1. Ricevimento in casa del vecchio Jolyon-2

2038 Words
Ora la storia del cappello bastava da sola a giustificare il disagio dei Forsyte. Non sentire un tale imbarazzo sarebbe stato un cattivo segno per una famiglia nella quale sopravviveva fortunatamente quel culto delle apparenze che deve sempre distinguere l'alta borghesia. E d'altra parte sarebbe stato impossibile. Il colpevole era in piedi accanto alla porta, in fondo, e parlava con June. Con i suoi capelli mossi e disordinati sembrava capisse di essere in un posto insolito. E sembrava anche si divertisse fra sé e sé. George disse piano al fratello Eustace: «Mi pare uno che potrebbe benissimo togliersi di torno, quell'indomabile filibustiere!». Quest'uomo di stranissimo aspetto, come più tardi avrebbe detto la zia Juley, era alto nella media ma era robusto. Viso pallido e bruno, baffi scuri, zigomi rilevati e guance affilate. La fronte correva come in discesa verso la cima della testa ma sopra gli occhi si apriva ad arco, dando l'impressione di quelle fronti che si vedono nella gabbia dei leoni allo zoo. Aveva le pupille di un bruno liquido e dorato e lo sguardo era così distratto, qualche volta, da apparire sconcertante. Il cocchiere del vecchio Jolyon, dopo avere accompagnato June e Bosinney al teatro, aveva detto al maggiordomo, al suo ritorno: «Non so cosa pensare. Mi sembra un leopardo non del tutto addomesticato». Ogni tanto un Forsyte si avvicinava alla porta dove i fidanzati parlavano, girava lì attorno e guardava con aria noncurante Bosinney. June si protendeva un po' in avanti come per respingere quella curiosità fuori luogo. Era una creatura piccola e vulnerabile, «una vampata di capelli e energia» dicevano di lei, con gli occhi azzurri senza paura e una mascella disegnata con fermezza, un incarnato luminoso. Quel viso e quel corpo apparivano troppo minuti per la corona di luce della sua grande treccia di oro rosso. In piedi, non molto lontana da loro, c'era una donna alta, dai bei lineamenti, che un membro della famiglia aveva un giorno paragonato a una dea pagana. Guardava i fidanzati e sorrideva con un'ombra di tristezza nello sguardo. Teneva le sue mani inguantate di grigio incrociate l'una sull'altra, il viso serio e delizioso era chinato da una parte e attirava su di sé le occhiate di tutti gli uomini. Il suo corpo, così flessuoso, era armonico e leggero che sembrava muoversi al movimento stesso dell'aria. Il colore delle guance era un po' pallido ma caldo. Una dolcezza vellutata appariva nei suoi occhi grandi e scuri. E le sue labbra, le sue labbra che domandavano o rispondevano con quel sorriso velato da un'ombra, erano quelle che trattenevano gli sguardi degli uomini. Labbra sensibili, tenere e delicate, dalle quali come da un fiore sembravano diffondersi calore e profumo. I fidanzati, che lei osservava, non sentivano la presenza di quella divinità passiva. Bosinney fu il primo a notarla e ne chiese il nome. June accompagnò il fidanzato dalla bella donna. «Irene è la mia inseparabile amica» disse. «Vi prego, entrambi, di diventare buoni amici». Quando la ragazza diede quest'ordine, tutti e tre sorrisero; e mentre sorridevano, Soames Forsyte apparve in silenzio accanto alla bella donna della quale era il marito e disse: «Ah... presentatemi!». Era raro vederlo lontano da Irene durante un incontro, e anche quando la conversazione lo allontanava da lei, lui la seguiva con lo sguardo e i suoi occhi avevano una strana espressione di controllo misto a desiderio. Alla finestra, James, suo padre, controllava sempre la marca del ninnolo di porcellana. «Mi stupisce che Jolyon abbia consentito questo fidanzamento», diceva alla zia Ann. «Mi dicono che non hanno alcuna possibilità di sposarsi prima di anni. Questo Bosinney...». Pronunciava il cognome come fosse un dattilo, nonostante di solito se ne pronunciasse il Bo corto. «Non possiede niente. Quando Dartie ha sposato Winifred, ho preteso che lui intestasse tutto a sua moglie: è stata una fortuna. Perché a quest'ora non avrebbe più un quattrino!». Comoda nella sua poltrona di velluto, la zia Ann rialzò la testa. Alcuni ciuffi di capelli grigi le coprivano la fronte. Uguali