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2183 Words
Daría sorrise quando Adone l'abbracciò, così espansivo come mai il dio l'accolse con lodi e gioia. Era curioso che nelle sue condizioni potesse essere così... allegro. - Daria, mia preziosa musa. È passato tanto tempo da quando sei venuto a trovarmi. - Adone, sono passati solo pochi giorni. - Giorni terribili pieni di agonia. La musa rise. Adone potrebbe essere più sdolcinato di Eros se lo volesse. - Siediti preziosa, ti servirò del vino. Adone, oltre ad essere un ottimo amante, faceva ridere Daria, cosa a cui la musa, che trascorreva i suoi giorni in cattività, era infinitamente grata. - Cosa c'è che non va mia cara? Ti vedo triste. - Oh, non è niente. - Dai dimmi - disse sedendosi accanto alla musa. - Sono sicura che non vorrai ascoltare storie tristi. Adone sorrise. - Daria, la mia vita è miserabile, l'unica cosa che mi rende felice è sapere che c'è qualcuno peggio di me là fuori. Daria pensava che sull'Olimpo non ci fosse più tortura di Adone. Doveva trascorrere le sue giornate compiacendo Afrodite e Persefone senza mai poter decidere da solo. Fin da piccolo Afrodite lo aveva allevato da sola e per tenerlo come ornamento, almeno aveva vissuto libera per qualche anno. Ecco perché stare con lui la faceva sentire confortata, almeno non era l'unica sull'Olimpo che gli dei custodivano come una specie di raro premio. - Ho fatto un errore. - iniziò la musa. - Un errore? Intendi, oltre a lasciarti catturare dagli dei? Lei annuì, sorridendo tristemente. Adone, più che il suo amante, era un confidente, era l'unico dio che Daria considerava suo amico. - Dimmi piccola musa. - Adone si libera, sistemandosi sui cuscini - Il tuo... datore di lavoro... non verrà presto a prenderti? Adone fece una smorfia. - Per fortuna ha un nuovo amante. La terrà occupata per alcuni giorni e si dimenticherà di me per un po'. Daria annuì. Alzo il suo bicchiere per brindare. - Per un meritato riposo. - Per qualche giorno senza quel cane mangia gli uomini. Entrambi risero e brindarono e poi bevvero dai loro bicchieri. Daria non voleva parlare di Ares e degli stupidi sentimenti che aveva nel suo petto così si è appoggiata allo schienale dei cuscini e ha iniziato a parlare di qualcosa di diverso dalla guerra: - Ho ricevuto una visita da mia madre. Te l'avevo detto? - Il giovane ha negato - è stato quando mi hanno appena catturato. Ci sono voluti alcuni giorni perché si rendessero conto che non ero nella mia foresta, si apprezzava prima di me, sapeva cosa sarebbe successo, che in un modo o nell'altro il mio lignaggio olimpico mi avrebbe portato a questo. Lei, bella e perfetta com'è, è apparsa davanti a me, splendente come una stella. Daría lo ricordava perfettamente. Aveva pianto ogni singolo giorno in cui l'avevano tenuta rinchiusa. Poi è arrivata sua madre. Con le sue enormi ali colorate e i capelli rosa. Così perfetto e pieno di magia. - Madre. - Ha rilasciato speranzoso. - Mamma, finalmente. - Mia cara Daria, ragazza mia- si lasciò andare Morinda carezzandole il viso. Daría abbracciò sua madre, come quando era bambina pensando che finalmente l'avrebbero portata via da quel posto orribile. - Mi hanno detto che appartengo a questo posto, che non posso andarmene, ma non conoscono i Fae. - Questa è la mia ragazza. Non hanno idea di quanto siamo forti. - Mamma, mi tirerai fuori di qui, vero? - La mia piccola. La tua eredità olimpica richiede che tu sia qui. - Ma... ma io sono Fae. - Esatto, e nessuno può tenere un Fae. Nessuno può obbligarti a fare nulla. Siamo liberi, come il vento. Daría annuì senza capire. Come farebbe sua madre a tirarla fuori da quel posto, se le dicesse che il suo lato olimpico l'ha ancorata a quel posto? - Niente e nessuno potrà mai domarti, ragazza mia. Sei una fata. Non appartieni a loro. Ma cosa faccio se non riesco a uscire di qui? - Sai bene quanto me che l'ambrosia è un veleno mortale per noi Fae. - Ambrosia? - Mia ragazza. - Sua madre la guardò con pietà e tristezza. - Preferisco vederti morto che in trappola. - Madre... - Sai che ti amo, con tutto il cuore. - Disse