1.-2

2080 Words
“Non vede l’ora di prenderlo tutto,” pensò, reso sempre più stupido dall’eccitazione. E disse: «Succhiamelo». La spinse giù, se la trovò inginoccchiata davanti. Pressoché nuda, con le tette appuntite, i pantaloni ammucchiati attorno alle caviglie e gli slip ancora al loro posto. E la sua lingua... Caleb la guardò mentre iniziava a leccarlo. “Che puttana affamata di cazzo,” pensò, raggiungendo praticamente l’apice dell’idiozia. La sua lingua bagnata sull’asta dell’uccello. Le sue labbra che gli si chiudevano attorno alla cappella. Gliele dischiuse gentilmente con le dita e glielo infilò in gola. «Ah, Cristo...» ansimò, iniziando a muovere i fianchi. Le passò una mano tra i folti capelli scuri, tirandola lievemente verso di sé. «Prendilo tutto, tesoro. Succhia forte... oh, sì. Continua. Mmm... così...» Leah lo succhiava e lo leccava, respirando velocemente dal naso, sbrodolandosi di saliva e senza... senza risparmiarsi, in un certo senso. Lasciò che glielo strofinasse in faccia e sulle tette. Glielo succhiò forte come voleva lui. Caleb fece mezzò passo indietro, ansimante. «Cristo, sto per venire» rise. Lei inarcò un sopracciglio. «Oh, no» rise ancora lui. «No, no. Andiamo di là. Voglio farti il culo». Era tutto fuori scala, ormai. Era tutto folle. Il cazzo gli pulsava e non aveva idea di quanto avrebbe potuto durare e la sola idea di metterglielo dietro così, dopo cinque minuti, lo faceva quasi venire. Si scrollò via i pantaloni. Si liberò della camicia. Prese i preservativi, il lubrificante, il cellulare e mollò tutti e tre sul letto. Leah aveva finito di spogliarsi. Aveva un triangolino scuro sopra una passera per il resto depilata, tutta chiusa, morbida come un’albicocca. Caleb la tirò verso di sé e la baciò di nuovo sulla bocca. Di nuovo lei rispose al bacio. Lo accarezzò sull’uccello, facendolo ansimare disperatamente. Lui la toccò sulla fica. La strinse. Le stimolò dolcemente il clitoride. «Sei pronta, sì?» le chiese. Leah annuì. «Allora mettiti qua... a quattro zampe, brava. Cristo, che culo». E vederla così, a quattro zampe sul letto, nuda, con il sedere spinto fuori come se non vedesse l’ora di farselo rompere da lui... Caleb passò all’azione. Non poteva aspettare, semplicemente. Il cazzo gli pulsava, le palle gli facevano male, e il solo pensiero di metterglielo dietro polverizzava qualsiasi altra considerazione. Non gli era mai successo niente del genere. Era come se fosse il suo uccello a tirarsi dietro il resto del corpo. Prese il lubrificante e gliene spalmò un po’ tra le natiche. Chiappe tonde e sode, pallide, morbide, con al centro la rosellina contratta del suo buchetto e sotto quella passera morbida e bella come un’albicocca. Le stuzzicò il buco della fica con la punta di un dito. Era umida. Be’, sembrava umida, ma forse era il lubrificante che aveva spalmato dappertutto. E poi... quel culo. La testa gli girava, mentre tirava fuori un preservativo dalla scatola, apriva la bustina, se lo appoggiava sulla punta e... assurdo, stava per venire infilandosi l’impermeabile. Deglutì, si concentro, lo spostò verso il culo di lei. Leah si stava toccando. Con una mano si sgrillettava senza fretta, emettendo dei sospiri silenziosi. Per Caleb fu come prendere un colpo in testa. Il suo cervello si disconnesse del tutto. I suoi pensieri diventarono elementari, primitivi. Doveva infilarlo lì dentro. Subito. Appoggiò la punta su quel buchetto bruno e spinse