1. Ricevimento in casa del vecchio Jolyon-3

2538 Words
June diede la mano a ognuno dei suoi tre vecchi zii e si girò verso la zia Ann. Sul viso di questa si era dipinta una espressione dolcissima: baciò sulle guance la ragazza con tremante partecipazione. «Bene, piccola!» disse. «Quindi te ne vai per tutto un mese?». La ragazza si allontanò e la zia Ann l'accompagnò con lo sguardo. I suoi occhi rotondi, grigio d'acciaio, sui quali cominciava a scendere una macchia simile alla palpebra di un uccello, seguivano la figura esile della nipote attraverso i gruppi già in movimento, perché i commiati erano già cominciati. Nello stesso momento congiungeva le mani e, premendo le une sulle altre le punte delle dita, sembrava ricaricare così la propria volontà contro il grande improrogabile distacco. «Sì» pensava, «tutti sono stati molto gentili. Quanta gente è venuta a complimentarsi con lei. Deve essere molto felice!». Di quella ressa che si accalcava davanti alla porta, una parata di gente ben vestita che raccontava di famiglie di avvocati, di medici, di finanzieri, insomma tutto ciò che eccelleva nelle numerose carriere dell'alta borghesia, i Forsyte non erano che il venti per cento; ma per la zia Ann erano tutti Forsyte, e d'altra parte non c'era tanta differenza fra gli uni e gli altri. Lei non vedeva che quelli che le assomigliavano. Quella famiglia era il suo universo, probabilmente l'unico che avesse mai conosciuto: tutti i loro piccoli segreti, le malattie, i fidanzamenti, i matrimoni, i loro avanzamenti e i loro guadagni: tutto ciò costituiva la proprietà della zia Ann e anche la sua felicità e la sua esistenza; oltre questo per lei non c'era che un'oscura e indistinta nebbia di fatti e di persone senza effettiva consistenza. Questo universo avrebbe dovuto abbandonarlo, il giorno in cui avrebbe dovuto morire. Questo le dava importanza, la segreta importanza davanti a noi stessi, senza la quale nessuno di noi può sopportare l'esistenza. Si aggrappava a questo con un'apprensione e con un'avidità ogni giorno più grandi. Certo, la vita le sfuggiva piano piano ma almeno questo avrebbe potuto tenerlo per sé fino alla fine. Pensava al giovane Jolyon, il padre di June, che era scappato con una straniera. Che colpo era stato per Jolyon e per tutti. Un ragazzo che prometteva così bene. Che colpo, anche se non ci fu un pubblico scandalo: per fortuna la moglie di Jolyon non aveva chiesto il divorzio. Era passato tanto tempo. E otto anni prima, quando la madre di June era morta, Jolyon aveva sposato quella donna e aveva avuto due figli, almeno così si raccontava. Ma lui aveva perso per sempre il diritto di essere lì; e per colpa sua Ann non si poteva riposare nel pieno del suo orgoglio familiare. Lui le aveva tolto la legittima soddisfazione di vederlo e baciarlo, proprio lui che prometteva così bene, che la rendeva una volta così fiera. Era un pensiero che si faceva sempre più amaro di un'offesa sopportata a lungo nel suo vecchio cuore tenace. Qualche lacrima le inumidì gli occhi. Le asciugò senza farsi accorgere con un prezioso fazzoletto di lino. «Bene, zia Ann» disse una voce dietro di lei. Soames Forsyte, il viso tutto sbarbato, le guance piatte, le spalle piatte, la vita piatta, e tuttavia con qualcosa di sfuggente e di strano in tutta la persona, gettava sulla zia Ann uno sguardo di sbieco, come se provasse a guardare attraverso il suo stesso naso. «Che cosa ne pensate di questo matrimonio?». Gli occhi della zia Ann si posavano orgogliosi su di lui. Dato che il giovane Jolyon aveva abbandonato la cerchia famigliare, lui era il più grande dei nipoti, il prediletto: in lui vedeva un sicuro custode dello spirito familiare, del quale presto avrebbe dovuto abbandonare la tutela. «Il ragazzo è stato fortunato» rispose. «Del resto è un bel tipo. Mi chiedo solo se è proprio il fidanzato