso, ma un marinaio non è mai in imbarazzo, quando si tratta di cavi e di gomene, e Pencroff, in un battibaleno, formò una grossa e lunga corda intrecciando insieme delle tenacissime liane, l'assicurò alla poppa della zattera e ne tenne un capo nelle mani, mentre Harbert, aiutandosi con una lunga pertica, manteneva l'imbarcazione nella corrente.
La cosa riuscì alla perfezione. Il grosso carico di legna, frenato dalla lunga corda vegetale tenuta nel pugno fermo del marinaio, seguiva docilmente il filo della corrente. La riva del fiume era pianeggiante, non c'era pericolo di urti che avrebbero messo a repentaglio il carico, e in poco meno di due ore, la zattera veniva fermata a pochi passi di distanza dalle grotte.