abbracciandola di nuovo. - Daria decide correttamente che la vita in prigione non è una vita. Per noi molto meno. - Ambrosia? - Adone ha fatto una sorpresa. - Che razza di madre ti dice di bere qualcosa che ti ucciderà? - La regina delle Fae. - Mia preziosa Fae. Ma non l'hai fatto. - Adone asciugò una lacrima che cadde sulla guancia di Daria. - Ci ho pensato, a lungo e... sono arrivato dove lo tiene Apollo, ma quando il liquido era già sulle mie labbra... non ce l'ho fatta. - Sono contento- disse sinceramente Adone - Daria, la tua vita non è poi così male. Lo so... hai bisogno di libertà ma... almeno hai me. Daria sorrise. - Sì, e ho Apollo, e le altre muse e... - gli venne in mente l'enorme dio della guerra. No, solo Adone, Apollo e le Muse. A nessun altro. - Mai... mai pensare di farlo, ok? - disse Adone stringendo loro le mani. Daría sorrise e annuì. Il bel giovane le si avvicinò e la baciò. Dopo pochi istanti, udirono il terribile ruggito. - Che diavolo sta succedendo? - sbottò Adone. Le porte del tempio di Adone furono spalancate e l'enorme mostruoso dio della guerra attraversò la soglia. Ares non era nemmeno distinguibile a causa del denso fumo nero che il suo corpo emetteva. Solo i suoi occhi potevano essere visti attraverso di essa. Adone coprì la musa con il proprio corpo e il dio della guerra riuscì finalmente a raggiungerli. Prendo il giovane per il collo e lo sollevo da terra. Adonis scalciò mentre soffocava. - Lascialo, lascialo Ares per favore. - Pregò la musa. Il dio sembrò non sentirla e la musa si avvicinò e lo prese per un braccio. Entrare nel fumo nero del dio. Non poteva vedere niente, poteva solo sentirlo. - Ares, Ares, per favore lascialo, lo ucciderai. - gridò la musa. Il dio la guardò e liberò Adone, il giovane svenne. La musa lo vide, volle correre ad aiutarlo ma rimase in piedi davanti ad Ares. Il dio continuò a emanare quel bagliore nero ma i suoi occhi non erano più così rossi. - Ares, per favore calmati. Ares... riesci anche a sentirmi? - Piangi per lui, musa? - La sua voce fu udita dallo stesso Ade e Daria fece un passo indietro. Il dio, più veloce di quanto Daria potesse percepire, la afferrò per entrambe le braccia. Lei sussultò quando lo sentì afferrarla. - Non ti farò del male. - Sento dalle labbra di Dio. Continuò a piangere piena di paura, le sue labbra dicevano una cosa, ma i suoi occhi ne dicevano un'altra. Daria non sapeva nemmeno se il dio avesse ragione a quel punto. Le mani del dio corsero sulle sue braccia. Le accarezzarono il viso e le asciugarono le lacrime nel tentativo di consolarla. Si aggrappò alle braccia del dio perché sentiva che sarebbe svenuta. Sapeva cosa stava facendo e la riconobbe. Noto che il fumo sta scomparendo e con esso la sua terribile paura. Gli occhi del dio tornarono al loro caldo oro prima che la musa svenisse tra le sue braccia. Il dio sollevò la musa tra le braccia, le accarezzò il viso bagnato di lacrime sentendo una stretta al petto. L'aveva spaventata, al punto da svenire. Guardò il dio minore steso a terra, privo di sensi, avrebbe voluto calpestarlo fino all'agonia, riempirgli tutto il corpo di frecce impregnate di acido e lasciare il suo corpo martoriato nel nido di una manticora. Ma invece, si è semplicemente girato e se ne è andato con la musa tra le braccia. Prima la musa, si disse, poi si sarebbe preso cura del dio. Il povero Adone fu trovato da uno degli Eroti di Afrodite che corse dalla dea. Questo a sua volta chiamò Apollo a occuparsi di lui, questa preoccupazione per la sua musa era diretta con suo padre. Afrodite dopo aver visto il segno irriconoscibile della guerra fu piuttosto felice di sapere che era ancora amata e irretita da Ares, perché altrimenti avrebbe attaccato Adone? Questo pensiero la fece sentire felice e iniziò a pianificare di incontrare di nuovo il bel guerriero. Dopotutto, avevano una storia insieme, una storia piena di passione che non era ancora finita. XXX Daría si svegliò tra lenzuola di seta nera. Seduto sul letto, si rese conto di essere nell'alloggio di Ares. Si ricordò dell'accaduto e si alzò in fretta, Adone, lo