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1465 Words
Era lo fissò. Il dio anziano finse di non accorgersene e rimase sul suo trono a guardare il figlio maggiore finché non se ne fu andato con passi forti e rompendo tutto sul suo cammino. - Come osi? - la dea rilasciata. - Ho dato l'ordine molto tempo fa. Le muse appartengono ad Apollo. - Il tuo bastardo non è superiore a mio figlio! - Gridò la regina furiosa. Zeus finalmente la guardò, Era sembrava una bestia. - L'ordine era già stato dato. - sbottò anche se avrebbe preferito non farlo. Era gli si avvicinò lentamente, il suo sguardo avrebbe potuto sciogliere un ghiacciaio. -Darai quella donna a mio figlio Zeus, o giuro, ucciderò il tuo bastardo. Zeus serrò la mascella. Se Era non aveva ucciso Apollo prima era solo perché, dopotutto, aveva un cuore, un cuore che sapeva che la colpa degli errori del padre non doveva ricadere sui figli. Ma non poteva permettersi di provocarla perché così come aveva un cuore, aveva anche una terribile sete di vendetta. - L'ho fatto per il suo bene. La donna è mezza fata. Non ci si può fidare di loro, ti strapperà il cuore mentre dormi. - Non sono affari tuoi. Date la donna a mio figlio Zeus, o sopporterete la mia ira. Era lasciò il tempio e quando lo fece, lo stesso Zeus rabbrividì. Un tremito colossale fece tremare il tempio facendo crollare a terra tutte le statue di Zeus. Il dio-re ringhiò. In qualche modo doveva impedire ad Ares di avere quella fata. Ma come? Come farlo con Era dalla sua parte? XXX Il dio si alzò senza che la musa si svegliasse. Ricominciava il giorno, malediceva il sole, malediceva Apollo. Ha maledetto suo padre. Guardò la musa aggrovigliata nelle sue lenzuola e sorrise. Era così tenero e fragile. Le sue guance erano arrossate e le sue labbra erano rosse e gonfie. I suoi erano rossi e gonfi per i baci dati tutta la notte. Cerco di trovare un modo per tenerlo, voleva la musa. Ma suo padre lo aveva negato. Come averlo se tuo padre ha ordinato di restituirlo? Poi c'è stata l'accusa di Apollo. - La musa morirà - aveva detto - senza ispirare e senza la mia energia indebolita. Senza essere in grado di ispirare i mortali, soffrirà fino a quando non vorrà morire. E alla fine morirà. Non puoi lasciarlo morire per il tuo capriccio, Ares. Ares grugnì e bevve dalla bottiglia di ambrosia. Maledetto Apollo, che si vantava di essere necessario alla sua musa. Perché era suo. Non da Apollo, non più. L'aveva reclamata. L'aveva posseduta e la musa gli apparteneva. Anche se lei ha detto il contrario. L'aveva persino segnata, sul collo, sul seno e sui fianchi della musa si vedevano i segni lasciati dal dio, apposta. Tutti potevano vedere che aveva un proprietario. In modo che nessuno osasse avvicinarsi. La musa si mosse e rabbrividì per il freddo. Il dio allungò una mano e la coprì con la coperta, i suoi capelli infuocati erano sparsi sul cuscino e Ares sorrise mentre lo accarezzava. Poteva immaginarla giocare nei boschi, spiare i mortali, fare il bagno in qualche lago. Splendente al chiaro di luna. Era dove avrebbe dovuto essere, a cui apparteneva. Non rinchiuso in un tempio. Deve essere libera. Inoltre, se non poteva averla lui, nessuno poteva. - Musa - le sussurro all'orecchio. - Svegliati, musa. Tempo di andare. Daría aprì gli occhi e incontrò lo sguardo dorato del dio. Le immagini della notte prima le balenarono in testa e si alzò, coprendosi con il lenzuolo di seta nera. - Dai, dobbiamo andare. - Dove? Con Apollo? Non posso restare ancora un po'? - Il suo sguardo sembrava un po' triste. - No, non andremo con Apollo. Daría lo guardò confusa. Ma su insistenza del dio, si vestì e lo seguì. Salirono sulla carrozza e la musa si afferrò immediatamente ai rifiuti di Ares. Raggiunsero il confine dei terreni di Zeus. Alla foresta dei Fae. - Che cosa...? - Chiese la sorprendente musa. - Ti porterò oltre i terreni di mio padre. Così non ti troveranno più. - Ma...? - Hai detto che non sei scappata perché Apollo ne avrebbe pagate le conseguenze. Beh, non sarà lui il responsabile della tua fuga, sarò io. - Ma... poi tu... tu... pagherai... Il dio annuì e la musa negò