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1.
Caleb Byrd si portò alle labbra il Martini e lo finì in un unico sorso. Posò il bicchiere sul tavolino accanto a sé e tornò a far vagare lo sguardo sulla piscina dell’hotel.
Il sole faceva risplendere le mattonelle bianche attorno alla vasca fin quasi a ferire gli occhi di chi guardava.
Austin si decise ad emergere dallo specchio azzurro acceso della piscina, prese il suo asciugamano dalla sdraio su cui l’aveva lasciato e lo usò per sfregarsi vigorosamente i capelli, per poi passarselo sul corpo muscoloso. Caleb lo vide tornare verso il loro tavolo e fare un cenno al cameriere in piedi accanto alla porta della terrazza per dirgli di portargli un altro cocktail.
Si sedette sulla sedia di plastica davanti a quella di Caleb e prese un paio di patatine dalla ciotola.
«Non so come fai a restare vestito» gli disse.
Caleb si strinse appena nelle spalle. Portava una camicia di lino bianca con le maniche rivoltate e dei pantaloni cargo leggeri e, no, non aveva caldo. Anzi, finché restava all’ombra era sicuro di poter anche continuare a bere senza sentirsi male.
«E quella faccia da funerale...» insistette Austin.
Caleb sbuffò. «Sei il mio avvocato o il mio psicologo?».
L’altro gli mostrò il palmo delle mani. «Oh, scusa. Suscettibile, oggi, mh? Pensavo che aver chiuso un contratto del genere ti avesse sollevato il morale. Appena un po’, magari. Ma mi illudevo. Senti, forse non dovrei suggerirlo, ma... una donna?».
Il cameriere posò davanti a loro altri due drink, un Martini per Caleb, un Manhattan per Austin. Caleb gli lasciò distrattamente una mancia che fece scintillare di gioia i suoi occhi.
«In che senso “una donna”? Potresti essere un po’ più specifico?» fece, vagamente querulo, quando quello se ne fu andato. Una donna, tra l’altro, era appunto il problema. Una donna e le donne in generale, probabilmente.
Austin si strinse nelle spalle. «Una donna, no? Cioè, una professionista. Ti farebbe bene. Se vuoi ho il numero di un’agenzia che...»
«Ah, intendi una escort» lo interruppe Caleb, con un sorriso freddo. Ma non era risentito. Non con Austin, comunque. «Be’, almeno sarebbe tutto, come dire, esplicito, no? Io ti p**o, tu me la dai. Sì, ha una sua attrattiva. Non che ci sia davvero bisogno di chiamare un’agenzia, eh. Prendi una donna a caso attorno a questa piscina e ti dimostrerò in un secondo che la stessa regola si applica a ognuna di loro. Io ti p**o, tu me la dai».
Il suo avvocato gli lanciò un’occhiata di bonario rimprovero. «Oh, via. Non tutte. E comunque non con la stessa velocità. In fondo siamo in un hotel a cinque stelle. Nessuna di quelle ragazze ha bisogno di soldi».
«No, no. Non parlo di necessità, bada. Non avrei nulla contro la necessità. Chi non farebbe una marchetta se stesse morendo di fame? Parlo di semplice avidità. Prendi una donna a caso, ti dico, e vedrai se non ho ragione».
Austin scosse la testa. Era chiaro che non era d’accordo, ma non voleva nemmeno litigare per una sciocchezza del genere. Tra l’altro, Caleb aveva bevuto, forse troppo, e, be’, anche lui.
«Poniamo che tu abbia ragione. Che tutte le donne attorno a questa piscina te la darebbero per soldi. Se non lo sai tu, con quello che vali... ma dimentichi il principale pregio di una professionista: la semplicità. Non devi... non so, regalarle un gioiello, un vestito, o una macchina. Basta che tu le metta in mano un certo numero di banconote. Oppure paghi alla loro agenzia. Carta di credito. Più comodo di così».
Caleb bevve un altro sorso. «Non mi sono ancora spiegato. Quello che dico io è: vai da una qualsiasi delle donne attorno a questa piscina e dille che la paghi per scopare. Se la cifra è sufficiente la tua percentuale di successo sarà del cento percento».
«Quantifica “cifra sufficiente”» ribatté Austin, inarcando un sopracciglio.
L’altro si grattò il mento. «Poni... un milione, come in quel film. Vai da una qualunque di queste donne senza problemi economici e dille che le dai un milione per venire a letto con te. No, anzi, dille che le dai un milione per passare tutta la notte con te e farsi scopare davanti e dietro, in bocca e ovunque tu voglia. E vediamo se ne trovi anche solo una che ti dica di no».
Austin sbatté le palpebre. «Be’, io non spenderei un milione per...»
L’altro fece un gesto seccato. «Io sì. Diciamo che voglio spendere un milione per festeggiare il contratto».
