Chapter 6

1520 Words
L'atrio era rimasto esattamente lo stesso, come al tempo in cui andava a pranzare lì con Jack Herring, quando il club vantava lo chef migliore di Londra. Si guardò attorno con quello sguardo sperimentato e diretto, grazie al quale, in ogni tempo della sua vita, era stato servito meglio che la maggior parte degli altri uomini. «Il signor Jolyon Forsyte è sempre membro del club?». «Sissignore, anzi è proprio qui, adesso. Come si chiama, signore?». Il vecchio Jolyon fu preso alla sprovvista: «Ditegli che c'è suo padre». E, dopo avere detto questo, aspettò in piedi, con la schiena poggiata al caminetto. Il giovane Jolyon, che stava per ritornare a casa, s'era già messo il cappello e stava attraversando l'atrio, quando fu avvicinato dal portiere. Non era più giovane, i capelli cominciavano a essere grigi. Il viso, una copia attenuata di quello di suo padre, con gli stessi grandi baffi cadenti, pareva già molto segnato. Impallidì. Un incontro del genere era terribile, dopo tanti anni; non è forse fra le cose più terribili una scenata? I due si affrontarono e si strinsero la mano senza dire una parola. Poi il padre disse con una voce un po' tremante: «Come va, figlio mio?». Il figlio rispose: «E voi, papà, come state?». La mano del vecchio Jolyon tremava nel guanto sottile. «Se vai verso le mie parti» disse, «posso accompagnarti per un pezzo di strada». Come se avessero l'abitudine di accompagnarsi tutte le sere, uscirono e salirono in vettura. Il vecchio Jolyon ebbe l'impressione che suo figlio fosse cresciuto. «È più uomo» si disse. L'amabilità naturale alla fisionomia di Jo aveva assunto un'espressione leggermente ironica, come se le circostanze della vita lo avessero messo nella condizioni di difendersi. I suoi lineamenti erano proprio quelli di un Forsyte, ma con uno sguardo piuttosto introverso, come quello di un filosofo o di uno studioso. In quei quindici anni era stato indubbiamente obbligato a guardare molto in fondo a se stesso. Appena aveva visto suo padre era sussultato. Era così vecchio e stanco. Ma in vettura il vecchio sembrò appena cambiato. Aveva sempre quell'aria calma che Jo ricordava così bene e sempre lo stesso modo di tenersi diritto e lo stesso sguardo sicuro. «Vi vedo bene, papà». «Non c'è male», rispose il vecchio Jolyon. Era inquieto e sentiva il bisogno di esprimerlo: dopo avere ritrovato suo figlio ora era necessario sapesse in quale stato erano le sue finanze. «Jo, vorrei che mi dicessi come ti vanno gli affari. Hai dei debiti, immagino...». Disse così perché l'altro potesse confidarsi con minore disagio e timidezza. Jolyon il giovane rispose con la sua voce ironica: «No, debiti non ne ho!». L'altro capì che suo figlio era urtato e gli toccò la mano. Aveva corso il rischio, ma ne valeva la pena, e d'altra parte Jo non gli aveva mai serbato rancore. Senza più dire una parola, arrivarono a Stanhope Gate. Il vecchio Jolyon invitò suo figlio a entrare, ma lui scosse la testa. «June non c'è» disse velocemente il vecchio, «è partita oggi per una visita in campagna. Lo sai, non è vero, che si è fidanzata?». «Così presto?» mormorò Jo. Il vecchio Jolyon scese dalla vettura e per la prima volta in tutta la sua vita diede per sbaglio al cocchiere una sterlina invece di uno scellino. Il cocchiere si mise la moneta nell'angolo della bocca e, sornione, frustò subito il cavallo e se la filò. Il vecchio Jolyon fece girare pian piano la chiave nella serratura, aprì la porta e invitò silenziosamente suo figlio a entrare. Jo lo vide appendere il mantello con un'espressione seria e, allo stesso tempo, con l'aria di un bambino che stia per rubare delle ciliege. La porta della sala da pranzo era aperta, la luce abbassata; sopra un vassoio da tè il bricco sibilava e lì vicino un gatto di cinica fisionomia si era addormentato sul tavolino. Il vecchio Jolyon lo cacciò subito via. E dato che un tale incidente gli dava sollievo, continuò a spaventare l'animale sbattendo il suo gibus. «È pieno di pulci» disse inseguendolo fuori dalla stanza. E davanti alla scala che dall'ingresso scendeva nei sotterranei fece più volte: «Ssst! Ssst!» come per accelerare con questi richiami la fuga del gatto, finché, alla fine, per una strana coincidenza, apparve sui primi gradini il maggiordomo. «Potete andare a dormire, Parfitt» disse il vecchio Jolyon, «chiuderò io la porta e spegnerò». Mentre ritornava nella sala da pranzo, per sua disgrazia il gatto lo precedette con la coda diritta, affermando così che aveva capito subito