deve aiutare, lo deve salvare dall'ira di Ares. Quando sono arrivato alla porta, si è sbattuta aperta. Di fronte a lei, vide il dio in tutte le sue forze. Fece un paio di passi indietro e il dio fece gli stessi passi avanti. - Non aver paura musa. Non ti farò male. - Rilasciò quasi in un sussurro. - Adone, cosa gli hai fatto? Ares portava un piatto d'argento con della frutta, la sinistra sul tavolo cercando di calmare la rabbia gli fece domandare. - Perché sei preoccupata? - Ha rilasciato anche senza vederla. - Gli hai fatto male? Questo Questo ...? - È ancora vivo se è quello che vuoi sentire. Espiravo l'aria che avevo trattenuto. - Anche se non per molto - Ha rilasciato di più a se stesso. Daria si irrigidì di nuovo. - Per favore, Ares, non fargli del male... non è colpevole di niente... Il dio si voltò e la prese per le spalle, la musa sentì le sue ossa scricchiolare. - È colpevole di aver toccato ciò che mi appartiene - rilasciò di nuovo con gli occhi rossi - nessuno, nessuno tocca ciò che è mio. La musa ricominciò a piangere. Il dio sentì la rabbia scomparire. In qualche modo il suo pianto lo disarmò. Fu quando sentì lo schiaffo sul viso. La lasciò andare come se la sua pelle bruciasse e il rosso nei suoi occhi fosse scomparso. Si agitò come se avesse appena combattuto una battaglia. Tendo la mascella. La musa si era allontanata ancora di più. Il dio iniziò a camminare molto lentamente verso di lei recitando le nuove regole che la musa avrebbe dovuto seguire. - Non te ne andrai da qui senza il mio permesso. Non vedrai mai nessun altro uomo, nemmeno Apollo. Resterai per servire me e solo me. Ad ogni regola, si avvicinava a lei, finché la musa non si scontrava con l'enorme letto e vi cadeva sopra. Il dio si abbassò su di lei e con un sibilo continuo. - Vuoi ispirare? mi ispirerai. Vuoi uscire? Uscirai con me. E quando avrai bisogno dei piaceri di un uomo, te li darò. - La lasciò andare, mettendosi tra le sue gambe. Daría non riusciva a respirare a causa della paura e della rabbia che provava in quei momenti, il peso della guerra le cadeva addosso. Lei, un'anima semplice fatta per la più pura e la più bella. - Ti è chiaro? Poteva sentire il respiro del dio impregnato di ambrosia sul suo viso. - Rispondi musa! Lo guardo con aria di sfida con la mascella serrata. - Devo rispettare tutto questo, ma puoi fare quello che vuoi, con... chi vuoi. Non credo sia un accordo molto equo. - Io... mi dispiace che tu... l'abbia vista. - Rilasciò con il rimorso negli occhi - non era mia intenzione... - Non mi importa. - rilasciò girando il viso. - Non devi scusarti, perché non devo seguire le tue stupide regole. Non ti appartengo. E non lo farò mai. Ares sentì la rabbia rifiorire. Aveva bisogno della sottomissione della musa. Aveva bisogno di vincere la battaglia. - Ti è chiaro? - ha deriso la musa. - Lo farai, lo farai Daria, giuro sul mio orgoglio, che sarai mia. - Non obbedirò ai tuoi ordini. Non sei il mio proprietario. - E chi è?! - Grido prendendogli i polsi e tenendoli con una mano sulla testa - Apollo?! Adone?! Moriranno entrambi! - Nessuno di loro! non appartengo a nessuno! Non appartengo agli dei! Sono libero come il vento! - gridò la musa anche con il dio addosso. Ares la guardò per qualche secondo con espressione statica. - Ora fallo tu. Mi appartieni... non so come... quando... ma ora... non riesco a toglierti dalla testa. Sono sicuro ... questo è un trucco dei Mori, che arriverai proprio qui ... proprio quando tornerò. Quello che hanno mandato proprio te a prenderti cura di me, Daria... - Devono aver chiamato la dea bionda. - ha rilasciato acido. - Perché ti assicuro che d'ora in poi dovrai chiamare lei. O qualsiasi altro, perché non io, rimarrò. Ares stava per ridere quando vide l'irritazione della musa per una dea che aveva già dimenticato. - Nessuno tranne te, giuro sul mio onore... nessun'altra donna calpesterà questo tempio più di te. La baciò, con tale passione che avrebbe potuto precipitare nell'oceano, domare un uragano o prendere un tornado tra le mani.
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