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CAPITOLO UNO
La pelliccia di Andre era fradicia e le sue zampe coperte di terriccio. L’odore della pioggia permeava l’aria, nascondendo la preziosa preda che lui sapeva ormai accerchiata nella foresta intorno a lui. Il branco correva nel fango come se niente fosse. Rowe urtò Erin Jackson, facendola inzuppare ancora di più. Willa Hunter seguiva Vega da vicino.
Anche Stasia e Owen probabilmente si stavano dando da fare nel loro branco ristretto.
Gibson era in testa e li guidava tutti, e Andre avrebbe dovuto sentire il richiamo della famiglia. La forza del loro legame era ciò che li teneva uniti dopo il modo misterioso in cui tutti loro erano diventati licantropi. Ma quella sera, Andre non la sentiva.
Sentiva solo il freddo e il fango e voleva rannicchiarsi in un posto caldo e dormire.
Non doveva essere il solo. Il terreno della fattoria di Gibson si estendeva su ettari di terra selvaggia in Pennsylvania e loro avrebbero potuto correre per chilometri senza il rischio di essere scoperti da qualcuno. Ma le luci della fattoria erano in vista attraverso i fitti alberi, e prima Willa Hunter, poi Rowe ed Erin Jackson abbandonarono la caccia e si diressero al riparo.
Andre non li seguì immediatamente. Non voleva sembrare troppo impaziente, anche se quella era una cosa che non avrebbe mai ammesso ad alta voce. Era un maledetto lupo mutaforma.
E i lupi non indietreggiavano davanti a un po’ di maltempo.
Ma aveva fatto le sue esperienze nell’esercito e conosceva tutto il disagio e la fatica che ne derivavano. Non era importante in quale delle sue forme fosse, se umana o animale, voleva solo essere pulito e asciutto. Preferibilmente in un letto comodo.
Qualunque fosse la ragione che lo tratteneva, alla fine Andre lasciò perdere e si avviò verso la casa, con le zampe che sguazzavano nel fango. Accelerò l’andatura, lasciando che i muscoli si contraessero in falcate che nessun corpo umano avrebbe potuto eguagliare.
Forse la pioggia non era così male.
La corsa si interruppe una volta raggiunto il patio coperto dietro la fattoria. Si scosse come meglio poteva, cercando di non pensare a quanto dovesse assomigliare al suo cane di quando era bambino, e si avvicinò alla vetrata scorrevole.
Prima che potesse entrare Erin Jackson gli sbarrò la strada, con una mano tesa davanti a sé e l’altra che teneva chiuso l’accappatoio indossato dopo la muta che l’aveva riportata in forma umana. “Il maggiore ti ucciderà se sporchi di fango i suoi pavimenti.”
Andre sbuffò, emettendo un suono che non era propriamente un lamento, ma arretrò dalla vetrata e prese un profondo respiro prima di lasciar iniziare la muta. Il lupo si dissolse e lui assunse la posizione eretta da essere umano. La cosa migliore fu constatare che il fango era per lo più sparito.
Era nudo, ma Erin Jackson non si soffermò a guardarlo. Aveva occhi solo per un unico uomo, anche se nessuno nel branco sarebbe stato così stupido da dirlo ad alta voce. Una volta entrato in casa afferrò il suo accappatoio e lo indossò. Gli sembrava di avvertire ancora il fango tra le dita dei piedi, ma era solo una sensazione che non corrispondeva alla realtà.
“Willa è andata a prendere da mangiare,” disse Erin, sollevando la sua bottiglia di birra e prendendone una bella sorsata prima di rimetterla sul suo sottobicchiere.
A quella notizia lo stomaco di Andre brontolò. Bene. Avrebbe potuto mangiare. A volte cacciavano in branco e se catturavano la preda non c’era bisogno di pizza, al ritorno. Non era una di quelle sere.
“La doccia è libera?” chiese. La casa era grande, ma abbastanza vecchia da avere solo due bagni, uno dei quali annesso alla camera da letto di Gibson. Nessuno era abbastanza coraggioso da usare quello senza il suo permesso. Il che lasciava sei adulti a dividersi un solo bagno. Era un bene che i soggiorni alla fattoria fossero solitamente di breve durata.
“Non sento scorrere acqua.” Erin Jackson si sedette al suo posto e lasciò che lui andasse a scoprirlo da solo.
Fortunatamente in bagno non c’era nessuno ma Andre non perse tempo sotto il getto caldo. In vita sua aveva sperimentato la maledizione dell’acqua fredda un numero di volte sufficiente a non volerla infliggere ad altre persone.
Una volta lavato via tutto lo sporco reale e immaginario, Andre si diresse al piano di sopra, dove poteva già sentire l’odore pungente della salsa di pomodoro e del formaggio delle pizze che aveva portato Willa. Negli ultimi anni era diventata una tradizione. Correvano nei boschi e quando non riuscivano a catturare la loro preda terminavano la serata con pizze a volontà.
Una risata femminile esplose e riecheggiò per le scale prima di essere bruscamente interrotta da un gemito. A volte Andre malediceva i sensi un po’ più acuti che gli derivavano dall’essere un licantropo.
