Questa volta, quando mi sveglio, il tormentoso mal di testa è svanito per mutarsi in un dolore sordo, e posso aspirare aria più facilmente. C’è ancora uno strano tanfo di muffa, ma non soffoco più ogni volta che provo a riempire i polmoni.
Il lato del mio collo pulsa e sono raggomitolata a palla in un angolo della gabbia. Le strane creature simili a gorilla-lucertole sono ancora lì e parlano tra loro grugnendo sommessamente.
“…si svegli a breve…”
“... che sia arrivata qui giusto in tempo per l’asta...”
“... spero che il chip traduttore riconoscerà la sua lingua madre e che funzionerà...”
“...così piccola e fragile; sicuro che non la spezzeranno?”
“…comincerà a breve; speriamo che si svegli in tempo…”
Sono esausta, spaventata a morte e confusa; perciò mi occorre un momento per rendermi conto che posso davvero capire cosa stanno dicendo. Com’è possibile? Qualche strana tecnologia aliena? Ha qualcosa a che fare con quello che mi hanno iniettato?
Poso un dito sul punto del collo in cui è entrato l’ago e ci do un colpetto sopra, che mi fa trasalire. C’è un piccolo nodulo appena sotto la superficie della pelle. Un chip? Questi stronzi mi hanno davvero microchippato?
O sto ancora sognando e immaginando davvero tutto questo?
Deglutendo a fatica, con la gola secca, prendo un altro respiro all’odore di muffa e chiamo ad alta voce: “Ehi! Voi!”
Immediatamente si zittiscono e, all’unisono, proprio come l’ultima volta, tutti girano la testa verso di me.
“Sei sveglia”, grugnisce uno di loro, avvicinandosi di un passo alla mia gabbia.
“Non grazie a voi!” Calma, Emma, non inimicarteli.
“No... grazie?” Un altro degli alieni inclina la testa, riflettendo sulla mia affermazione. Quindi sembrano capire quello che sto dicendo. Più o meno.
“Significa... oh, non importa”. Sospiro. “Chi di voi è il leader?”
“Leader?” La parola che usa la creatura è un’esclamazione gutturale, ma la capisco lo stesso perfettamente. Che strano…
“Sì. Chi comanda? Chi è il capitano? Il direttore? Il boss? Sai, il grande capo”.
Tutti si guardano l’un l’altro a turno. Poi uno sussurra qualcosa. Ha una cicatrice blu sul sopracciglio. “Io”, dice, in un tono di incredulità.
Ho l’impressione che qui non ci siano gerarchie e stiano solo fingendo con me. Non mi interessa. Tornerò a casa, in un modo o nell’altro. Questo è il mio unico obiettivo. “Okay, lo dico a te”. Mi rivolgo a Cicatrice Blu con il tono più dolce che riesca ad assumere: “Penso che sia stato fatto un errore. Io non dovrei stare qui. Non voglio che ti venga fatto del male… idealmente, non voglio che venga fatto altro male nemmeno a me; quindi che ne dici di farmi uscire da questa gabbia e mostrarmi come tornare a casa?”
Si avvicina, e il suo sguardo incontra il mio. I suoi occhi sono rotondi e scuri, pozze profonde con vortici d’argento. Ipnotici. Sbatto le palpebre e distolgo lo sguardo. “No”, dice alla fine. “Tu resti qui. Vai all’asta Sei buona per gli ulfarri o altri offerenti”.
Aspetta... Cosa? Non sono sicura di aver sentito bene. “Asta?” dico lentamente.
“Sì. Schiave. Andrai presto in calore e questo va bene per l’accoppiamento con gli alfa. Gli alfa pagano bene per una buona compagna”.
Mi prendo un momento per digerire questa assurdità. Quindi, vediamo se ho capito bene: in un solo venerdì sera mi è stato negato l’ingresso in un kink club, mi sono allontanata dalla porta e poi sono precipitata in un’altra dimensione attraverso un condotto spazio-temporale viscido e fangoso? Una galassia? Qualcosa di alieno, comunque. Poi sono stata rinchiusa in una gabbia, mi è stata iniettata chissà cosa contro la mia volontà (anche se abbiamo già stabilito che si tratta di una specie di microchip e software di traduzione), e ora mi metteranno all’asta come schiava del sesso per una cosa chiamata "Alfa"?
Sì... questo non succederà.
Mai.
Poi un’altra parte della sua affermazione si fa strada nella foschia confusa della mia mente in corsa.
