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CAPITOLO DUE
Em era stanca, di quel tipo di stanchezza che la prendeva solo quando era in tour. Una spossatezza profonda nelle ossa rendeva tutte le sue membra pesanti, e ogni esibizione era un allenamento faticoso che le faceva dolere i muscoli. Erano passate solo poche settimane da quando era in giro attraverso gli Stati Uniti e il suo corpo non si era ancora adattato. Nel giro di un’altra settimana sarebbe stata bene.
O almeno lo sperava.
Ma non poteva fare a meno di provare l’opprimente sensazione che ci fosse qualcosa di strano in quel tour. Sembrava esserci qualcosa di sbagliato.
O forse si trattava solo di lei. Em era nascosta in un ripostiglio sperando di riuscire a concedersi cinque minuti di privacy prima che arrivasse qualcuno a cercarla per condurla al suo prossimo impegno. Era abbastanza sicura che si trattasse del controllo del suono.
Almeno aveva a disposizione cinque giorni interi in città, anche se tre erano già passati. In realtà non era nemmeno sicura di quale città fosse. Trascurabili dettagli come quello passavano in secondo piano quando rimbalzava da una località all’altra ogni giorno.
Partire per un tour le era sembrato affascinante quando era una giovane star. Era un modo per sperimentare il tipo di vita che non aveva mai immaginato di poter avere.
No, era una bugia. Lei era una Selby. Poteva condurre qualsiasi tipo di vita volesse. Dato il suo status, non era necessario infliggersi tabelle di marcia estenuanti.
Ma quella era la vita che aveva scelto.
Em gemette e si appoggiò al muro. Si era addentrata in un labirinto di scaffali stipati di prodotti per le pulizie. Se uno dei giornalisti che seguivano il tour l’avesse scovata lì, avrebbe probabilmente pensato che si stesse sballando con qualcosa e avrebbe messo la storia online nel giro di un’ora. Ma non avrebbe fatto molta strada prima che l’addetto stampa di Em avesse una contronarrazione pronta a partire. Quel tipo di vita non le era mai stato davvero congeniale.
E lei non voleva che circolassero voci. Col nuovo album appena uscito, che non stava andando bene come ci si aspettava, non poteva permettersi stampa diffamatoria indipendentemente da quanto fosse bravo il suo addetto. Anche se la sua casa discografica avrebbe probabilmente osservato che qualsiasi tipo di stampa poteva risultare utile.
Avrebbe avuto una storia col botto per i giornalisti. Come l’avrebbero presa se avesse detto loro che sua sorella era un licantropo?
Quel pensiero la fece scoppiare a ridere. Già, non aveva intenzione di parlare con nessuno della nuova condizione di Stasia. Quella storia avrebbe decisamente fatto pensare alla gente che lei si drogava.
Se Em non fosse stata nel suo camerino avrebbe dovuto affrontare domande fastidiose. Doveva essere lei a comandare. Era ciò che si aspettavano tutti quando pensavano a una rockstar in tour. Ma Melinda e il suo esercito di assistenti molto efficienti avevano molta più voce in capitolo su ciò che succedeva, rispetto ad Em.
Premette l’orecchio contro la porta e ascoltò attentamente per un momento. Ma la porta era spessa e non le giungeva alcun suono. Piuttosto che aspettare ancora, Em sgattaiolò fuori dal ripostiglio e si diresse verso il suo camerino.
Era grata del fatto che alloggiassero in un hotel direttamente collegato al centro congressi dove si esibiva. Ciò significava che il posto brulicava di fan, ma almeno lei non aveva bisogno di uscire dall’edificio per nessuna ragione. Questo la faceva sentire più al sicuro del solito.
Non che si fosse mai trovata realmente in pericolo. Aveva sostenitori urlanti, alcuni anche ossessionati, e in giro si trovavano dozzine di fanfiction. Ma la squadra di sicurezza la teneva al sicuro, e lei non aveva mai percepito i fan come un pericolo per se stessa.