leggermente. Quello cedette. I bordi rientrarono un po’ e la sua cappella lo allargò un pochetto. Leah emise un suono che poteva essere un lamento di dolore come di piacere. «Continuo?» chiese Caleb. Non aveva perso la ragione fino a non potersi fermare se le stava facendo male, era solo così infoiato da sperare di no, che tutto andasse bene e di poter continuare. «S-sì...» ansimò lei. Caleb diede un’altra spintarella. Le mise dentro tutto il glande e il buchetto di lei lo strinse, lo strinse così forte da farlo gemere. Se lo vedeva dentro. Il sedere di lei allargato dal cazzo di lui. Lo spettacolo più eccitante del mondo. La sensazione più forte, perché lo stringeva. Il suo buchetto lo stringeva tutto, come se non lo volesse lì o come se, al contrario, non volesse altro che prenderlo fino in fondo. «Foto» disse. Lei si voltò appena. Aveva la fronte sudata, ansimava, in viso aveva una smorfia sofferente. Lui prese il cellulare e inquadrò il suo uccello dentro il suo culo, la sua schiena e una parte del suo viso. Scattò. Buttò il cellulare un po’ più in là. Le posò entrambe le mani sulle natiche. Le palpò e le allargò. Pensò che il suo cazzo la divaricava di brutto. Pensò che lei stesse godendo da pazzi e non vedesse l’ora di prenderlo tutto. Pensò che stava per esplodere. Pensò che ora glielo avrebbe fatto sentire... E poi lo fece. Le entrò dentro fino in fondo, facendola gemere. «Tutto okay?» chiese, un po’ ipocritamente. Per lui era tutto più che okay. Adorava la sensazione di essere dentro il suo corpo. Adorava vedersela davanti trapassata dal suo uccello. Adorava la lieve pulsazione del suo buco, il lieve velo di sudore sulle sue natiche, il sottile odore di lubrificante. «S-sì» disse lei. Caleb iniziò a muoversi. Tenendola ferma per quelle chiappe bianche e tonde, uscì un po’ e poi la infilzò di nuovo. La sentì gemere. Gli sembrò di esplodere. Il buchetto di lei glielo strizzava tutto e l’orgasmo si stava già raccogliendo nella pancia di Caleb. Forte. Intensissimo. Le pompò dentro senza più preoccuparsi di farle male. La sentiva godere. La vedeva sgrillettarsi. Quella puttana adorava il suo cazzo e ne voleva sempre di più. Forse le piaceva prenderlo in culo da tutti. Di certo le piaceva prenderlo in culo da lui. Faceva dei rumori... come se fosse in calore... che meraviglia di chiappe... che meraviglia di... L’ultimo pensiero stupido di Caleb si perse nel suo orgasmo. Gli esplose nella pancia e gli salì nel cazzo. Eruttò dalla punta del suo attrezzo, facendolo gridare. Eiaculò ancora e ancora, dentro a quel culo stretto e pulsante... Forse stava venendo anche lei, pensò. L’ultimissimo pensiero idiota, prima che l’orgasmo si spegnesse e lui lo tirasse fuori. Lo vide richiudersi subito, pulsante e un po’ gonfio, bruno e lucido di lubrificante. Si lasciò cadere accanto a lei e si rivoltò a pancia in su. Il cuore gli pompava ancora veloce e aveva il respiro affannoso. «Tutto a posto?» chiese. Leah si stese cautamente su un fianco. Era sudata e ansimava un po’ anche lei. «Tutto a posto» confermò. Il cervello di Caleb ricominciò a funzionare e non fu una trasizione particolarmente piacevole. Si sfilò il preservativo e lo annodò, per poi posarlo sul proprio comodino. Il suo cazzo era morbido e umido e per un istante lo disgustò quasi. Si voltò verso di lei. «Sul serio, mh? Non... non stavo più pensando, in pratica. È stato tutto... strano. Fantastico, ma strano. Sei a