vigorosamente. - Musa cammina, abbiamo ancora molta strada da fare. - No Ares... non posso... - Daria non mi farà del male, ha bisogno di me. Io sono il dio della guerra e lui ha bisogno della guerra. - ha rilasciato pur sapendo che Zeus si sarebbe crudelmente vendicato. Ma questo gli importava poco, a quel punto la musa sarebbe già lontana. La musa ci pensò, e dopo alcuni istanti di indecisione iniziò a camminare nella foresta. Pensava che dopotutto Ares fosse il figlio di Zeus, nessun padre avrebbe fatto del male a suo figlio, giusto? Per quanto cattivo fosse. Ares l'ha inseguita distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Invece, camminava tra i rami ei fiori come se conoscesse la strada a memoria. - Sai dove stiamo andando? - Chiese la musa. -Non, ti seguo. - Andremo con mia madre. - Rilasciò eccitata- Oh, quanto erano contenti di vedermi. Di sicuro mi credono morto. Sebbene non fosse molto calma, si sarebbe presentata a sua madre con un dio? Morinda si sarebbe infuriata se avesse portato con sé un barbaro, ma viste le circostanze non aveva molte opzioni, se avesse trovato un dio minore a guardia delle foreste, l'avrebbero catturata di nuovo. Il dio si accigliò. Daría iniziò a ballare tra gli alberi mentre il suo corpo iniziava a risplendere di un potente oro, nonostante tutto, la musa non poteva fare a meno di essere felice di ritrovarsi di nuovo nella foresta, libera, e con Ares al suo fianco. - Pensavo che le ninfe fossero quelle che ballavano tutto il giorno. - Così è. Avevano una mosca. Ma non ho le ali. Quindi ballo, è la cosa più vicina al volo. Il dio sorrise. Dopo alcune ore di cammino, si sedettero sulla riva di un fiume. Il dio bevve e si bagnò il collo. - Stai bene? Sembri stanco. - Sono buono. Rimasero seduti senza dire una parola ancora per un po', parlando di cose futili come le piante e la strada. Finché la musa chiese, giocando con l'orlo del suo vestito: - La ami ancora? Sei tornato per lei? Afrodite... - Non ero sicura del perché, ma avevo bisogno di saperlo, prima... di tornare a casa. Ares la guardò per qualche secondo prima di rispondere. - Sono tornato per la mia vendetta. Nessuno mi prende in giro. Nessuno. - Ha rilasciato il più sicuro possibile. Il sorriso della musa ha illuminato il luogo. O così pensava Ares. - E tu? Hai mai amato qualcuno? - chiese il dio con la mascella tesa. - Sì, molti esseri. Amo mia madre. E ai miei fratelli e alle muse... - il suo sorriso si spense - anche se non potevo salutarli. - Ami Apollo? - O si. E Achille. - Achille è morto- disse il dio seccato. Lei annuì. - E io lo amo ancora. Non smetti di amare le persone solo perché se ne vanno. - Sei ancora innamorata di lui? Anche se nemmeno questo? - Sapere che il guerriero era ancora nei pensieri della musa lo fece arrabbiare. - No, non mi sono mai innamorato. non lo farò. - Ma hai appena detto che lo sei. - No, è diverso amare essere innamorati. Achille... è l'unico mortale con cui abbia mai parlato... è stata la mia unica compagnia per molto tempo e gli sarò sempre grato. Ares si accigliò. - L'amore è un sentimento ancora più antico dell'Olimpo stesso. - Disse la musa guardando verso il bosco - L'amore è la forza che ci fa vivere giorno per giorno. Da tempo immemorabile. Dicono che l'Amore, il vero amore, sia nato proprio qui tra i Fae. Hai amato Afrodite ancor prima di concepire Eros. Ares negò con un cipiglio, dubitava che ciò che provava per la dea fosse amore... la lussuria era predominante in quel rapporto e sebbene in quel momento avesse dato il braccio destro per lei, ora sapeva che non era amato. - Quello che fa Eros è creare quell'illusione d'amore, un amore che diventa ossessivo e può facilmente morire. Le frecce di Eros non possono raggiungere il mio popolo, i Fae sono immuni a quell'amore malsano. Ecco perché siamo protetti da ciò che gli dei dell'Olimpo credono nell'amore... - Ma tu, sei mezzo olimpionico. Le frecce di Eros non riescono a raggiungere la tua metà olimpica?- La musa si accigliò. - Partiamo adesso? - Chiese, balzando in piedi. Il dio si alzò e seguì di nuovo la musa.
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