Mr. Frank Churchill era uno dei vanti di Highbury, e c’era una curiosità viva e generale di vederlo, sebbene tal complimento fosse così poco contraccambiato che egli non si era mai recato là in vita sua. Si era spesso discorso d’una sua visita al padre, ma questa non s’era mai concretata.
Ora, nell’occasione del matrimonio del padre, era stato suggerito da parte di moltissimi, quale segno quanto mai conveniente di rispetto, che quella visita dovesse aver luogo. Non c’era a questo proposito nessuna voce discordante, sia quando Mrs. Perry prendeva il tè da Mrs. e Miss Bates, sia quando Mrs. e Miss Bates restituivano la visita.
Adesso era il momento in cui Mr. Frank Churchill sarebbe dovuto venire tra loro; e la speranza prese forza allorché si seppe che egli aveva scritto alla sua nuova madre in questa circostanza. Per qualche giorno in ogni visita mattutina a Highbury non mancò di accennare alla bella lettera ricevuta da Mrs. Weston. «Immagino che abbiate sentito della bella lettera che Mr. Frank Churchill ha scritto a Mrs. Weston.
Sento che è stata proprio una gran bella lettera. Me ne ha parlato Mr. Woodhouse. Mr. Woodhouse ha visto la lettera, e dice che in vita sua non ha visto lettera così bella.»
Era davvero una lettera commendevolissima. Naturalmente Mrs. Weston s’era fatta un’idea quanto mai lusinghiera del giovanotto; e codesta gradita attenzione era una prova irresistibile del gran buon senso di lui, e una preziosa aggiunta a ogni fonte e a ogni espressione di felicitazioni che il matrimonio le aveva già procurato. Ella si sentì una donna fortunatissima, ed aveva vissuto abbastanza per sapere come ben potesse considerarsi fortunata, là dove l’unico rammarico era per una separazione parziale dai suoi amici, i cui sentimenti verso di lei non s’erano mai raffreddati, e che mal sopportavano di separarsi da lei.
Sapeva che talvolta la sua mancanza doveva essere sentita; e non poteva pensare senza pena che Emma dovesse perdere un solo piacere, o soffrire un’ora di tedio per la mancanza della sua compagnia: ma la cara Emma non era di carattere debole; era all’altezza della sua situazione più di quanto sarebbero state la maggior parte delle ragazze, ed aveva giudizio ed energia e spirito che si poteva sperare l’avrebbero aiutata a superare bene e felicemente le piccole difficoltà e i piccoli sacrifici che quella situazione importava.
E poi c’era tanta ragione di conforto nella brevissima distanza tra Randalls e Hartfield, così conveniente anche per donne che volessero coprirla da sole, e nell’indole e nelle circostanze di Mr. Weston, che non avrebbero fatto sì che la stagione che s’approssimava fosse un impedimento al loro passare insieme la metà delle serate d’una settimana.
La sua situazione era insomma, per Mrs. Weston, fonte di ore di gratitudine e solo pochi momenti di rammarico; e la sua soddisfazione - ma è poco chiamarla soddisfazione - il suo lieto godimento era così giusto ed evidente, che Emma, per quanto conoscesse bene suo padre, talvolta provava sorpresa nel vederlo ancora capace di commiserare «la povera Miss Taylor», quand’essi la lasciavano a Randalls in mezzo a ogni agio domestico, o la vedevano andarsene la sera accompagnata alla propria carrozza dal suo simpatico marito. Ma non capitava mai che ella se ne andasse senza che Mr. Woodhouse facesse un gentile sospiro e dicesse:
«Ah, povera Miss Taylor! Quanto le piacerebbe restare!»
Non c’era modo di riavere Miss Taylor, né era molto probabile che si cessasse di compiangerla; ma il corso di poche settimane portò qualche sollievo a Mr. Woodhouse. Eran finite le congratulazioni dei suoi vicini; egli non veniva più tormentato con gli auguri di felicità per un avvenimento così doloroso; e la torta nuziale che gli aveva causato tanta afflizione, era stata tutta mangiata.
Il suo stomaco non poteva tollerare niente di succulento, ed egli non poteva mai credere che gli altri fossero diversi da lui. Quello che era insalubre per lui, lo considerava nocivo a chiunque; e perciò non aveva risparmiato sforzi per persuaderli a non fare una torta nuziale, e riusciti quelli vani, non aveva messo minor impegno nel tentar d’impedire a ognuno di mangiarne.