Da quel punto di vista era fortunata. Aveva sentito storie orribili da parte di alcuni amici che si rivolgevano a un pubblico un po’ più giovane e rabbioso. Ma Em aveva deciso di diventare una rockstar, non una popstar, e questo comportava una base di fan leggermente diversa.
Almeno così diceva la casa discografica.
C’erano decine di persone che si aggiravano nei corridoi facendo del loro meglio per preparare il palco per il concerto. Avevano avuto il privilegio di lasciare montato il palco tra uno spettacolo e l’altro, il che significava che erano tutti un po’ più rilassati del solito. Tappe come quelle rappresentavano quasi delle mini vacanze. Ma da Em ci si aspettava che si prestasse a incontri, saluti e altri eventi anche quando non era impegnata nelle esibizioni.
Era la vita che aveva scelto, ricordò a se stessa. Non poteva lamentarsi.
Almeno, non ad alta voce. Ma era giunto il momento di fare una telefonata a Stasia e lasciare che fossero le orecchie di sua sorella a subire tutte le sue rimostranze. Inoltre Em era curiosa di sapere come stava procedendo la nuova vita da licantropo. Se aveva mai pensato che essere una rockstar fosse speciale, Stasia l’aveva fatta ricredere superandola di gran lunga.
Em si intrufolò nel suo camerino. Non sarebbe passato molto tempo prima che i truccatori e i costumisti si presentassero per prepararla per la serata. Ma lei aveva ancora tre minuti per sé. Si accasciò sulla sua sedia e guardò il ripiano di fronte allo specchio. All’inizio non capì cosa stesse vedendo.
Avrebbe dovuto essere coperto di trucchi e gioielli e di tutto ciò di cui avesse avuto bisogno per trasformarsi nel suo alter ego Mercy, la sensazionale stella del rock.
Ma il ripiano era vuoto. Vuoto e segnato da profonde scanalature. Em allungò una mano per toccarle, affondando le dita giù nella polpa del legno. Non si trattava di decorazioni. Sembrava che un animale selvatico fosse entrato e avesse danneggiato il ripiano.
Un licantropo.
Quel pensiero si affacciò in fondo alla sua mente. Sarebbe stato assurdo se non ne avesse giusto incontrato un branco poche settimane prima. Il suo battito cardiaco accelerò e lei si girò guardandosi intorno, lanciando occhiate rapide in ogni angolo nel tentativo di scovare la minaccia.
Ma era sola nel camerino.
Era una specie di scherzo? Qualcuno si stava divertendo a sue spese? Non potevano sapere di Stasia. Né di Owen, o Andre, o Rowe o nessun altro di loro. Lei non aveva detto una parola. Anche se forse uno degli assistenti o uno dei membri della band poteva averla sorpresa a consultare le pagine di Wikipedia per cercare di saperne di più sui lupi.
No.
Uno dei suoi costumi era a terra, ed Em si chinò a raccoglierlo. Era a brandelli. Alcuni dei suoi abiti di scena avevano buchi disposti ad arte per lasciar vedere la sua pelle o parte del suo incarnato attraverso l’approssimazione di un tessuto a rete, ma quello che aveva raccolto non era un costume appositamente creato così. Appoggiò la parte superiore sul ripiano e vide che gli strappi nella stoffa corrispondevano alle scanalature del legno.
Artigli malefici. Poteva quasi immaginarli.
Le mani cominciarono a tremare e un urlo le si strozzò in gola senza che lei potesse articolarlo. Era troppo consapevole di tutte le persone fuori dal camerino che sarebbero accorse se solo avesse emesso un suono.
E non poteva permettere che quell’informazione finisse sui giornali scandalistici.
Con le mani tremanti prese il cellulare, cercò il numero di Stasia e lo compose, pregando e sperando che la sorella rispondesse. Ci vollero parecchi squilli ma alla fine lo fece.
“Ehi! Non dovresti essere sul palco?” chiese Stasia, e dalla sua voce traspariva chiaro un sorriso.
“Ho bisogno del tuo aiuto.” Em non perse tempo in chiacchiere. “Credo di avere un problema che coinvolge dei licantropi.”