posto, quindi». Lei sorrise appena. «Hai usato un chilo di lubrificante» spiegò. Caleb annuì. «Presumo che tu non sia venuta?». «No» confermò lei. «Vuoi per caso che te la lecchi o...» Leah ne sembrò divertita. «No, davvero, non preoccuparti. Caleb Byrd, confesso che sembravi molto più stronzo, al TG». «Sì, eh?» rise lui. Si allungò dal suo lato, stiracchiandosi. «E quest’accento? Vivi a Boston anche tu, vero?». «Vero» confermò lei. «Puoi considerarlo un investimento sul territorio». «Ma non ti conosco» continuò lui, ripulendosi la faccia dal sudore con una mano. «Cioè, non ti avevo mai vista, no? Non fai parte di...» «Del tuo giro? Non direi proprio. Insegno alla Tufts». Caleb non riuscì a impedirsi di inarcare le sopracciglia e di lanciare una lunga occhiata al corpo dell’altra. Le lunghe gambe tornite, le tette e quella fichetta così invitante. «Sei una professoressa?». «A contratto, per il momento. Storia americana». «E quanti anni...» «Trenta tra un mese. Altre domande?». Lui si mordicchiò il labbro inferiore. «Qualcuna» ammise. «Ma, ehi, non sei obbligata a rispondere. È solo che...» «Non coincido con la tua idea di femminilità?» rise lei. Caleb sorrise. «Non ho proprio niente da dire sulla tua femminilità. Posso...» aggiunse, allungando una mano verso le tette di lei. «Non dirmi che sei già pronto a ricominciare». Caleb si bloccò a metà del gesto. Appoggiò la mano sul copriletto, tra loro. «No, non...» Lei rise e gli prese la mano, portandosela al seno. La coprì con la sua, invidandolo a palpare finché voleva. «Sto scherzando, signor Byrd. Se sei pronto a ricominciare, ricominciamo. Sei persino bello. Oddio, devi essere anche finito in una di quelle classifiche orrende, tipo gli scapoli d’oro o roba del genere. Solo che pensavo che fossi fidanzato». Lui fece una smorfia e lei aggiunse. «Non che siano fatti miei, eh. Io sono qua per il mio milione». «Giusto. Uhm, quindi...» borbottò Caleb. Cedette alla tentazione e se la tirò contro, per poi sbadigliare. Così andava bene, pensò. Così andava molto bene. Dieci minuti di convenevoli, poi poteva ricominciare. Entrare in quell’albicocca soffice e tutto quanto. Leah intrecciò tranquillamente le gambe alle sue. Gli fece scorrere la punta delle dita sugli addominali, per poi rivolgergli un sorrisino dispettoso. «Pensavo che fossi grasso. Non grassissimo, magari, ma un po’ in carne. Oddio, nel contratto c’era scritto che non avevi niente di strano, ma sai... che cosa si può definire strano? In America quasi il trenta percento della popolazione è sovrappeso». «E se fossi stato sovrappeso?» chiese Caleb, incuriosito. Lei si strinse nelle spalle. «Dipende. Lievemente sovrappeso sarebbe stato accettabile. Molto sovrappeso sarebbe stato un casino. Comunque valeva la pena provarci». «Per un milione». «Già» confermò lei. Nessuna traccia di vergogna. Caleb si trovò a sorridere della sua tranquilla avidità. Era... riposante. Le sfiorò un capezzolo fino a vederlo indurirsi. E tutto, considerato, pensò, non le dispiaceva nemmeno. A volte la vita era così semplice. «Nel contratto che cosa dice delle spagnole?» chiese, palpandole delicatamente un seno. Leah gli rivolse un sorriso dispettoso. «Sono quasi sicura che non vengano menzionate. Ma, sai... non ho niente contro. Non ho niente contro niente, signor Byrd, basta che ci vai piano». Caleb si scrollò di dosso un po’ di sonnolenza e si mise a cavalcioni su di lei, un ginocchio a destra e