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Mi chiamo Elisabeth Currant. Ho ventiquattro anni e sulla carta sono un’istitutrice. In realtà non ho nessun bambino da istruire e probabilmente non lo avrò mai.
Provengo da una famiglia borghese, caduta in rovina alla morte di mio padre. Mia madre ci aveva provato, ma non aveva le conoscenze né le capacità per gestire quello che ci era rimasto. Lei finì in prigione per debiti, mio fratello Patrick per furto e io, dopo varie vicissitudini, in una workhouse di Whitechapel. Quando scappai da quel posto disumano era il 1888 e Jack impazzava nell’East End. Fuggendo dalla workhouse avrei potuto imbattermi in lui, invece incontrai un angelo.
Sir Louis Roswell Spencer all’epoca aveva poco più di trent’anni. Forse mosso a compassione dal mio stato miserevole, mi comprò da mangiare e finì per ospitarmi a casa sua in cambio del mio aiuto come... investigatrice. O qualcosa del genere.
In quei giorni Sir Louis stava cercando di capire come fosse morta la figlia di un suo buon amico, nobile come lui, abbiente come lui, trovata cadavere a Whitechapel vestita come una prostituta. La gente del luogo era sospettosa nei confronti di un gentiluomo come lui, per cui gli mentiva o tentava di raggirarlo. A questo gli serviva il mio aiuto.
Feci del mio meglio e a dire il vero credo che fui piuttosto brava, ma non è questo il fatto più importante di quel periodo. Durante la mia lunga caduta verso i gradini più bassi della scala sociale ne avevo viste e passate di tutti i colori. Per sopravvivere avevo dovuto abbandonare la morale che mi era stata insegnata nell’infanzia. Per essere del tutto onesta, quando Sir Louis mi aveva salvata ero pronta a vendermi per un tozzo di pane. Per quanto in seguito la mia situazione fosse cambiata, una volta che le consuetudini e le convenzioni ai tuoi occhi hanno perso importanza per te non significheranno mai più niente. Questo fu il motivo per cui quando Sir Louis mi baciò io risposi al suo bacio e quando si spinse anche oltre lasciai che lo facesse. Anzi, collaborai in modo piuttosto entusiastico.
Di lì a poco Louis mi chiese di diventare la sua amante. Oh, era sposato, naturalmente. Lady Spencer, Vivian, come seppi in seguito, aveva qualche anno più di lui e lo aveva sempre detestato. Secondo Louis era pazza e ammetto che le poche volte in cui la incontrai non mi fece l’impressione di una donna equilibrata.
Per farla breve, mi trovai a vivere in un lussuoso appartamento con cuoca e cameriera personale, con molto tempo libero e fin troppi soldi da spendere.
So che detta così sembra il massimo dello squallore. Nella mia vita precedente mi sarei considerata una donna immorale che aveva gettato via la sua onestà e la sua virtù e bla-bla-bla.
Grazie al cielo non vivevo più nella mia vita precedente.
In questa vita stavo insieme a un uomo bello, acuto, gentile, talvolta seducente e sempre rispettoso. Un uomo che amavo che mi amava. Uno che aveva pagato i debiti di mia madre e che aveva garantito per mio fratello quando aveva chiesto la libertà sulla parola. E, specialmente, un uomo che mi considerava sua pari, dotata di uguale dignità.
Oltre a questo, c’erano le indagini. Sir Louis era un investigatore dilettante, una specie. La gente dell’alta società si rivolgeva a lui quando aveva un problema di cui non voleva parlare con la polizia. Io ero la sua assistente e quello era un lavoro che mi piaceva moltissimo.
Dal momento in cui ci eravamo conosciuti erano passati tre anni. Erano stati tre anni per lo più felici, nonostante la mia condizione illecita. Quando avevo dovuto abbandonare la mia vecchia morale avevo abbandonato anche la speranza di sposarmi e mettere su famiglia. La mia verginità se l’era presa un infermiere controllando che non avessi malattie veneree. Non mi sarei mai sposata, non avrei mai potuto dichiarare alla luce del sole il mio amore, non avrei mai avuto figli, anche perché Louis non poteva averne.
Ma il tempo passava. Nelle prime settimane il mio amante dormiva nel mio appartamento quasi tutte le notti. Eravamo andati in Francia ed eravamo rimasti a Parigi tre mesi, bevendo champagne e facendo l’amore giorno e notte.
Ora la nostra routine era un po’ meno appassionata. Louis dormiva da me due o tre notti alla settimana, passavo più tempo da sola. Ma era normale, mi dicevo.
E in fondo al mio cuore sapevo che nulla era per sempre. O forse non lo sapevo, lo temevo solo.
