3.
La cameriera entrò e rimase vagamente interdetta. «Devo richiudere?» chiese. Il principe aveva un braccio sopra sua moglie, erano entrambi chiaramente svestiti, sotto alle coperte, e non era normale che lui non si fosse ancora alzato.
«No, va bene così» borbottò Vran. «Portaci la colazione, poi puoi andare. Tu e tutti gli altri. Ah, no. Preparate anche un bagno caldo, prima».
La cameriera uscì silenziosamente e Vran si stiracchiò. Ees lo guardò, perplessa anche lei.
«Ieri sera ho lavorato fino a tardi, come sai. Stamattina ho degli altri piani» non si sbilanciò lui.
Ees tornò a posare la testa sulla sua spalla. «Mi piaci, al mattino» disse. Lo baciò sul petto. «Mi ricordo che piani hai».
«Bene» sorrise lui, iniziando ad accarezzarla.
Ees si tese contro di lui, cercandolo. «In te c’è qualcosa che mi piace, te l’ho detto. Devo ancora capire che cosa, però».
Qualche minuto più tardi la cameriera lasciò la colazione sul tavolino, in silenzio, e scappò praticamente a preparare il bagno. Le tende del baldacchino erano chiuse.
Nella penombra dell’interno, Vran aveva appoggiato la punta del proprio membro (“glande”, le aveva detto) sulle labbra di Ees. Lei iniziò a leccarlo tutto attorno, lentamente.
Seguendo le indicazioni della sua istitutrice, scese verso il basso, percorrendone con la lingua l’intera lunghezza.
Vran le prese una mano e la guidò fino a fargliela chiudere attorno alla lunghezza del suo pene.
«Così è più comodo» spiegò.
Ees continuò a leccare, tenendo tra le dita dell’asta calda e dura che diventava sempre più grande e dura. Sospirò, iniziando a lappargli le palle.
Anche se lui non la stava toccando, si sentiva tesa ed eccitata, bagnata e pronta a riceverlo in qualsiasi momento. Sbirciò la sua faccia, mentre continuava a leccarlo. Aveva gli occhi e la bocca socchiusi. Avrebbe voluto che perdesse l’aplomb come faceva lei (come stava per fare lei), ma in fondo le piaceva anche la sua apparente indifferenza.
Prese la sua erezione in bocca. Lo succhiò e lo leccò, cercando di arrivare più in basso che poteva. Lui le mosse la mano, facendole capire che mentre lo succhiava poteva usare anche quella.
Dalla posizione inginocchiata in cui era, Vran si stese docilmente sulla schiena. Ees, a quattro zampe, seguì il cazzo che stava leccando.
Si sentiva persino le cosce bagnate. Lo voleva così intensamente da non riuscire a pensare.
Morse delicatamente l’altro sul glande, accelerando il ritmo della propria mano. Si accorse che lui stava per raggiungere il piacere e si preparò a ricevere il suo getto in bocca.
Vran le strinse una mano su una spalla, mentre sussultava, venendo. Ees rimase con le labbra strette attorno al suo cazzo, mentre il getto un po’ amaro del suo seme le riempiva la bocca. Inghiottì, leccando poi via gli ultimi residui dalla punta del suo cazzo.
Vran lasciò andare la sua spalla e si rilassò meglio sul materasso, il respiro accelerato.
Rimase in quella posizione per qualche secondo, con gli occhi chiusi.
«Sento il tuo odore fin da qua» disse, poi, tornando a guardarla.
Ees si lasciò cadere accanto a lui. «Non so nemmeno se sia normale».
Vran si alzò a sedere, le succhiò un capezzolo e ascoltò divertito il suo gemito di piacere.
«Colazione» disse, aprendo le tende del baldacchino. Si allungò fino al vassoio che aveva lasciato la cameriera e lo portò all’interno, appoggiandolo sulle lenzuola.
«Un po’ di tè?» chiese, beffardamente educato, passandole la tazza.
Ees bevve un sorso, prima di riappoggiarla sul vassoio.
«No? Una fettina di torta, allora...» disse lui, tendendogliela. Ees la mangiò dalle sue mani e, quando ebbe finito, gli leccò le dita. Vran sorseggiò il suo tè, osservandola, nella penombra.
«Non lo so, se è normale. È normale che a cinquantuno anni io abbia voglia di infilarti dentro la punta di questo croissant per poi mangiarlo insaporito da te? In soli due giorni hai fatto di me un decadente, tesoro».
Ees chiuse gli occhi per un paio di secondi, cercando di calmare il proprio respiro.
«Al diavolo» borbottò lui, spostando il vassoio sul pavimento. «Mangeremo più tardi».
Si allungò verso di lei e le succhiò un seno, stringendolo con una mano. Aprì le tende su un lato del letto, facendo entrare la luce. «E voglio pure vederti bene» specificò. «Fammi vedere».