S’era dato pena di consultare in proposito Mr. Perry, il farmacista. Mr. Perry era un uomo intelligente, dai modi signorili, le cui frequenti visite erano una delle consolazioni della vita di Mr. Woodhouse; e postagli la questione, egli non poté non riconoscere (sebbene a dispetto delle proprie inclinazioni, a quel che pareva) che la torta nuziale può certo riuscire indigesta a molti, forse ai più, a meno che non se ne mangi moderatamente. Con tale opinione a suffragar la propria, Mr. Woodhouse sperava d’influire su ogni persona che venisse a visitare la nuova coppia; ma pure la torta seguitava a essere mangiata; e non ci fu riposo pei suoi caritatevoli nervi finché non fu tutta finita.
Correva una strana voce per Highbury, che tutti i piccoli Perry erano stati veduti con in mano una fetta della torta nuziale di Mrs. Weston: ma Mr. Woodhouse non ci volle mai prestar fede.
Capitolo III
A suo modo Mr. Woodhouse amava la società. Gli piaceva molto che i suoi amici venissero a fargli visita; e per il concorso di varie cause, la sua lunga residenza a Hartfield, e la sua buona indole, il suo patrimonio, la sua casa, e sua figlia, egli poteva esigere le visite del suo piccolo circolo quasi a suo beneplacito. Al di là di quel circolo non aveva molti rapporti con altre famiglie; il suo orrore di far tardi la notte e di partecipare a pranzi con molti invitati lo rendevano incapace di coltivare altre conoscenze che quelle disposte a visitarlo nei modi che a lui piacevano. Per sua fortuna ce n’eran parecchie così a Highbury, con Randalls nella stessa parrocchia e l’Abbazia di Donwell nella parrocchia limitrofa, dove Mr. Knightley aveva la sua tenuta. Non dì rado, per suggerimento di Emma, egli invitava a pranzo alcuni degli eletti e dei favoriti, ma le brigate serali eran ciò che preferiva, e, a meno che talora non s’immaginasse impari alla fatica di ricevere gente, rara era la sera della settimana in cui Emma non riuscisse a mettere insieme per lui una partita di carte.
Un riguardo sincero, d’antica data, faceva venire i Weston e Mr. Knightley; e quanto a Mr. Elton, un giovanotto che viveva da solo senza provarci gusto, il privilegio di scambiare qualunque vuota sera della sua nuda solitudine con le eleganze e la società del salotto di Mr. Woodhouse e coi sorrisi della sua leggiadra figlia, non rischiava di essere gettato via.
Dopo costoro veniva una seconda schiera; tra i più accessibili di questi erano Mrs. e Miss Bates e Mrs. Goddard, tre signore quasi sempre agli ordini d’un invito da Hartfield, che erano mandate a prendere e ricondotte a casa così spesso che Mr. Woodhouse non pensava che fosse una fatica per James o pei cavalli. Se ciò avesse avuto luogo solo una volta l’anno sarebbe stato motivo di lagnanze.
Mrs. Bates, vedova di un precedente pievano di Highbury, era una signora molto vecchia, che quasi non viveva altro che per il tè e i quadrigliati. Campava con una figlia nubile molto modestamente, ed era circondata di tutto il riguardo e il rispetto che può suscitare un’innocua vecchia signora che si trovi in sì sfavorevoli circostanze. La figlia godeva di un grado di popolarità veramente eccezionale, per una donna che non era né giovane, né carina, né ricca, né sposata. Miss Bates si trovava nelle peggiori condizioni possibili per ottenere molto del pubblico favore; non aveva superiorità intellettuale per controbilanciare le proprie deficienze o intimidire e obbligare al rispetto, sia pure esteriore, coloro che avrebbero potuto odiarla. Non aveva vantato mai bellezza o vivacità d’ingegno. La sua giovinezza era trascorsa senza distinzione, e la sua mezza età era dedicata alla cura d’una madre le cui forze declinavano, e al tentativo di far bastare quanto più poteva una piccola rendita. Eppure essa era una donna felice, e una donna che nessuno nominava senza benevolenza. Era la sua propria benevolenza verso tutti e la sua indole contenta che operavano tali miracoli. Essa amava ognuno; s’interessava alla felicità di ciascuno, scorgeva subito i meriti di ciascuno, si riteneva un essere fortunatissimo, che godeva dei vantaggi di una madre così eccellente, e di tanti buoni vicini e amica di una casa che non mancava di nulla. La semplicità e la gaiezza della sua natura, il suo spirito contento e grato, erano una raccomandazione per tutti e una miniera di felicità per lei stessa. Non si stancava mai di parlare di piccole cose, e questo era proprio quel che ci voleva per Mr. Woodhouse, pieno di banali informazioni e d’innocenti pettegolezzi.
