Chapter 3

2908 Words
3. Era un omuncolo strano e sproporzionato, alto non più di un metro e sessanta. Gli occhi scuri, grandi e infossati, costituivano l’unica caratteristica piacevole di un viso assolutamente ripugnante: erano gli occhi di un animale intelligente. La sua fronte, alta in modo grottesco e solcata di rughe, correva fin quasi al punto in cui, alla sommità della testa, si sprigionava una zazzera grigia. Le guance non rasate erano cadaveriche, incavate e profondamente segnate; la mandibola sporgente, che l’uomo muoveva in continuazione, esprimeva una certa crudeltà. Il suo pesante e dozzinale cappotto era fradicio, e le sue scarpe cominciavano a lasciare due piccole pozze d’acqua sul tappeto nero. Indossava un paio di guanti di lana fatti a mano e reggeva una frusta custodia di violino. - Lieta di vederla! - mormorò madame. - È stato gentile a venire: ho bisogno della sua ispirazione. Suoni, suoni, suoni! L’ometto fissava Alan con sguardo malevolo. - Non poteva fermarsi e darmi un passaggio, signore? - chiese in tono risentito. - Sono stato costretto ad arrancare nella melma e nel fango. L’ho chiamato, ma lui niente: ha tirato dritto... lui sul calesse, e io a piedi! Alan spostò lo sguardo sull’infermiera. Questa se ne stava immobile e rigida, il viso atteggiato a un’espressione inorridita che lasciava intendere qualcosa della storia che Alan era intenzionato a farsi raccontare prima di lasciare quella casa. - Suoni! L’ordine era imperioso. L’ometto si accoccolò su una sedia e aprì la custodia, da cui estrasse un vecchio violino e un archetto, accomodandosi poi lo strumento nell’incavo della spalla. Dopodiché, cominciò a suonare; e suonò senza staccare neanche per un attimo i suoi occhi da animale dal viso di Jane Garden; suonò, improvvisando ogni singola nota. A tratti, sfidava qualsiasi legge dell’armonia, eseguendo dei fraseggi così poco musicali che Alan, pur non essendo un appassionato di musica, trasaliva; a volte, la melodia diventava struggente, e l’anima stessa dell’umanità sembrava vibrare sulle corde dello strumento. Suonava senza distogliere lo sguardo da Jane, e Alan Mainford intuì che quell’uomo leggeva nei sentimenti della ragazza come in uno spartito, traducendo i suoi pensieri, la sua dissonante paura, la sua stridente insicurezza, la sua cieca disperazione in note musicali. - Suoni me, uomo ignobile! Lasci perdere lei! Ha sentito? Suoni me! La voce di madame era un gemito iroso. Allora era vero! Quel piccolo diavolo turpe trasformava in melodia i moti dell’anima. Alan vide che il violinista spostava lo sguardo verso la donna più anziana: il ritmo della musica crebbe; i suoni si fecero aspri, incoerenti, indistinti e stridenti. Poi, all’improvviso, con una dissonanza che fece allegare i denti di Alan, la musica cessò. - Il prodotto della mia mente! L’ometto sgradevole si vantò ad alta voce. Era soddisfatto di sé - trionfante è la parola giusta. Gonfiò il torace, si deterse la fronte madida di sudore con un fazzoletto dai colori sgargianti, atteggiando le labbra tumide a un sogghigno. - Il prodotto della mia mente! Lei è un uomo istruito; io sono un autodidatta... ma sono più intelligente! La prossima volta che le chiederò un passaggio, lei non me lo rifiuterà! Tutt’a un tratto, era diventato prepotente, autoritario. Alan, che aveva tutte le ragioni di essere irritato, era invece divertito: lo scopo di tutta quella spavalderia era di mettersi in buona luce agli occhi di Jane Garden. L’ometto sgradevole si stava pavoneggiando. - Io sono capace di cantare, recitare, danzare - continuò. - Mi sono esibito in molti teatri, davanti a un pubblico. Sono in grado di fischiare come un uccellino... - Increspò le labbra e, all’improvviso, la stanza si arricchì della presenza di un merlo, che esprimeva con il suo canto la gioia di vivere e la primavera già sbocciata nel suo piccolo cuore. Alan ascoltava, affascinato. - Basta così. Lei ha fatto un ottimo lavoro, mio caro amico! - Madame mise fine all’esibizione. - Ecco il denaro. Infilò la mano in una minuscola borsetta che teneva legata al polso. Si udì un tintinnio di monete d’oro, e la donna allungò due sovrane al violinista. - Lei è davvero un grand’uomo. - Il tono di madame era quasi suadente. - Un giorno, sarà il più grande uomo della terra. Lei mi piace, perché è brutto e sporco. Domani, o