giusto per June». Soames toccava i contorni di un lampadario dorato. «Lo addomesticherà», disse, e quasi di nascosto si bagnò un dito per passarlo sul rigonfiamento del lampadario. «Doratura antica originale. Non se ne trovano più. All'asta, da Jobson, sarebbe un bell'affare». Metteva nelle sue parole un certo trasporto, come, se le pensasse a riconfortare la vecchia zia con questi discorsi. Si mostrava tanto incline alle confidenze solo poche volte. «Non mi dispiacerebbe fosse mio, questo lampadario», disse, «una doratura così la si vende per ciò che si vuole». «Ti intendi molto di queste cose» disse la zia Ann. «E come sta Irene? Il sorriso di Soames svanì all'improvviso. «Non c'è male. Si lamenta di non riuscire a dormire. Ma dorme sempre meglio di me, questo è certo». E guardò sua moglie, che parlava con Bosinney vicino alla porta. La zia Ann sospirò e disse: «per Irene forse non sarà un male avere meno contatti con June. Lei è così esagerata, assolutista...». Soames arrossì: in quei momenti il sangue gli attraversava rapido le guance piatte e si fissava e fermava fra le sopracciglia, come a rivelare i suoi pensieri tormentati. «Non so che cosa l'attiri in quella mezza matta» disse ad un tratto, prorompendo. Ma subito dopo, accorgendosi di non essere più solo con la zia, si girò e riprese a esaminare il lampadario. «Mi dicono che Jolyon, di recente, ha anche comperato una casa» diceva non distante la voce di suo padre. «Bisogna proprio che abbia soldi, bisogna che ne abbia abbastanza da non sapere che cosa farne. Sembra sia a Montpellier Square, molto vicina alla casa di Soames. Io non ne sapevo niente. Irene non mi dice mai niente!». «È una posizione eccellente, a due minuti da casa mia», riprese la voce di Swithin, «e da casa mia, in carrozza, arrivo al club in otto minuti». Non ci si deve stupire che la posizione delle loro case fosse per i Forsyte di capitale importanza: in fondo tutta la filosofia del loro successo è riassunta in questo concetto. Da un generazione di fittavoli, il loro padre era arrivato dal Dorsetshire al principio del secolo. Da muratore era diventato imprenditore. Verso la fine della sua vita si era stabilito a Londra, dove, dopo avere costruito fino all'ultimo giorno, venne sepolto nel cimitero di Highgate. Un'eredità di trentamila sterline da dividere fra i suoi dieci figli era stato il suo lascito. Il vecchio Jolyon di lui diceva: «un uomo duro dalla pelle dura: ben poco raffinato». La seconda generazione dei Forsyte sentiva che quell'uomo non faceva loro molto onore. L'unico “tratto aristocratico” che gli apparteneva, se così si poteva dire, era il vizio di bere Madera. La zia Hester, che per la storia della famiglia era un libro stampato, parlava così di lui: «non ricordo di averlo mai visto fare qualcosa; a miei tempi, almeno, non faceva più niente. Era... un proprietario... ecco, un proprietario di case. Aveva i capelli più o meno del colore di Swithin, due belle spalle quadrate. Se era alto? Non molto... aveva un bel colorito vivace. Ricordo che beveva spesso Madera. Prova a chiedere di lui alla zia Ann. Che cosa faceva nostro padre? Beh!.. si occupava di terreni nel Dorsetshire, sulla costa...». Una volta James aveva voluto rendersi conto di persona di quali fossero i loro luoghi d'origine. Aveva scovato due vecchie masserie, una strada appena transitabile, con due profonde rotaie nella terra rossa, che portava a un mulino vicina alla spiaggia. Poi una chiesetta grigia i cui muri all'esterno erano puntellati. E una cappella, ancora più piccola e più grigia. Il fiume che alimentava il molino si apriva in una dozzina di ruscelletti bianchi di spuma, e intorno a questo delta si aggiravano alcuni maiali in cerca di cibo. Un po' di nebbia si posava sul paesaggio. In quel buco, di domenica in domenica, durante interminabili centinaia di anni, i