tutta la manovra del padrone per allontanare il maggiordomo. Era una fatalità che si era sempre accanita contro i garbugli domestici del vecchio Jolyon. Jo non poté fare a meno di sorridere. Era molto esperto in ironia, e quella sera tutto gli appariva ironico: l'episodio del gatto e la notizia del fidanzamento di sua figlia: su di lei lui non aveva maggiori diritti che sul gatto. In questo c'era una giustizia che poteva essere capita da lui. «Adesso a chi assomiglia June?» chiese. «Dicono che assomigli a me... ma è una stupidaggine. Assomiglia a tua madre, ha gli stessi occhi e gli stessi capelli». «Ah! E... è bella?». Il vecchio Jolyon era troppo un Forsyte per fare un complimento diretto, anche e soprattutto a ciò che gli ispirava un ammirazione sincera. «Non è male, ha il mento di una vera Forsyte. Ci sarà molto vuoto qui, Jo, quando lei se ne sarà andata». L'espressione che passò sul suo viso fece sentire al figlio lo stesso sussulto provato al momento del loro incontro. «E voi, papà, che cosa farete? “L'altro” è tutto, per lei, non è vero?». «Che cosa farò io?» ripeté il vecchio Jolyon con un lampo di irritazione nella voce. «Non sarà certo una cosa piacevole vivere qui da solo: non so come andrà a finire. Darei non so che cosa...». Improvvisamente si fermò. E poi aggiunse: «La cosa da sapere è quello che potrò fare di questa casa». Il giovane Jolyon esplorò la stanza con lo sguardo. Era singolarmente grande e scura, decorata da grandi nature morte, ricordava di averle viste fin da bambino: cani addormentati che appoggiavano i musi sopra mazzi di carote e di cipolle e su grappoli d'uva. Quella casa era un vero “elefante bianco”, e tuttavia non poteva figurarsi per suo padre una casa più meschina: anche questo gli sembrava molto ironico. Così era lì, seduto nella sua poltrona a leggio, il vecchio Jolyon: rappresentante completo della sua famiglia, della sua classe, dei suoi credo. Personificazione dell'ordine, della moderazione e del senso di possesso: un vecchio. E la sua solitudine era così profonda che in tutta Londra non esisteva un uomo più solo di lui. Era seduto là, nell'ombra cupa della stanza, anche lui un burattino in mano alle grandi forze che non si curano di famiglie o di classi o di fedeli e che avanzano come automi, con movimento fatale, verso finalità incomprensibili. In quel momento questa era l'impressione del figlio che sapeva guardare le cose con un superiore distacco. Povero vecchio papà. Ecco qual era il suo capolinea, il fine verso il quale aveva diretto la sua vita con una così mirabile moderazione: restare solo e invecchiare giorno dopo giorno senza anima viva vicino che parlasse con lui. A sua volta il vecchio Jolyon guardò il figlio. Aveva da dirgli tante cose delle quali non aveva potuto parlare da anni e anni. Gli sarebbe stato impossibile, ad esempio, confidare davvero a June la convinzione che i terreni a Soho sarebbero cresciuti di valore. Oppure le sue inquietudini per lo straordinario silenzio di Pippin, il direttore della “Società delle Nuove Miniere” il cui Consiglio era stato per tanto tempo presieduto da lui. O ancora esaminare con lei come e con quale stratagemma avrebbe potuto evitare ai suoi eredi il p*******o delle tasse di successione. Stimolato da una tazza di tè che continuava a mescolare col cucchiaino, quasi soprapensiero, si mise alla fine a parlare. Gli si apriva un nuovo orizzonte esistenziale: speranze di conversazione, un rifugio nel quale, in ore di timore o di nostalgia, trovare il conforto oscuro di discorsi interminabili sul modo per aumentare i suoi guadagni e di rendere eterna la sola parte di sé che potesse continuare a sopravvivergli. Jo lo sapeva ascoltare, era il suo grande pregio. Teneva gli occhi fissi sul viso del padre e ogni tanto gli faceva una domanda. Il vecchio Jolyon non aveva finito di parlare quando il rintocco del pendolo lo richiamò ai suoi principi. Guardò il suo orologio con aria stupita. «Bisogna che vada a dormire» disse. Il giovane Jolyon si alzò e tese la mano a suo padre per aiutarlo. Il viso del vecchio gli apparve di nuovo stanco e incavato, mentre gli occhi rimanevano distanti e lontani. «Arrivederci, ragazzo mio, cerca di stare bene». Passò un attimo e Jo, girando sui tacchi, si diresse verso la porta. Ci vedeva appena, e aveva un sorriso tremolante. Da quando aveva scoperto, vent'anni prima, che la vita non è una cosa semplice, mai gli era apparsa complicata e strana come in quel momento.
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