“Aspetta un momento. Hai detto che andrò presto in calore?” chiedo, sbalordita da quanto la mia voce suoni calma e razionale, anche se non riesco proprio a credere che io stia avendo questa conversazione.
Cicatrice Blu annuisce. “Vai in estro e impazzisci per gli alfa. Fai impazzire gli alfa per te. Ti accoppierai. Genererai dei figli”.
“Oh, davvero?” A questo punto, il mio sopracciglio sinistro è così sollevato sulla fronte che starà quasi toccando l’attaccatura dei capelli. “Non credo... come ti chiami? Sei tu Ulfarri?”
Questo fa sì che le altre creature emettano una serie di gracidii, un’orribile risata gutturale. Almeno, presumo che ciò che stanno dimostrando sia allegria.
Cicatrice Blu scuote la testa. “Noi ogsul, non ulfarri. Gli ulfarri sono I Brutali. Tutti hanno paura degli ulfarri. Ma non preoccuparti: sono gentili con loro compagne”.
“Certo che lo sono”, mormoro sottovoce. “Non sono maschi umani”.
Anche se le creature riunite non sembrano aver colto il sarcasmo, trovo un po’ di conforto nel fatto che, nonostante questa orribile situazione, non ho ancora perso il mio senso dell’umorismo.
Francamente, a questo punto, non mi sembra di avere molto altro.
“Ma non solo ulfarri all’asta”, continua Cicatrice Blu. “Anche altri. Vincerà il miglior offerente. Forse tu fortunata. Forse non vieni presa da un ulfarri”.
“Gli ulfarri si accoppiano molto”, grugnisce un’altra delle creature. Evviva! Commento dalla piccionaia. Trattengo un sospiro mentre continua: “Cambiano molte volte femmina. Prendono schiave del sesso. Le sfiniscono”.
“Capisco”. La mia voce ha in effetti una nota di noia. Sono in sovraccarico. Non posso prendere sul serio nulla di tutto questo. Se lo faccio, impazzirò. E non ho l’energia per un vero e proprio attacco di panico. È tutto così assurdo e così lontano anni luce dalla realtà che non può essere vero. O che stia realmente accadendo.
Certa che mi sveglierò da un momento all’altro, mi sento libera di far trasparire la mia monella interiore. A quanto pare, queste cose mi hanno rapito. Non posso combattere, ma posso insultarle.
Non che questo sembri infastidirle molto. Purtroppo.
Mi accovaccio e il top si abbassa, esponendo una porzione più ampia del mio seno. Cerco di coprirmi, ma i vestiti da club sono strappati, sporchi e completamente rovinati. “Hai qualcos’altro da farmi indossare?” chiedo a Cicatrice Blu. “Chi vorrà fare un’offerta per me, se sono vestita così?” Non voglio che qualcuno faccia un’offerta per me, ma voglio sentire cosa dirà lui.
Cicatrice Blu alza le spalle. “Agli offerenti non interessa... l’abbigliamento”. La sua bocca si spalanca in quello che deve essere il sorriso più orribile dell’intero universo conosciuto, rivelando strani denti squadrati. “Non preoccuparti. Ti ritroverai nuda molto, molto presto”. Il suo alito puzzolente mi colpisce in viso e i miei occhiali rosa vanno in frantumi.
Mi aggrappo al mio top rovinato, con lo stomaco che si contrae. “Che cosa?”
“Sì”. Cicatrice Blu annuisce. “Aspetta, omega”.
Omega?
“Non so di cosa stia parlando”. Mi sforzo di far uscire le parole nonostante il groppo in gola. “C’è stato un errore. Io sono umana”.
“Sì. U-man. E ora omega. Fatta per scopare”. Fa un cenno verso il mio corpo. Mi rendo conto che sto tremando.
Che cosa?
“Presto andrai in estro. Alfa sentirà il tuo odore. Si accoppierà con te. Si legherà a te”.
“Non è, non sono...” Sto balbettando.
“Lo sei, ora. Omega”. Cicatrice Blu mi guarda, ma io non riesco a porgli altre domande. Porto in fretta la mano alla bocca. Se vomito ora, non potrò cambiare gli abiti sporchi. Non che ci sia qualcosa nel mio stomaco.
Vorrei solo essere a letto, a casa, da sola. “Svegliati, Emma”, mormoro. “Per favore, per favore, svegliati”.
C’è un terribile, fastidioso rumore di metallo che stride sul metallo, e io sussulto. Una delle altre creature sta aprendo la gabbia.
“È ora, omega”, mi annuncia Cicatrice Blu, con i suoi lunghi denti che lampeggiano nella luce fioca. “Vai all’asta”.