Quella notte risolsi il problema indossando una parrucca.
Lasciai che Cooper guardasse le esibizioni svogliate di un paio di “colleghe”, poi salii sul mio vecchio palcoscenico.
Immaginate un locale buio, l’aria calda squarciata dai lampi improvvisi dei faretti alogeni. Immaginate cameriere discinte, uomini sudaticci e una pista da ballo rialzata che serpeggia tra i tavoli. Abbastanza squallido, vero? E non era nemmeno il peggior locale di lap-dance di Londra, anzi. Era uno dei più decenti.
All’interno il calore era costante, soffocante, in modo che gli avventori avessero voglia di bere. Quando avevano bevuto abbastanza non avevano solo riempito le casse del Dreamland, ma notavano anche di meno i difetti degli show.
Entrai in scena quando iniziò la musica, partendo con i passi che ricor