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Era il 1891, agosto, quando la mia vita cambiò di nuovo. Louis piombò nel mio appartamento di Brook Street alle nove del mattino, un orario assolutamente insolito. Ero sveglia da poco e stavo facendo colazione a letto ancora in camicia da notte.
Louis aprì la porta senza bussare, facendomi quasi prendere un colpo.
Emisi un urletto, ma subito dopo mi accorsi che era in condizioni pietose. O, per meglio dire, pietose per essere lui. Il suo viso lungo e patrizio era sbarbato alla perfezione, ma aveva un piccolo taglio sul collo. Indossava una camicia bianca dal colletto inamidato, ma il nodo della cravatta era un po’ impreciso e il panciotto grigio aveva i bottoni allacciati male. Era pallido, più pallido del solito, c’era qualcosa nei suoi occhi chiari... qualcosa di brutto.
«Che cosa succede?» chiesi, posando il vassoio e alzandomi. «Stai bene?».
«Sì, io sì» rispose lui, in uno strano tono inespressivo. «Ma mia moglie sta partorendo e pare che non sopravvivrà. Ho ricevuto un telegramma dal Surrey mezz’ora fa».
Aprii la bocca, sbalordita, ma non riuscii a dire niente.
Louis mi strinse un braccio. «Sto andando là. Vestiti, devi venire con me».
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Nessuna delle mie resistenze era riuscita a smuoverlo dalla sua decisione. Avevo iniziato facendogli presente che di certo non era molto educato presentarsi a casa di sua moglie con la sua amante.
«Per prima cosa è casa mia, non di Vivian... anche se ammetto che ci passa molto più tempo lei. Inoltre, anche mettere al mondo il figlio di un altro uomo mentre siamo sposati non mi sembra il massimo della buona educazione».
Lo guardai in silenzio, senza commentare.
«Che cosa?» sbottò lui. «Che cosa? Lo sai che non è figlio mio. Non posso avere figli. E se anche fossi stato miracolato, avrei dovuto dormire con mia moglie quantomeno una volta, non ti pare? E non l’ho fatto. Ho dormito con te, e solo con te. Non iniziare, Lizzie».
Sbuffai e iniziai a vestirmi. «Non ti farei una scenata di gelosia se fosse successo con tua moglie. Sono io l’abusiva, qua».
«Oh, per favore!».
Sbuffai di nuovo. «Sì, infatti. Ora non c’entra. Come hai fatto a non accorgerti di niente? E da quanto non la vedi?».
Louis si passò le dita tra i capelli scuri. «Oddio, non lo so. Qualche mese. Ero piuttosto soddisfatto della cosa».
«Che cosa diceva il telegramma?».
Mentre lo interrogavo continuavo a vestirmi il più velocemente possibile. Louis mi aiutò con i lacci del corsetto morbido.
«Che Lady Spencer è entrata in travaglio questa mattina alle sei, ma che le sue condizioni sono preoccupanti. È stato chiamato il nostro medico di Guildford che la sta assistendo. È stato lui a ordinare che venissi contattato, perché a quanto pare Vivian era contraria». Si aggiustò di nuovo i capelli, un gesto che denotava tutto il suo nervosismo. «Questo l’ho appreso in una successiva telefonata. Devi per forza metterti tutte quelle forcine?».
«Solo quelle indispensabili, amore».
«Vorrei solo sapere come ha potuto essere così... così... sconsiderata».
Finii di acconciarmi i capelli e mi spolverai il viso di cipria. «Sei offeso?».
Louis scrollò le spalle. «Ma no».
Gli lanciai un’occhiata penetrante dallo specchio e lui fece una smorfia. «Be’, sì, un po’. So che non ha nessun senso. Non sono nella condizione di offendermi se mia moglie mi tradisce... ma sono un po’ offeso lo stesso, va bene?».
«Nessuno è sempre coerente, Louis» dissi, in tono morbido.
Mi puntò un dito contro, o meglio, lo puntò contro il mio riflesso. «Se tu provassi a tradirmi ti ammazzerei, comunque».
«Sai benissimo che non lo farei mai. Ti amo».
Lui sospirò, mi circondò la vita con le braccia e mi posò un bacio sul collo. «Scusami, sono come impazzito. Non ragiono, straparlo. Anch’io ti amo e anche se mi tradissi non ti ammazzerei, naturalmente. Almeno, credo. Ti odierei, questo sì, ma ammazzarti? Ah, sto divagando. Il punto centrale, quello che davvero mi lascia attonito, è un altro: come ha potuto farsi mettere incinta? Ha trentasette anni, santi numi!».
Non potevo dargli torto. A quell’età era davvero imprudente. Avrebbe dovuto cercare in tutti i modi di evitare una gravidanza. Tutti sapevano che dopo una certa età le complicazioni erano comuni e spesso fatali.