Ees si allungò sulle sue cosce. I raggi del sole accarezzarono la sua pelle chiara. Vran le massaggiò entrambi i seni, titillandole i capezzoli. Lei gemette, inarcandosi.
Le mani di Vran scesero lungo il suo stomaco e la stuzzicò con un dito sul famoso bottone.
«Come... si chiama... quello?» ansimò lei.
Lui le rivolse un sorriso veloce. «Non hai uno dei tuoi nomi molto educati, tipo “virilità” o “femminilità”?».
«Bottone... di emergenza».
Lui rise sottovoce. «Carino. Be’, si chiama clitoride. Alcuni lo chiamano “grilletto”. Tutto qua».
Ees sospirò e si tese verso la sua mano.
«Abbiamo detto che devi urlare, giusto?».
«Sto... già... per urlare» ansimò lei.
Vran afferrò il suo clitoride tra pollice e indice e lo strizzò leggermente. «Sì?».
Ees emise un breve grido di piacere. Era come essere attraversata da una scossa. Era piacere puro. I suoi umori le colavano sulle cosce e tra le natiche.
Senza lasciarle il clitoride, Vran la penetrò con due dita dell’altra mano, per poi ritrarsi subito. Tutto quello che pensò Ees fu “ancora”. Poi lo sussurrò. «Ancora» chiese.
«È naturale» la rassicurò l’altro, tornando a penetrarla.
Uscì di nuovo e iniziò ad accarezzarla dietro. Ees non aveva un nome educato nemmeno per quella parte. Era il buco del suo sedere, semplicemente.
«Alcuni lo chiamano “rosa”» disse Vran, come leggendole nel pensiero. Poi, lentamente, ci infilò dentro un dito. Ees urlò di nuovo. Non era del tutto gradevole, ma, in realtà, diventava più gradevole di secondo in secondo, una volta che il dito era entrato.
«Mh, sì, vieni qua. Mettiti a quattro zampe» disse lui.
Ees si rivoltò e fece come le diceva.
Vran seguì con la mano la curva della sua schiena, poi le appoggiò entrambi i palmi sopra le sue natiche e strinse. Lei si inarcò ancora di più, protendendo il sedere.
Non aveva la minima idea di che cosa volesse farle, ma a quel punto le andava bene qualsiasi cosa. Vran si allungò per strizzarle entrambi i seni, mettendosi in ginocchio dietro di lei. Anche Ees si alzò in ginocchio, in modo che le mani di lui potessero arrivare dove volevano. La massaggiò ancora sui seni, poi le stuzzicò i capezzoli. Si sentiva le cosce e il sedere bagnati ed era sicura che sarebbe esplosa non appena lui le fosse entrato dentro.
Vran fece scivolare le mani sul suo stomaco e fino alla sua fica. Le titillò il clitoride finché lei non gemette forte. Poi la spinse verso il basso ed Ees si trovò di nuovo a quattro zampe, con lui dietro.
Sentì le sue mani sulle natiche, poi la sua lingua. Quelle mani le sue natiche le allargarono, tirandole verso i due lati, e la sua lingua dardeggiò attorno alla rosa del suo culetto, stuzzicandola e premendole contro.
Poco dopo, Ees sentì il cazzo dell’altro appoggiato nel senso della lunghezza tra le sue natiche.
Pensò che glielo avrebbe messo dentro al culo senza preavviso e si contrasse. Se la voleva sentire urlare, quello era un modo sicuro, considerando l’effetto che le aveva fatto un dito.
Invece fu proprio un dito a penetrarla in quella rosa e lo fece lentamente.
Ees si rese conto che ansimava così forte che probabilmente la stavano sentendo in tutto il palazzo. Le sembrava di essere vicina a esplodere.
«Vran...» ansimò.
Sentì la punta del suo cazzo posarsi sull’apertura della sua fica. Il dito dell’altro era ancora dentro di lei, che la martoriava in modo meraviglioso.
Vran le infilò dentro il glande e rimase fermo per qualche secondo. Ees provò a tendersi verso di lui, ma l’altro assecondò il suo movimento, senza entrare di un millimetro in più. In compenso, il suo dito restò fermo, entrandole nel culo fino alla nocca della mano.
Ees gridò e iniziò a tremare. «Per favore...» gemette.
Vran finì di infilarglielo dentro di colpo. Ees gridò di nuovo. Lui iniziò a muoversi velocemente, con forza. Ogni volta in cui entrava produceva una sorta di schiocco. Lei posò la testa sul lenzuolo, protendendosi ancora di più verso di lui. Vran la afferrò per la coscia con una mano, mentre l’altra restava tra le sue natiche, con un dito dentro di lei.
Il suo cazzo entrava e usciva dalla sua fica dandole dei colpi secchi e forti.