domenica, la manderò a chiamare. Arrivederci. L’ometto esitò; i suoi occhi scuri cercarono Jane Garden. - Io non torno indietro a piedi, signora. Non lascerà che un pover’uomo torni indietro a piedi, vero? - Le darò un passaggio - intervenne Alan, sempre divertito. - Se avessi saputo che era diretto qui, l’avrei senz’altro fatta montare sul mio calesse. L’ometto atteggiò la bocca a un sogghigno. - Immagino di sì - replicò. A quel punto, Alan incontrò lo sguardo della ragazza e, leggendovi un’implorazione, le si avvicinò. Con sua grande sorpresa, la trovò ansante, quasi incapace di parlare. - Voglio che mi porti via di qui - mormorò la ragazza. - Lo farà? - Ma come...? - Non m’importa come farà. So che non può portarmi con sé stanotte; ma non potrebbe mandare a prendermi domani per darmi istruzioni riguardo alla cura per la signora Stahm? Non mi permettono mai di andare a Sheffield... la prego! Mainford rifletté un attimo. Sentiva su di sé gli sguardi impazienti di madame Stahm e di Baumgarten: sembrava quasi che i due si aspettassero che la ragazza lo avrebbe avvicinato. - Domani manderò il calesse a prenderla, infermiera Garden - disse ad alta voce. - Non ci vorrà molto a eseguire l’analisi, e penso che dovrebbe... - Manderà il calesse? - ripeté madame in tono brusco. - Perché? Alan la guardò dritto negli occhi. - Perché l’infermiera Garden non sta bene, e vorrei farle un’analisi del sangue - rispose. - Può farlo qui - si affrettò a suggerire Baumgarten. - Lo farò dove riterrò opportuno farlo! Era stato il medico dell’esercito a parlare, esprimendosi in tono autoritario. Vi fu un breve silenzio imbarazzato. - Temo di non poter fare a meno dell’infermiera - replicò madame Stahm in tono aspro. Ma, subito, trasalì sotto lo sguardo freddo di Alan. Il dottore aveva quell’effetto su alcune persone; quella donna poteva non essere vigliacca, ma era incapace di opporsi all’autorità. - C’è qualche motivo che impedisca all’infermiera Garden di recarsi a Sheffield? - Nessuno - rispose madame in tono iroso. - Ma ritengo che un’ammalata abbia il diritto di essere interpellata prima che la sua infermiera venga allontanata dal suo capezzale. Alan sorrise. - Adesso è stata interpellata, madame Stahm. Domani pomeriggio alle tre, manderò il mio calesse a prendere la signorina. Verrà a chiamarla il mio stalliere, oppure il sergente Eltham, un mio ottimo amico, che è anche un provetto cocchiere. Era una minaccia; e il significato dell’alternativa proposta da Alan fu chiaro a tutti. Il dottore udì un borbottio sommesso, simile al ringhiare di un cane, dietro alle sue spalle e, con la coda dell’occhio, vide un’espressione di rabbia dipingersi sul viso dell’ometto. - Benissimo - assentì frettolosamente madame Stahm. - Non vi sono motivi per cui l’infermiera non debba allontanarsi, anche se la cosa mi creerà dei fastidi. Il signor Baumgarten le pagherà il suo onorario, dottore. Non avrò più bisogno di lei. Alan accennò un inchino. - Sta a lei decidere, madame Stahm. Ma, nel caso dovesse ripresentarsi un attacco come quello di oggi, le consiglio di non lasciare che suoi pregiudizi nei miei confronti abbiano la meglio, impedendole di chiamarmi. Il suo cuore è piuttosto malridotto; ma penso che lei ne sia già al corrente... La donna gli lanciò un’occhiata malevola. - Lei mente! - Parlava con difficoltà. - Io godo di ottima salute... di ottima salute! Lei non deve dire che sono ammalata solo perché ho le visioni... L’ha detto per farmi arrabbiare? Confessi che l’ha detto per farmi arrabbiare, dottore, e io la perdonerò. - Il suo cuore è malconcio - ripeté Alan in tono pacato. - Nei battiti del suo polso c’è qualcosa che non va e, inoltre, lei presenta dei sintomi facciali piuttosto preoccupanti. Le ripeto di non permettere all’antipatia che nutre nei miei confronti di impedirle di chiamarmi, nel caso non riuscisse a contattare un altro dottore. Detto questo, rivolse un cenno del capo alla ragazza, abbozzò un altro lieve inchino verso madame Stahm e si avviò in direzione della porta, seguito da Baumgarten. Giunto sulla soglia, si voltò a guardare Jane. La ragazza era già scomparsa, ma l’ometto sgradevole si era avvicinato a madame Stahm e le stava sussurrando qualcosa in modo concitato. La donna annuì, poi annuì di nuovo, scosse il capo e sorrise. - Non abbia paura, mio piccolo amico - lo rassicurò. - Avrà tutto ciò che desidera. Mentre l’uomo si dirigeva verso di loro, Baumgarten aprì con una certa ostentazione un borsellino che aveva tirato fuori dalla tasca dei pantaloni, e depose una sovrana d’oro e uno scellino nel palmo di Alan. - Ritengo sia una ricompensa generosa - osservò in tono vagamente pomposo. Poi la sua voce subì una modifica. - Pensa davvero che sia ammalata? Si tratta del cuore? - Si picchiettò il petto con fare preoccupato. - Credo di sì - rispose Alan. Dal momento che non aveva alcuna voglia di discutere dei sintomi della sua paziente con il misterioso signor Baumgarten, si affrettò a scendere le scale che conducevano nell’anti-camera in penombra. - Una domanda, dottore... Lei conosce un ottuso, stupido uomo, uno svizzero che possiede una fabbrica, la Silver Steel Company? - No - replicò recisamente Alan. Il cavallo e il calesse erano davanti alla porta, e il dottore montò al suo posto. Aveva appena preso in mano le redini, quando udì un suono che gli fece gelare il sangue nelle vene: un lungo grido attutito che si affievolì in un gemito angosciato. Proveniva dalla casa. - Cos’è stato? - si affrettò a chiedere. - Il fischio del treno, amico mio - replicò Baumgarten, la cui sagoma, nell’oscurità, era a malapena distinguibile. - Lei è nervoso! - Quello non era certo il fischio di un treno - ribatté Alan, tendendo l’orecchio. L’urlo, tuttavia, non si ripeté. Si era completamente dimenticato dell’ometto, che, in quel momento, cominciò ad arrampicarsi sul calesse, accomodandosi poi sul sedile più comodo. - Mi dà un angolo di quella coperta? - borbottò. - Non ha nessuna comprensione per un povero vecchio?... Dovrebbe vergognarsi! Alan si alzò e, dopo aver srotolato la coperta che si era avvolto attorno alle gambe, ne passò un lembo al suo sgradito passeggero. Fatto questo, incitò il cavallo, che si avviò lungo il viale. Il comportamento tenuto nella casa della sua paziente lo irritava e lo divertiva allo stesso tempo. Perché mai aveva adottato quella linea di condotta con madame Stahm? Aveva deliberatamente cercato di spaventarla e, così facendo, se l'era di certo inimicata per sempre - anche se la cosa non aveva alcuna importanza. Anche il fatto di aver recitato il ruolo di difensore dell’infermiera afflitta lo divertiva; eppure, dietro il terrore di quella ragazza c’era qualcosa. E c’era qualcosa di particolarmente sinistro nell’atmosfera di quella casa. Egli non aveva esitato un istante; la sua unica incertezza aveva riguardato l’opportunità o meno di lasciarla lì per un’altra notte. Durante tutto il tempo passato in quella singolare abitazione, aveva percepito la presenza di uomini che non riusciva a vedere, e aveva sentito su di sé lo sguardo penetrante di occhi strani e ostili... Quell’urlo... perché di un urlo si trattava: non avrebbe potuto essere nient’altro. Era stata madame Stahm, in preda a un’altra crisi isterica? L’ometto al suo fianco si mosse, irrequieto, borbottando qualcosa. - Si è presa tutta la coperta! - La strattonò violentemente. - Vuole farmi ammalare, in modo da potermi poi curare? Se avessi bisogno di un dottore, non mi rivolgerei certo a lei! Odio la vista dei dottori. Se ne vanno in giro a dire alla gente che sta male, quando non è vero niente. - Perché è uscito a quest’ora di notte? - domandò Alan, ignorando l’insulto. - È una sua abitudine? - Si faccia gli affari suoi - ringhiò l’altro. - Io esco quando mi pare e piace, chiaro? - Considerata la sua scortesia, fermerò il calesse e la scaricherò immediatamente - replicò Alan in tono irato. - Pensavo che... - cominciò l’altro, ma il giovane dottore fermò il cavallo. - Scenda e continui pure a piedi - tagliò corto. - Vede questa? - L’ometto distese il braccio. Alla luce riflessa dalla lampada, Alan vide un revolver a canne mozze che gli penzolava dal polso, evidentemente fissato con un cinturino. - È una pistola, giovanotto. Sa cos’è una pistola... Aspetti, non mi colpisca! - Aveva visto che Alan spostava indietro la mano, e il suo tono arrogante si era improvvisamente trasformato in un piagnucolio implorante. - Non vorrà colpire un uomo anziano, vero? Stia attento, potrei facilmente buttarla fuori da questo calesse! Ma non voglio grane, né con lei, né con nessun altro. Sono vecchio, e chiedo soltanto un po’ di pace e di tranquillità. - E allora