Un’età, per inciso, che si avvicinava sempre più anche per me, sebbene avessi tredici anni meno di Vivian.
Era diverso se avevi già avuto dei figli. Molti figli, magari. Era meno probabile che ci fossero degli incidenti, anche se non si poteva mai dire e sarebbe stata un’imprudenza comunque. Ma il primo figlio a trentasette anni? Non ero così stupita che ci fossero dei problemi.
«In che senso, sai...» provai a indagare.
«Ah, non lo so, figurati. Il dottor Ross non è sceso nei dettagli, ma mi ha avvertito che si tratta di complicazioni serie».
«Preghiamo che si sbagli» mormorai, anche se non ero molto religiosa, anzi.
Ma dentro di me, fin da quando Louis aveva detto che Vivian rischiava di morire, avevo sperato che sopravvivesse. I motivi erano diversi.
Per prima cosa, era una donna ancora relativamente giovane, con molti anni davanti. Speravo che non morisse perché nessuno dovrebbe morire senza aver vissuto una vita intera.
Gli altri motivi, tuttavia, erano meno nobili e nemmeno la mia nuova morale poteva considerarli accettabili.
Io e Louis appartenevamo a due classi sociali diverse. Ero nata in una famiglia piccolo-borghese e ora mia madre era maritata in seconde nozze con un bottegaio. Non ci saremmo mai sposati, neppure se lui fosse stato libero. Non era destinato a succedere, semplicemente. Finché lui era sposato con Vivian, però, potevo essere la sua amante e non dividerlo con nessuno. Se fosse rimasto vedovo le donne avrebbero iniziato a girargli intorno. Un gentiluomo delle sue sostanze, con il suo aspetto, con le sue maniere... sarebbe diventato un trofeo ambito. E conoscevo Louis. Per quanto affezionato, innamorato, interessato a me fosse, le donne gli piacevano. Non ero neppure del tutto sicura che non vedesse mai nessun’altra, con discrezione e senza che fosse nulla di serio. Ma, insomma... se fosse tornato sul mercato prima o poi qualcuna se lo sarebbe aggiudicato e allora a me si sarebbe spezzato il cuore per sempre.
Questi erano i motivi ignobili per cui speravo che Vivian non morisse e confesso che uscii di casa vergognandomi profondamente di me stessa.
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Avevamo preso il primo treno per il Surrey a Victoria Station. Il valletto personale di Louis e la mia cameriera, Bronwen, erano saliti in terza classe, mentre io e Louis ci accomodavamo in uno scompartimento privato di prima.
Il viaggio per Guildford sarebbe durato meno di un’ora.
Non appena vennero chiuse le porte Louis sembrò afflosciarsi contro lo schienale. Mise via il quotidiano che aveva finto di sfogliare fino a quel momento e gemette.
«Andrà tutto bene» gli dissi.
«Non penso» rispose lui, guardandomi. «E che cosa significa “tutto bene”, in ogni caso? Come può qualsiasi cosa andare “bene”, con Vivian?». Chiuse gli occhi, fece un bel respiro e aggiunse: «Scusa».
Eravamo da soli, nessuno passava nel corridoio. Gli accarezzai una guancia. «Intendevo dire che sopravvivrà».
«Ah» fece lui. Si inclinò verso di me, fino ad appoggiarmi la testa sul petto. Era sconveniente, ma non era molto probabile che qualcuno entrasse nella carrozza. Inoltre era fuori di sé, lo capivo. Gli accarezzai di nuovo una guancia, visto che aveva i capelli rigidi di pomata o cera o quel che era. Louis era sempre in ordine, anche nei momenti più critici, con la chioma scura tirata indietro e le basette ben modellate. L’unico segno di agitazione, come ho già detto, era che quella mattina doveva essersi tagliato mentre si radeva.
«Non vuoi che sopravviva?» mormorai. Continuai ad accarezzarlo. «Non lo pensi davvero. Sei solo arrabbiato».
«No, non voglio che muoia. Vorrei solo che scomparisse nel nulla, una volta per sempre. Vorrei essere di nuovo libero. Vorrei non dover costantemente aggiustare quello che rompe. Ma decisamente non voglio che muoia, anche perché se morisse tutti darebbero la colpa a me».
«Oddio, Louis, non credo. Non voglio essere cinica, ma tutti sanno che i vostri rapporti sono...» Mi interruppi per cercare una parola diversa da “schifosi”, ma in realtà nessuna definizione sarebbe stata più calzante. «...Complicati».
Louis sbuffò. «Esatto. Penseranno che io l’abbia fatto apposta per levarmela di torno».