«Comunque non ci starebbero tutte, eh. Qualcuna sarà sposata».
Caleb sbuffò senza degnarsi di rispondere.
«Qualcuna non sarà interessata e basta».
L’altro indicò la piscina. «Okay, prova».
«Cioè?».
Caleb ridacchiò. «Prova. Scegli una donna a caso e dille che le darò un milione per passare la notte con me. Magari non sceglierla cozza, però».
Ridacchiò anche Austin. «Dio, sei sbronzo».
«Ma no. Cioè, forse un pochino, ma non in modo grave. Davvero, fallo. Una scommessa».
L’altro appoggiò il suo bicchiere e si sporse leggermente verso di lui. Era curioso di vedere fin dove sarebbe arrivato Byrd prima di tirarsi indietro.
«Va bene, ma stabiliamo i termini. Se la tizia accetta, tu che cosa ci guadagni?».
Caleb gli rivolse un sorriso divertito. «Dunque, vediamo... dato che sei un po’ puttana anche tu... diciamo che per un mese lavorerai per me gratis. Che te ne pare?».
Austin scoprì di starci pensando davvero. Quanto valeva un mese del suo lavoro per Byrd? Be’, un bel po’ di soldi, comunque. Soldi dai quali non avrebbe amato separarsi, anche se forse non proprio indispensabili alla propria sopravvivenza.
«E se vinco io?».
«Allora il milione te lo prendi tu» rispose lui, serafico.
Austin riformulò mentalmente: un bel po’ di soldi, ma sicuramente meno di un milione.
«Le clausole, ora. Abbiamo detto una donna qualunque attorno a questa piscina. Non brutta».
«Magari non troppo vecchia» sorrise Caleb.
Austin sventolò una mano, come ad accantonare quell’argomento. «Okay, una tizia carina. Il tipo che ti porteresti a letto comunque, diciamo. Ma vedo un altro problema. Non sei brutto neppure tu. Anche ponendo che la ragazza non sappia chi sei, se ti vede e le piaci?».
«No, no. Hai ragione, capisco il tuo punto. Le dirai solo che sono un uomo di trent’anni e che non ho niente di strano: che sono normale, insomma, ma senza parlarle della mia folgorante bellezza. E senza dirle chi sono».
«Folgorante, ora...» sorrise Austin.
Caleb gli lanciò un’occhiata sorniona e bevve un altro sorso.
«Definiamo le prestazioni» andò al sodo l’avvocato.
«Come ho detto: tutta la notte, davanti, dietro e dove cacchio mi va. Con un preservativo, è ovvio. Niente botte o altre pratiche dolorose. E niente roba schifosa: piscio, cacca, bestialità... quelli li lasciamo fuori. Anche perché, onestamente...»
«Okay» accettò Austin. Si guardò attorno. «Una qualsiasi, mh?».
«Una qualsiasi» confermò Caleb.
L’avvocato scansionò i bordi della piscina. Il materiale umano non mancava, ma non voleva che l’altro vincesse troppo facilmente. Le due trentenni abbronzate, palestrate e piastrate che si pavoneggiavano sdraiate sulle mattonelle bianche? Probabilmente l’avrebbero data via per cinquecento dollari. La tizia sdraiata accanto all’uomo grasso e un po’ peloso con il Cartier al polso? Era evidente che aveva già trovato un acquirente.
«Che ne dici di quella lì? È accettabile?» chiese, indicando una brunetta con un piccolo cenno della testa.
Austin aveva un certo occhio, dopo tutto. Era abituato a scartare i giurati e a capire i testimoni. Sapeva giudicare le persone. E quella tizia, la brunetta, doveva essere un osso duro.
Per prima cosa non era in costume. Era solo stesa su una sdraio con addosso una gonna e una maglietta non troppo scollata e non troppo aderente. Inoltre, leggeva. Stava leggendo un libro che sembrava addirittura un saggio, non un romanzetto da spiaggia. Aveva i capelli corti e un bel fisico, un viso piuttosto attraente, un’aria seria... sì, per Caleb non buttava per niente bene, se accettava la sfida.
«Sì, okay» disse lui, indifferente.
«Allora alzati e non farti più vedere. Ci penso io. Se dice di no ti chiamo e puoi tornare qua per sincerarti della cosa – e per condividere con me gli insulti, presumo. Se dice di sì...» Si interruppe e si grattò la testa. «Giusto. Come faccio a sapere che la notte è andata come da accordi?».
Caleb ridacchiò. «Ti voglio bene quando fai così». Ci pensò un attimo anche lui. «Be’, posso farle una foto. Per il resto ti dovrai fidare, perché non intendo girare un filmino o roba del genere».
Austin poteva accettarlo. I due si strinsero la mano e si separarono.