da molte decine di anni, avevano eliminato nella famiglia la sensazione del trascorrere del tempo. Non disse niente, perché parlava di rado e trattava con ogni riguardo la sua vecchia voce; ma per James, che non aveva la coscienza a posto, il suo sguardo significava una risposta. «Per quanto mi riguarda, è vero che Irene non aveva soldi, ma non ci potevo fare nulla. Soames si era così innamorato... Mentre la corteggiava era molto dimagrito». Posando di malumore sul pianoforte la tazza di porcellana, lasciò girare il suo sguardo fino al gruppo che si trovava vicino alla porta. «Penso», disse improvvisamente, «che la cosa non sia più così messa male». La zia Ann non gli chiese di spiegare questa strana affermazione: conosceva i suoi pensieri. Dato che Irene non aveva soldi, non sarebbe stata così stupida da dimenticare i propri doveri coniugali... Dato che si diceva, e si diceva, che Irene avesse chiesto di dormire in camere separate; ma Soames, era chiaro, non aveva... James interruppe la sua meditazione: «Dov'è Timothy? Non è venuto qui con voi?». Un tenero sorriso aprì le labbra strette della zia Ann. «No, Timothy ha pensato che fosse meglio e più prudente non venire, con tutta la difterite2 che c'è in giro. È così facile per lui ammalarsi». James rispose: «Bene, ecco finalmente uno che si sa curare. Io non posso prendermi il lusso di curarmi così bene». E non era comprensibile se in questa osservazione ci fosse più ammirazione, invidia o disprezzo. Timothy lo si vedeva raramente. Il cocco della famiglia, che faceva l'editore, aveva intuito qualche anno prima, in piena espansione economica, la crisi che in effetti non era ancora avvenuta ma che, secondo l'opinione comune, era inevitabile. Così aveva venduto la sua quota della casa editrice che pubblicava in particolare libri didattici e aveva collocato il grosso profitto dell'operazione in titoli di Stato. Facendo questo si era ritagliato un posto a parte in famiglia, perché ogni altro Forsyte per il proprio denaro voleva il quattro per cento; e questo suo isolamento, con azione lenta ma sicura, aveva impigrito l'energia di uno spirito fin troppo cauto. Così Timothy era diventato una specie di mito, l'incarnazione del bisogno di sicurezza, sempre sullo sfondo dell'universo Forsyte. James, picchiettando sulla tazza di porcellana, riprese a parlare: «Questo non è vero Worcester originale. Immagino che Jolyon ti abbia detto qualcosa del ragazzo, giusto? Per quanto mi riguarda, tutto quello che so è che non lavora, non è ricco, non ha una famiglia di cui valga la pena parlare, ma dopo tutto non so niente... nessuno mi dice mai niente». La zia Ann scosse la testa. Un tremito passò sul suo vecchio viso dai lineamenti aquilini e dal mento quadrato, le sue dita simili alle zampe di un ragno si premevano e si intrecciavano fra di loro, come se così facendo lei riuscisse misteriosamente a rigenerare la propria forza di volontà. Più vecchia, di molto, degli altri Forsyte, godeva fra di loro di una posizione speciale. Tutti opportunisti, tutti individualisti, senza esserlo, comunque, più dei loro vicini, i Forsyte traballavano davanti al viso senza ombre di lei, e quando le occasioni propizie di peccato contro lo spirito della famiglia diventavano una tentazione, tutti tentavano, nascondendosi, di sfuggirla. Attorcigliando le gambe lunghe e magre, James proseguiva: «Jolyon non sente nessuno. Non ha figli...». Si bloccò, ricordandosi che il figlio del vecchio Jolyon era ancora vivo, era il padre di June, il giovane Jolyon, che aveva venduto la sua vita per poco e che era caduto dalla dignità della casta il giorno in cui aveva abbandonato la moglie e la figlia per fuggire con una governante straniera. «Bene» riprese subito in fretta, «se fare cose del genere a lui dà piacere, suppongo che avrà i suoi motivi. Vediamo, che dote le potrà dare... Una rendita di mille sterline, immagino; non ha altre persone alle quali lasciare i suoi soldi». A questo punto allungò la mano per stringere quella di un uomo minuto, pulito e sbarbato, quasi calvo, con un lungo naso, le labbra piene, gli occhi gelidi e grigi sotto le sopracciglia rettangolari. «Ma