Non portava rancore al suo amico perché aveva trovato una compagna. La scoperta della dottoressa Stasia Nichols da parte di Owen aveva permesso loro di comprendere in poche settimane più cose, su loro stessi e sulla loro trasformazione in licantropi, di quante ne avessero sapute nei due interi anni precedenti al suo ingresso nelle loro vite. E Owen, che era sempre stato socievole, era profondamente felice, in un modo che Andre non immaginava possibile per un essere umano.
Ma era così dannatamente allegro che a volte Andre voleva strappargli via dalla faccia quell’espressione soddisfatta.
Non era una bella cosa da pensare nei confronti del suo migliore amico, e non avrebbe mai osato dirlo ad alta voce. Ma non poteva fare a meno di pensarlo.
“Mi chiedo se ci sia bisogno di tenere da parte un po’ di pizza anche per loro,” disse Leland Rowe con un sorriso, urtando la spalla di Andre con la propria.
“Possono mangiarla fredda.” C’era sempre cibo più che sufficiente. I licantropi mangiavano come bestie fameliche, ma Willa aveva la capacità di prenderne sempre abbastanza. Andre lanciò un’occhiata a Rowe, che indossava jeans stretti e una camicia decorosa. “Vai da qualche parte?”
Rowe fece un gran sorriso. “Sto provando un nuovo bar in città. Sei il benvenuto se vuoi unirti a me. Ci sono parecchie donne sole, qui in aperta campagna. E l’alcol costa poco.”
Entrambe le cose erano vere, ma Andre desiderava un letto morbido più intensamente di un morbido paio di cosce, in quel momento. Rowe sembrava sempre alla ricerca di una festa quando non era in servizio. “Divertiti.”
“Chiama, se sei troppo ubriaco per guidare,” aggiunse Erin Jackson. Era salita dal piano di sotto mentre Andre faceva la doccia e ora si stava servendo la sua porzione di pizza.
Rowe alzò gli occhi al cielo. “Anche con gli alcolici a poco prezzo che ci sono lì non ho abbastanza soldi per rimanere sbronzo a lungo. Stupida magia dei licantropi,” brontolò accigliato.
“Ricordati di averlo detto la prossima volta che guarisci in pochi istanti da una ferita da arma da taglio,” ribatté Andre. Potevano guarire in poco tempo da quasi tutto, purché non ci fosse argento. E fortunatamente le armi d’argento erano poche e difficili da reperire.
Rowe fece un verso sprezzante, afferrò una fetta di pizza e uscì dalla porta principale.
Andre riempì un piatto per sé e si sedette al bancone accanto a Erin e Willa.
“Dovremmo preoccuparci?” chiese Erin. Guardò verso la porta per un lungo momento prima di rimettersi a mangiare.
Willa non disse nulla. Era sempre silenziosa.
Andre scrollò le spalle. “È un ragazzo grande. Sa badare a se stesso.”
“Non hai visto quanto vomito è riuscito a sputare sul pavimento del pick-up.” Erin rabbrividì.
“Non hai pulito, vero?” Erin Jackson era puntigliosa sul rispetto delle regole, ma nemmeno lei poteva arrivare a tanto. Giusto?
“Io non pulisco.” Il suo tono era gelido, e Andre si segnò mentalmente quell’informazione. Non voleva prenderla per il verso sbagliato.
Quello era un bene, comunque. Rowe poteva fare i suoi casini, ma poi doveva essere lui a pulire e sistemare tutto.
Gibson e Vega salirono qualche minuto più tardi. Erin porse a Gibson un piatto strapieno di pizza, che lui accettò con un sorriso.
“Dov’è il mio piatto?” chiese Vega, guardando speranzoso Erin e Willa.
Willa Hunter grugnì. “Fattelo da solo.”
Le sue spalle si incurvarono per la delusione, ma Vega obbedì.
Quella era la sua famiglia, rifletté Andre. Nel bene e nel male. E una serata come quella faceva parte dei momenti migliori.
“Hai sentito come sta andando il tour di Mercy?” chiese Erin con ingannevole disinvoltura. Mercy era meglio conosciuta come Emerald Selby, una delle sorelle minori di Stasia e una delle più grandi rockstar del pianeta.
Qualcosa sussultò nelle viscere di Andre. No, non il suo stomaco. Parecchio più in basso.
Ma il suo sesso non aveva intenzione di prestare attenzione a quella... donna. Si erano scontrati, quando si erano visti qualche settimana prima, e non aveva alcun desiderio di ripetere l’esperienza.
Non importava cosa ne pensassero le sue parti intime.
“Stasia non ha detto niente,” rispose in tono brusco. “Perché, volevi dei biglietti?” Quella domanda risultò più tagliente del necessario.
Erin arrossì e si curvò un po’ sulla sua panca. “Se li volessi, li comprerei.”
Il maggiore sentì il loro scambio di battute e lanciò un’occhiataccia ad Andre. “Ti si è infilato qualcosa su per il culo?” chiese Gibson.
“No, maggiore.” Ma Andre prese il suo piatto e si diresse verso la camera da letto che divideva con Vega e Rowe.
Non aveva voglia di parlare di rockstar capricciose che glielo facevano diventare duro. Aveva già abbastanza cose di cui occuparsi in quelle giornate.