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Leah Ivers arrivò nella sua suite la sera seguente. Austin le aveva fatto firmare un contratto e tutto, in modo da essere al sicuro sotto ogni punto di vista. Caleb aveva visto il contratto e aveva sorriso per la specificità di alcune clausole. Austin aveva una mente precisissima, questo era certo.
E ora, poco più di ventiquattro ore dopo la loro scommessa, Caleb vedeva entrare la sua vittoria dalla porta del salotto principale della suite.
Nel frattempo aveva appreso il nome della ragazza, ma non sapeva nient’altro. Leah Ivers entrò con ancora in mano la tessera che le era servita per salire fin lì in ascensore e si guardò attorno. Lo vide e inclinò la testa da un lato, un po’ sarcastica.
«Non mi dire» borbottò, più divertita che altro.
Era chiaro che l’aveva riconosciuto.
Caleb fece un gesto vago nell’aria. «Era una scommessa» precisò.
La brunetta che si era comprato per la notte, notò, non si era preoccupata di farsi carina. Ma era carina, con le gambe lunghe e i seni piccoli e sodi, quindi andava bene lo stesso. Indossava dei jeans bianchi, dei sandali a listarelle bassi e una maglietta con uno scollo a barca. Tutto pieno di buon gusto anche se, data la natura della loro transazione, Caleb avrebbe apprezzato di più un mini-vestito e dei tacchi.
«E l’hai vinta o l’hai persa?» chiese lei, lasciando la borsa sul divano.
«L’ho vinta. Avevo scommesso che qualsiasi donna attorno alla piscina dell’hotel... be’, lo sai».
Leah, lì, rise e andò verso di lui con passo deciso. «È un’idea un po’ maschilista, anche se forse non sbagliata. Be’? Che devo fare?».
I suoi occhi blu brillavano di divertimento, cosa che in un certo senso rassicurava Caleb. Se avesse visto che era preoccupata, imbarazzata, o persino disgustata avrebbe avuto dei problemi a portare fino in fondo la scommessa.
«Non so» disse, con un sorriso appena accennato. «Lasciarti scopare, presumo».
«Fin lì ci ero arrivata» rise lei. Si fermò esattamente davanti a lui, fissandolo negli occhi. «Prenditela con calma, cowboy. Rispetterò il contratto alla lettera, ma mi serve qualche minuto per entrare nella prospettiva giusta».
Gli prese le mani e se le portò sui fianchi.
Caleb pensò che era troppo diretta, persino un po’ intimidente, ma sentì anche la carne soda dei suoi fianchi e questo gli fece un’impressione... forte. Più forte di quello che si sarebbe aspettato. Si rese conto che la prospettiva di fottere una tizia di cui conosceva solo il nome per lui era profondamente eccitante. Non sapeva dove posizionare con esattezza i soldi, in quello che sentiva, ma avevano una parte anche quelli.
Le infilò le mani sotto alla maglietta, reggendo il suo sguardo. Divertito, ma anche piuttosto deciso, a quel punto. Accarezzò la sua pelle e strinse leggermente, tirandola verso di sé.
La brunetta, Leah, gli si appoggiò contro e gli leccò il collo.
A quel punto l’escalation fu piuttosto veloce, per Caleb. Il cazzo gli diventò duro. Così duro da fargli male e così in fretta da lasciarlo senza fiato.
Le sue mani scivolarono dietro, sul culo di lei, e lo strinsero. Leah gli si strusciò lentamente contro e Caleb pensò qualcosa di stupido tipo “muore dalla voglia”. Razionalmente sapeva che le cose erano un po’ diverse, ma in quel momento la razionalità non contava molto. Pensò che la tizia che aveva davanti aveva voglia di cazzo e che lui glielo avrebbe dato. Tutto qua.
«S-spogliati» balbettò, continuando a palparle il sedere.
Una parte di lui si sentiva ridicola. Una parte di lui provava persino una certa vergogna per il modo in cui si stava comportando.
Ma l’uccello gli era diventato dolorosamente duro e il sangue gli era affluito al cervello. Non pensava più molto lucidamente. Voleva solo infilarlo da qualche parte e scaricarsi. Scaricarsi da quell’eccitazione così violenta e inattesa, da quel bisogno impellente e improrogabile.
Leah si sfilò la maglietta. Lui stesso le slacciò i pantaloni e glieli abbassò. Quando tornò a guardarla anche il reggiseno era scomparso e lei aveva le tette nude. Tette piccole e pallide, sode e tonde, evidentemente morbide, con i capezzoli rosa chiaro.
Le strinse. Le palpò. Se le sarebbe portate alla bocca, se non avesse sentito la mano di lei sul cavallo dei pantaloni.
«Cristo» borbottò, slacciandosi la cintura. Glielo mise in mano, mentre si chinava per baciarle la bocca. Labbra morbide, lingua umida e ruvida... e la sua mano, là sotto, lo toccava delicatamente, ma senza esitazione.