uno a sinistra del suo torso. Le strofinò sulle tette l’uccello ancora bazzotto, aspettando l’ispirazione. «Mi dici perché?» chiese. Poi cambiò idea e aggiunse: «O forse vuoi fare una doccia?». «Perché che cosa? Perché ho accettato?» fece lei. Gli accarezzò la lunghezza dell’uccello e quello finì di diventargli duro. «Perché mio fratello deve farsi un’operazione che la sua assicurazione non copre. Potrei chiedere un prestito, ma così è più comodo e avanzerà qualcosa anche per me». Caleb rotolò da un lato. Scosse la testa come un cane appena uscito dall’acqua. «Eh?» fece. «Dico...» iniziò a spiegarglielo da capo lei. «No, ho sentito» la interruppe lui. Si guardò l’uccello. Quell’idiota non aveva ancora capito che la festa era finita. Tornò a guardare lei. «Che operazione?» chiese. «Al cuore. Un difetto congenito. Sento che avresti preferito non saperlo». «Cioè se non si opera muore?» non le badò lui. «È piuttosto probabile, sì. Ora è...» chiuse gli occhi ed espirò lentamente. «Perché non ho detto che volevo comprarmi una casa nuova, poi? Ora è a letto, ma nei prossimi giorni lo attaccheranno a una macchina. Ma avrei chiesto un prestito, comunque. Non sono in bolletta, è solo che non ho tutti quei soldi. Alla banca hanno detto che non ci sono problemi, ma ho pensato... e se poi ci fosse un problema?». «Cazzo» borbottò lui. Si guardò attorno. «Cazzo, dove ho messo il cellulare?». Lei glielo indicò. «È lì, perché?». «Non so... voglio insultare Austin, suppongo. Gli avevo detto che non doveva essere una questione di...» «Ehi» disse lei, tirandolo per un braccio. Caleb la guardò. Quell’imbecille del suo uccello continuava a non capire che era era imbarazzante avere quella conversazione con... «Magari volevo solo passare la notte con qualcuno a cui non importasse niente» disse Leah, gli occhi blu così duri e seri, ora. Caleb si chinò su di lei e la baciò sulle labbra. Il bacio si allungò mentre il suo cuore batteva sempre più veloce e le sue mani correvano sul corpo di lei. La strinse quasi dolorosamente e sentì che anche lei lo stringeva. Le salì sopra e il corpo di lei aderì al suo. Leah spinse il bacino verso di lui, lui le allargò le cosce con i fianchi. Un istante dopo le entrava dentro. Entrava in quella passerina a forma di albicocca e la sentiva stringerlo forte. La sentì calda, rovente, e bagnata e orribilmente stretta. La sentì contrarsi attorno a lui e spinse al suo interno, continuando a baciarla, a toccarla, a stringerla... Leah gli intrecciò le caviglie dietro alla schiena e Caleb le sprofondò dentro fino in fondo, assaporando la sensazione di sentirsela attorno, ascoltando i suoi soffici gemiti di piacere. L’orgasmo salì piano, ma continuò a lungo. La sentì contrarsi attorno a lui, la sentì pulsare e sentì la sua fichetta allagarsi di umori. Lui venne a lunghi getti, senza smettere di baciarla, schiacciandola con il proprio peso, il corpo di lei aggrappato al suo. Quando il piacere si spense, sollevò la testa e la guardò. Leah era ancora sotto di lui, con le gambe intrecciate alle sue e il sesso contro il suo sesso. Era sudata, ma lui era grondante, pur essendosi mosso relativamente poco. «Scusa» le disse. «No, mi è piaciuto» rispose lei, con un mezzo sorriso. «Intendevo per...» «Prenderò la pillola del giorno dopo. Sto... bene». Caleb annuì appena. Scivolò di lato. «Bene» mormorò. Lui, comunque, stava di merda.
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