Ees, ormai accartocciata su se stessa, gridò e gemette, mentre veniva scossa dal piacere. Sentì come una contrazione correre dalla propria fica al proprio buco del culo, fino al clitoride, riverberando fino ai seni, che avevano i capezzoli duri ed eretti come non mai.
Tremò e ansimò, completamente piena del cazzo dell’altro, contraendosi attorno a lui.
Anche Vran emise una specie di grido, mentre si liberava dentro di lei. Sfilò il dito e diede ancora un paio di colpi, appoggiandosi poi sulle sue natiche.
Sentì la sua lingua che le leccava la schiena. Poi uscì da dentro di lei, la afferrò per le caviglie, le chiuse le gambe e la rivoltò su un lato. Si lasciò cadere sul letto accanto a lei, grondante di sudore.
Ees lo guardò con gli occhi socchiusi, appagata.
Lui si tirò indietro i capelli. La barba gli era cresciuta, dalla sera precedente, e ora aveva il mento ispido di peli in parte scuri e in parte argentati.
«Non ho più l’età per certi tour de force, cara ragazzina» sorrise lui, posandole una mano su una tetta.
«Non si direbbe» rispose lei.
Vran sbuffò. «Per inciso, se potessi evitare di raccontare proprio tutto alla tua dama di compagnia sarebbe apprezzato».
Ees sbatté le palpebre, poi si strinse nelle spalle. «Se vuoi. Pensi che ci sia qualcuno in questo palazzo che ha ancora dei dubbi su che cosa abbiamo fatto questa mattina?».
Lui sbuffò di nuovo. «Dirò che ti ho torturata».
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Quando Ees tornò nelle sue stanze, trovò Rosemar che camminava avanti a indietro. Sembrava in preda all’ansia.
Ees era profumata per il bagno che aveva appena fatto e si sentiva pigra e rilassata. Per il pomeriggio aveva in programma solo qualche incontro con la nobiltà minore di palazzo.
«Ees!» esclamò Rosemar, vedendola e andando verso di lei. «Per tutti gli dei, stai bene?».
Ees inarcò le sopracciglia. «Benissimo, perché?».
«Le cameriere mi hanno riferito...». Si interruppe, aggrottando la fronte. Poi sorrise, sospirò e si lasciò cadere su una poltroncina. «Oh, non ci pensare. Stupida io ad ascoltarle. Mi hanno detto che ti hanno sentita urlare e che eri... be’, con il principe».
Si sedette anche Ees, molto compostamente. «Potrebbero anche avere ragione» disse.
L’altra la guardò con espressione confusa.
«Va tutto bene» chiarì Ees. «Va tutto molto bene, questa mattina, anche se non si può dire che io stia facendo progressi nel capire mio marito. Mi tiene impegnata, ma non con il regno».
«Sembri soddisfatta» notò Rosemar.
Ees lasciò vagare lo sguardo sulla camera luminosa e ben arredata che costituiva il salotto del suo appartamento.
«A rigor di logica non dovrei esserla. Yvonne sosteneva che il ruolo di una consorte reale si svolgesse per lo più nei salotti, non nel letto di suo marito, e credo che avesse ragione. Nello stesso tempo, quando sono nel suo letto mi dimentico più o meno tutti gli insegnamenti della mia istitutrice».
Rosemar socchiuse gli occhi. «Sembra immorale» disse. «Raccontamelo subito».
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Quella sera Vran non la mandò a chiamare. Spedì il suo valletto a informarla che sarebbe rimasto alzato fino a tardi e che si sarebbero visti il giorno dopo. Seguivano scuse formali.
Ees si chiese che cosa potesse trattenerlo al lavoro e se non fosse solo una scusa per non incontrarla.
Se non la era, poteva trattarsi di qualcosa di serio.
Il problema era che non conosceva affatto Vran e le sue abitudini. Non sapeva se fosse normale che lavorasse fino a notte fonda o se fosse il segno che qualcosa di grave era successo nel regno.
Nessuno parlava di politica con lei. Sembravano ritenerla troppo in alto per essere disturbata con dettagli simili. O, forse, obbedivano a delle precise direttive di suo marito. Non aveva modo di saperlo.
Se non voleva vederla e il lavoro era solo una scusa, tuttavia, sapeva perché. Più tempo passavano insieme più tra loro si creava un legame. Non conosceva Vran, ma aveva l’impressione che fosse il tipo d’uomo che sospetta dei legami.
Accantonò il pensiero. In fondo, non aveva molto senso continuare a pensarci.
Chiamò una cameriera e si fece aiutare a indossare i vestiti per la notte.
Doveva ammettere di non aver aspettato la chiamata di suo marito solo per motivi legati al suo ruolo. Aveva pregustato il momento in cui le sue mani l’avrebbero toccata. Aveva pregustato il piacere.