«Mi sembra un piano omicida molto poco efficiente. Spero che i tuoi amici abbiano un’opinione più alta della tua intelligenza» cercai di stemperare la tensione con un po’ di umorismo.
Lui, con la testa ancora suoi miei seni, si limitò a grugnire. Aveva un braccio attorno alla mia vita e l’altra mano posata sulla mia coscia, sopra alla gonna del vestito, e non sembrava intenzionato a muoversi. Mi sistemai meglio contro lo schienale, in modo da essere un po’ più comoda.
«E se invece sopravvive, che cosa dovrei fare?» mormorò. «Sorridere e tenermi il bastardello?».
«Louis...» sospirai.
Iniziò ad accarezzarmi l’esterno della coscia, sovrappensiero. O forse era un modo per scaricare la tensione. Di certo non pensava a eccitarmi, in quel momento, anche se confesso che iniziavo a trovare il contatto dei nostri corpi piuttosto stimolante, quasi erotico.
«“Louis” niente» continuò lui. «Sono di vedute ampie, lo sai, ma dovrei riconoscere il figlio di un altro? Che lo faccia lui, chiunque sia».
«Sei troppo arrabbiato per ragionare».
Lui sbuffò, ma finì per rivolgermi un sorriso vagamente dispettoso. «Sì, sono arrabbiato. Hai ragione, è naturale». Mi baciò un seno, al di sopra del vestito. «Sono arrabbiato e leggermente eccitato. Non ho idea di come sia possibile. Piccola, hai i capezzoli duri».
Non risposi, visto che non potevo negare che fosse così e non c’era bisogno di commentare la cosa. Louis mi baciò di nuovo un seno e lo mordicchiò anche leggermente.
E il suo tocco, la sua bocca, sentire che mi desiderava... per me era e sarebbe sempre stata la sensazione più bella del mondo. La sua mano scese fino a raggiungere la mia caviglia e poi risalì lentamente al di sotto della gonna. Sentivo il suoi polpastrelli sfiorarmi la pelle, raggiungere la fascia delle mie calze e salire ancora. Nel farlo aveva sollevato anche la gonna, ma era ampia, così il resto delle ruches confondeva le acque.
Sentii la sua mano che si infilava nelle mie mutande e mi accarezzava i riccioli del sesso.
«Sei così bella, Liz» mormorò lui, tornando a baciarmi i seni. Mi limitai a sospirare, non capivo già più niente. E anche Louis stava seguendo un impulso quasi subliminale, ne ero certa, perché in un altro momento non si sarebbe mai messo ad amoreggiare nello scompartimento di un treno, con la campagna assolata che scorreva fuori dai finestrini e il rischio che passasse il capotreno o che il convoglio si fermasse in una stazione.
Ma le sue dita, ormai, solleticavano il mio sesso, stuzzicandomi e come assaggiandomi. Sapevo di essere molto bagnata, a quel punto. Non c’era niente che trovassi più eccitante della consapevolezza che Louis mi desiderava. E, nonostante avesse accavallato le gambe per nasconderlo, vedevo che mi desiderava fisicamente.
Mi penetrò con medio e anulare e dalle mie labbra sfuggì un gemito attutito. Allargai le cosce. Non potevo fare altro, veramente, e sapevo che quel gesto l’avrebbe eccitato ancora di più.
Lui rise sottovoce, anche se la sua risata fu un po’ ansimante. «Maledetta».
Iniziò a stimolarmi anche con il pollice, continuando a penetrarmi con le altre due dita.
Forse fu la situazione, il treno, il momento inaspettato, ma iniziai presto a godere molto, cercando di non fare rumore con sempre meno successo.
Mi strinsi selvaggiamente attorno alle sue dita, ansimando e gemendo. Louis mi sfiorò appena il buchetto posteriore con la punta del mignolo e io raggiunsi l’orgasmo. Era quasi umiliante. Era l’effetto che otteneva semplicemente toccandomi, in pochissimo tempo.
Sobbalzai e pulsai, con un gemito che saliva e scendeva seguendo il mio piacere. Fui scossa da un brivido e sentii che là sotto mi ero completamente allagata.
«Ah, piccolina» sorrise Louis, baciandomi sul collo. «Che fica meravigliosa».
Parlava sporco solo quando era davvero eccitatissimo, ma in quella circostanza parlare era tutto quello che potesse fare. Eravamo quasi arrivati e non potevo fare niente per lui.
Per qualche secondo Louis restò lì, con le dita dentro di me e la testa sui miei seni.
«Grazie per avermi accompagnato» mormorò, alla fine. Si pulì le dita sulle mie mutande e mi risistemò la gonna.
Io, appoggiata allo schienale, dovevo ancora riprendere fiato.