Mrs. Goddard era maestra d’una scuola - non d’un educandato, o d’un istituto, o di qualcosa che professasse, in lunghe frasi di raffinata assurdità, di combinare un’istruzione liberale con una morale elegante secondo nuovi principi e nuovi sistemi; e dove, pagando un’enorme retta, le signorine potessero gradualmente perdere la salute e acquistar vanità - ma d’un vero e proprio onesto convitto all’antica, in cui una ragionevole quantità di cognizioni era venduta a un prezzo ragionevole, e dove si potevano mandare le ragazze perché si levassero dai piedi e a forza di sgobbare si conquistassero un po’ d’istruzione, senza correre il pericolo di tornare a casa prodigi. La scuola di Mrs. Goddard godeva alta stima e molto meritatamente poiché Highbury era considerata un sito particolarmente salubre: Mrs. Goddard aveva una casa e un giardino assai vasti, dava alle bambine un vitto sano e abbondante, le faceva scorrazzare attorno un bel po’ durante l’estate, e nell’inverno medicava con le proprie mani i loro geloni. Nessuna meraviglia, quindi, che una coda di venti coppie di giovinette le andasse ora dietro in chiesa. Era un tipo di donna materna, senza bellezza, che aveva lavorato indefessamente da giovane, e ora riteneva di potersi concedere di tanto in tanto la vacanza d’una visita all’ora del tè; ed essendo stata in passato molto obbligata alla bontà di Mr. Woodhouse, sentiva che egli aveva uno speciale diritto a chiederle di lasciare ogni volta che poteva il suo lindo salottino dalle pareti decorate di punti a croce, per andare a vincere o a perdere poche monetine da sei denari presso il suo focolare.
Eran queste le signore che Emma riusciva di frequente a convocare; ed era felice di tal potere, per via di suo padre; sebbene per quanto la riguardava, ciò non rimediasse all’assenza di Mrs. Weston. Era lieta di vedere il padre soddisfatto, e si rallegrava con se stessa di riuscire a combinare le cose così bene; ma le poco vivaci filastrocche di tre donne come quelle le facevan sentire che ogni serata spesa così era appunto una di quelle lunghe sere che essa aveva paventato.
Mentre una mattina stava seduta, con la prospettiva di concludere la giornata precisamente in questo modo, fu recato un biglietto di Mrs. Goddard che, nei termini più rispettosi, chiedeva il permesso di condurre seco Miss Smith; una richiesta assai bene accetta: ché Miss Smith era una ragazza diciassettenne che Emma conosceva benissimo di vista e a cui s’andava interessando da un pezzo a causa della sua bellezza. Venne risposto con un cortesissimo invito, e la serata non incusse più timore alla bella padrona di casa.
Harriet Smith era figlia naturale di qualcuno. Qualcuno l’aveva messa, parecchi anni prima, alla scuola di Mrs. Goddard, e qualcuno di recente l’aveva innalzata dalla condizione di scolara a quella di alunna ospite della famiglia della direttrice. Questo è quanto si sapeva generalmente della sua storia. Non aveva amici visibili a parte quelli che si era fatti a Highbury, e adesso era appena tornata da una lunga visita in campagna a certe signorine che erano state là a scuola con lei.
Era una ragazza molto leggiadra, e capitava che la sua bellezza fosse d’un genere che Emma particolarmente ammirava. Era bassa, grassottella e bionda, con un colorito incantevole, occhi azzurri capelli chiari, fattezze regolari, e uno sguardo di gran dolcezza; e prima della fine della serata Emma era invaghita dei suoi modi non meno che della sua persona, e decisa a coltivare la sua conoscenza.
Non rimase colpita da alcunché di particolarmente brillante nella conversazione di Miss Smith, ma la trovò nell’insieme molto attraente - non disdicevolmente timida, non avversa a parlare - eppure così aliena dall’intrudersi, così disposta a mostrare una deferenza appropriata e conveniente e una gratitudine tanto simpatica per essere stata ammessa a Hartfield, e così ingenuamente impressionata dall’apparenza d’ogni cosa in uno stile così superiore a quello a cui era avvezza, che essa doveva avere buon discernimento e meritava d’essere incoraggiata. E incoraggiata doveva essere. Quei teneri occhi azzurri e quelle grazie naturali non dovevano essere sciupati con la scadente società di Highbury e le sue relazioni. Le conoscenze che essa aveva già fatto erano indegne di lei. Gli amici da cui si era separata pochi momenti prima, benché gente assai buona, dovevano farle del male. Si trattava d’una famiglia Martin, di cui Emma sapeva per sentito dire che aveva preso in affitto una gran fattoria di Mr. Knightley, risiedendo - con ottima riputazione, credeva - nella parrocchia di Donwell, e le era noto che Mr. Knightley ne aveva molta stima. Ma dovevano essere persone rozze e incolte, inadattissime come amici intimi d’una ragazza a cui non mancava che un po’ più d’istruzione e d’eleganza per essere proprio perfetta.