primi Forsyte non avevano chiesto di meglio che passeggiare con i piedi nel fango e con la faccia rivolta al mare. «Non c'è molto da tirarci fuori» disse James. «Una piccola terra, vecchia come il tempo!». Era una consolazione, questo suo essere antica. Il vecchio Jolyon, che qualche volta era invincibilmente sincero, diceva dei suoi antenati: «Erano degli yeomen3, gente di poco conto, immagino». Però ripeteva la parola yeomen come se la cosa lo confortasse. Questi Forsyte avevano così ben guidato la loro barca che ora godevano tutti, come si dice, di “una certa posizione”. Avevano azioni in ogni tipo di impresa, ma non ancora, tolto Timothy, in titoli di Stato, perché sopra ogni cosa avevano in orrore collocare denaro al tre per cento di interesse. Inoltre collezionavano quadri e sovvenzionavano gli istituti di beneficenza che avrebbero potuto essere utili ai loro domestici nel caso si ammalassero. Dal padre muratore avevano ereditato una speciale abilità nel maneggiare mattoni e calce. In origine, forse, avevano fatto parte di qualche setta religiosa, semplicemente, con ingenuità. Ora, seguendo il corso regolare delle cose, erano membri della Chiesa Anglicana e mandavano regolarmente le mogli e i figli nelle chiese alla moda della capitale. Un dubbio sulla autenticità della loro fede li avrebbe sorpresi. Tra di loro qualcuno pagava per avere in chiesa un posto riservato: esprimeva così nel modo più pratico la simpatia per gli insegnamenti di Gesù. Le loro abitazioni erano disposte a distanze regolari attorno al Parco. Il vecchio Jolyon a Stanhope Gate, a Park Lane tutti i James, Swithin abitava a Hyde Park Mansions, nello splendore solitario di un appartamento azzurro e arancio, non si era mai sposato... cosa insopportabile, i Soames avevano il loro rifugio vicino a Knightsbridge, i Roger stavano a Prince's Gardens. (Roger era quel Forsyte, l'unico, che aveva concepito, e ottenuto, di avviare i suoi quattro figli a una professione diversa): «comprate e amministrate case: non c'è un affare migliore da fare» diceva volentieri. «non ho fatto altro, io!». Poi la famiglia Hayman. La signora Hayman era la sola madre di famiglia fra le sorelle Forsyte, in una casa sulla cima, a Campden Hill, una casa eccentrica e fuori da ogni schema, assomigliava a una giraffa e bisognava rompersi il collo solo per vederne il tetto. Poi la famiglia di Nicholas che abitava a Ladbroke Grove, una casa grande, e poi l'ultimo, non il minore, Timothy, che stava a Bayswater Road dove vivevano, sotto la sua ala protettrice, anche Ann, Juley e Hester. Nel frattempo James, dopo avere meditato a lungo, stava chiedendo a suo fratello e al suo ospite quanto avesse speso per la nuova casa a Montpellier Square. Da due anni anche lui aveva adocchiato una casa che si trovava da quelle parti, ma era così costosa. Il vecchio Jolyon raccontò i particolari del suo acquisto. «Un contratto d'acquisto a rate di ventidue anni!» ripeté James. «È proprio la casa che avevo visto: e tu l'hai pagata un'esagerazione!». Jolyon il vecchio aggrottò le sopracciglia. «Non sono invidioso» proseguì veloce James. «La casa non era conveniente a quel prezzo. Soames la conosce. Bene, lui ti dirà che l'hai pagata troppo e la sua opinione non è senza importanza». «Di quello che pensa lui non me ne importa niente» disse il vecchio Jolyon. «Come vuoi» borbottò James, «ma è un punto di vista serio. Arrivederci. Noi ce ne andiamo a Hurlingham. Mi hanno detto che June parte per il Galles... tu sarai un po' solo domani. Che vuoi fare? Dovresti venire a pranzo da noi!». Il vecchio Jolyon rifiutò e accompagnò James scendendo fino all'ingresso. Aveva già dimenticato il suo spleen e nei suoi occhi ora passava un sorrisetto malizioso: aveva visto, in fondo alla vettura, la signora James grossa e maestosa con i capelli castani, alla sua sinistra