stia calmo - lo rimbrottò Alan, furente. Rimise la coperta sulle ginocchia dell’uomo e incitò il cavallo. - E tenga la bocca chiusa - aggiunse. L’ometto disobbedì immediatamente al secondo ordine. - Non mi meraviglio che lei sia sorpreso di vedermi in giro a quest’ora - spiegò. - Ma quando qualcuno mi manda a chiamare, io corro. E mi mandano a chiamare a qualsiasi ora del giorno e della notte... sono tutte donne! Mi prendono in simpatia... impazziscono per me. A Sheffield, c’era una ragazza... - E raccontò una storia che Alan trovò difficile ascoltare pazientemente. - Madame è una vera signora - continuò l’ometto. - Mi conosce meglio di quanto mi conosca io stesso. Ho sentito ciò che ha detto, signore: io trasformo in musica i suoi sentimenti! Io sono in grado di tradurre in suoni i sentimenti di chiunque! Vedo dentro di loro e metto le loro sensazioni sulle corde del mio violino. Nessun altro in Inghilterra è in grado di fare una cosa del genere; nessun altro in Inghilterra sa recitare come so recitare io. Ho calcato le scene... - Continuò su questo tono per una decina di minuti; poi si interruppe di colpo e chiese: - Che ne pensa della mia ragazza? - La sua ragazza? - Esatto - replicò l’ometto - la giovane infermiera; quella che lei opererà domani. - Io non opererò proprio nessuno domani; ma se sta parlando dell’infermiera, le spiacerebbe spiegarmi che cosa intende per "la mia ragazza"? - domandò Alan fuori di sé. L’ometto continuava a ridacchiare, battendosi le ginocchia con le mani per sottolineare la sua grande ilarità. - Sarà mia - mormorò infine. - Per il momento non lo è. Ha notato che mi guarda come se fossi un serpente? Ho visto quello sguardo negli occhi di decine di loro, e com’è andata a finire? - Non sono particolarmente interessato a saperlo - replicò Alan. Ma il suo passeggero non era tipo da farsi ignorare sdegnosamente. - C’è una vera signora che è venuta ad abitare vicino a casa mia. Suo marito è un gentiluomo, ma lei viene a vivere vicino a casa mia; e perché? Perché impazzisce per me... proprio una signora! Dovrebbe vederla, signore... giovane... - Schioccò la lingua e si profuse in una dettagliata descrizione fisica. Era difficile che Alan provasse disgusto. E non lo provò neanche in quell’occasione. Ascoltò con una sorta di stupore risentito le vanterie di quella piccola canaglia; e anche se un paio di volte ebbe la tentazione di colpirlo sul cranio con l’impugnatura della frusta, riuscì a frenare il suo istinto. - Dove lavora? - gli chiese, a un tratto, più per cambiare discorso che per ottenere l’informazione. - Lavorare? Chi... io? Io sono padrone di me stesso; io non lavoro per nessuno: sono indipendente. Posso guadagnarmi da vivere come voglio. Le mie sculture di legno sono più belle di tutte quelle che le è capitato di vedere fino a questo momento; so incorniciare i quadri, so costruire un mobile... non c’è nulla che io non sia in grado di fare. Molti dei damerini di Sheffield si reputano intelligenti, ma, rispetto a me, sono degli imbecilli. Non vorrà lasciarmi qui, vero? Alan fermò il cavallo dinanzi a casa sua. - Mi porti fino a Darnell, signore: sono solo un paio di chilometri. - Vada a piedi - replicò Alan laconicamente. - Sono vecchio - piagnucolò il suo ostinato passeggero. - Non lascerà che un povero vecchio se ne vada in giro nella neve e nella melma in una notte come questa! Non è umano! - Neanche lei lo è. Scenda! Dall’oscurità del portico antistante la casa di Alan emerse una figura tarchiata. - Salve, dottore! Proprio te stavo cercando! Era il sergente Eltham e, nell’udire la sua voce, l’ometto scivolò giù dal calesse e svanì nelle tenebre. - Mi sembra ci fosse qualcuno con te. Si è dileguato alla svelta, ma non abbastanza perché io non lo vedessi - osservò il sergente Eltham. - Con che razza di gente vai in giro, dottore? - Lo conosci? - chiese Alan, sorpreso. - Se lo conosco? - ribatté Biglia, beffardo. - Direi proprio di sì! È il più abile scassinatore di tutta l’Inghilterra settentrionale, il furfante più disgustoso della terra. - Come si chiama? - domandò Alan, aspettandosi un’altra dimostrazione del punto debole di Biglia. Per una volta, però, il sergente Eltham aveva il nome sulla punta della lingua e riuscì a pronunciarlo. - Si chiama Charles Peace - rispose.
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