guarda, Nick!» bofonchiò James. «Come ti va?». Nicholas Forsyte, con la sua velocità da volatile e la sua aria da studentello incredibilmente saggio, aveva avuto molto successo, con metodi ortodossi, nelle aziende delle quali era direttore, mise nella mano fredda di James la punta delle sue dita ancora più gelide e subito le ritrasse. «Non sto molto bene», rispose con una smorfia. «Non riesco a dormire. È una settimana che va avanti così e il mio dottore non sa spiegarmi perché. È un tipo intelligente, altrimenti non l'avrei preso, ma non riesco a fargli dire niente altro che la cifra dell'onorario». James, entrando con vivacità nell'argomento, disse: «ho avuto a che fare con tutti i medici di Londra. Non servono a nulla, mai, qualunque cosa ti dicano. Prendiamo Swithin, per esempio. A lui dottori che bene hanno fatto? Guardatelo un po', è più grasso che mai, è quasi enorme. Non sono stati capaci di fargli perdere una grammo di peso. Guardatelo!» Swithin Forsyte, più largo che alto, quadrato, con il petto convesso come quello di un grosso piccione, si avvicinò pavoneggiandosi nelle piume dei suoi incredibili panciotti. «Come va?» disse con il suo tono più chic. «Come va?». Ognuno dei fratelli, guardando gli altri due, aveva un'espressione di molestia, perché sapeva già che non gli sarebbe stato permesso essere più malato di loro. «Stavamo proprio dicendo», rispose James, «che tu sei sempre uguale, non dimagrisci». Gli occhi rotondi e pallidi di Swithin diventarono sporgenti, nel tentativo di capire. «Cosa? Io non dimagrisco? Per forza sono così di costituzione», disse protendendo un po' la testa, «non sono mica un paletto come sei tu». E poi, temendo di diminuire la bellezza della convessità del suo petto, si raddrizzò e restò immobile: il portamento distinto era per lui un valore al di sopra di tutto. La zia Ann li guardava, ora uno e ora l'altro, con il suo vecchio sguardo, con un'espressione severa ma piena di comprensione. I tre fratelli, a loro volta, guardavano Ann. Lei cominciava a sembrare più debole. Ma era una donna incredibile. Aveva ottantasei anni suonati, poteva viverne ancora dieci, e non era mai stata molto bene di salute. Swithin e James, i due gemelli, non avevano che settantacinque anni; Nicholas settanta, era un ragazzo. Tutti erano di buona costituzione e la vista di zia Ann non poteva perciò che incoraggiarli. Ovviamente, di tutte le proprietà, quella che a loro stava più a cuore era la propria salute. «Per quel che mi riguarda, sto molto bene fisicamente», cominciò James, «ma sono i nervi che non vanno... Ogni minimo fastidio mi inquieta a morte... Dovrò andare a Bath». «A Bath!» disse Nicholas. «lo sono stato a Harrogate. Non serve a niente. Per me è necessario il mare. Niente è utile come Yarmouth. Quando sono là almeno dormo». «Il mio fegato è in condizioni pietose», interruppe Swithin a voce bassa. «Sento un male terribile in questo punto». E portò la mano a destra. «Fai poco movimento», borbottò James, con gli occhi fissi sulla tazza di porcellana; e subito dopo aggiunse: «Anche a me fa male in quel punto». Swithin arrossì, tanto che sul suo vecchio volto passo un'espressione molto rassomigliante a quella di un tacchino. «Movimento!» disse; «ma io ne faccio tanto. Al club non prendo mai l'ascensore». «Non lo sapevo», disse James in fretta. «Io non so niente su nessuno; nessuno mi dice mai niente». Swithin lo fissò sgranando gli occhi e gli chiese: «Tu che cosa fai, quando senti un dolore da qualche parte?». I lineamenti di James si rischiarano. «Per quel che mi riguarda», disse cominciando, «prendo una precauzione...». «Come state, zio?». June era davanti a lui con la mano tesa, e alzava la sua testa decisa verso di lui, che era molto più alto. Quell'aria di soddisfazione si spense sul volto di James. «Come stai?» disse chinandosi su di lei con un'aria assorta. «Dunque domani vai in Galles? Vai a incontrare le zie del tuo ragazzo? Pioggia a non finire laggiù. Questo non è vero Worcester», e picchiettava ancora sulla tazza. «Il servizio che regalai a tua madre quando si è sposata era Worcester originale».
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