Irene, e davanti i due mariti, padre e figlio, curvi come se si aspettassero qualcosa. Jolyon li guardò allontanarsi in un raggio di sole, mentre dondolavano sui cuscini elastici, silenziosi, sballottati a ogni movimento del veicolo. Durante il tragitto la signora James ruppe il silenzio: «Avete mai visto una parata di gente così provinciale? Soames la guardò da sotto le palpebre, approvò con la testa e vide Irene che gli faceva uno dei suoi sguardi incomprensibili e oscuri. È probabile che ogni rampollo della famiglia Forsyte abbia fatto la stessa osservazione tornando dal ricevimenti del vecchio Jolyon. Il quarto e il quinto fratello, Nicholas e Roger, che erano partiti con gli ultimi invitati, fiancheggiarono insieme Hyde Park per arrivare alla stazione della metropolitana. Avevano la loro vettura e non prendevano mai un fiacre, come tutti i Forsyte, a partire da una certa età. La giornata era bella: gli alberi del parco esplodevano nel loro fogliame di metà giugno; ma i due fratelli non sembravano accorgersi di questi fenomeni esteriori che contribuivano comunque a rendere allegra la loro passeggiata e la loro conversazione. «Sì» diceva Roger, «è bella la moglie di Soames. Si dice che tra loro non ci sia tranquillità». Roger aveva la fronte alta e la pelle più bianca di ogni altro Forsyte. I suoi occhi, grigio chiaro, misuravano, passando, le facciate delle case che ogni tanto lui prendeva di mira con l'ombrello per fare una valutazione delle diverse altezze. «Non aveva un soldo» rispose Nicholas. Lui aveva sposato una donna molto ricca, nell'età dell'oro in cui non esisteva ancora la legge sui beni delle donne sposate. Di conseguenza aveva potuto usare la dote di sua moglie e nel modo migliore. «Che cosa faceva suo padre?». «Era un professore, mi hanno detto. Si chiamava Heron». Roger scosse la testa. «Niente soldi...» disse. «Si dice che il nonno materno trafficasse in cemento». Il volto di Roger si rischiarò. «Ma è fallito» proseguì Nicholas. «Ah!» gridò Roger. «Soames avrà dei problemi con lei, mi capisci, avrà dei dispiaceri. Quella donna ha un'aria straniata». Nicholas si leccò le labbra. «È una bella donna», disse, allontanando da sé con la mano uno spazzino. «Com'è che si sono sposati?» chiese Roger un momento dopo. «Lei è elegantissima e deve anche costargli molto». «Ann mi dice che Soames è impazzito per lei e che lei lo ha rifiutato cinque volte. Se si parla di questo James diventa subito nervoso, si vede benissimo». «Certo» riprese Roger, «compiango James, ha già avuto problemi con Dartie». Il suo incarnato fresco si era ancora più ravvivato camminando. Sempre più spesso si portava l'ombrello all'altezza dell'occhio. E anche sul viso di Nicholas si scorgeva un'espressione gradevole. «Troppo pallida per i miei gusti» disse, «ma ha un corpo meraviglioso». Roger non disse nulla. «Per me ha un'aria distinta» disse un attimo dopo. (Nel vocabolario dei Forsyte era un complimento tra i più grandi). «Quel Bosinney non avrà mai una posizione di rispetto, da Burkitt si dice che è uno di quei sognatori del genere artista. Pensa di cambiare l'architettura inglese. Ma con questo non guadagnerà un centesimo. Mi piacerebbe sapere che ne pensa Timothy». Erano arrivati alla stazione. «Che classe prendi? Io la seconda». «Io no» disse Nicholas. «Non si sa mai quale accidente si può prendere in seconda». Prese un biglietto di prima per Notting Hill Gate, Roger un biglietto di seconda per South Kensington. Un minuto dopo, all'arrivo del treno, i due fratelli si separarono per entrare nei rispettivi scompartimenti. Ognuno dei due si sentiva offeso dal fatto che l'altro non avesse sacrificato le sue abitudini per rimanere di più con lui. Roger pensava: «È un testardo, Nick!» E Nicholas diceva tra sé: «Sempre maleducato, Roger!»
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