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Un uomo diabolico

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Blurb

Cosa si nasconde dietro le mura impenetrabili della Silver Steel Company? Perché alcuni suoi dipendenti sono spariti misteriosamente senza lasciare traccia? Cosa cercano e perché sono disposti a tutto Madame Stahm e il suo ambiguo segretario? E qual è il ruolo di un criminale incallito come Charles Peace, che semina omicidi senza un apparente motivo? Un uomo diabolico è uno dei romanzi più spiazzanti e imprevedibili di Edgar Wallace, grande maestro del giallo e firma indimenticabile della letteratura anglosassone.

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Chapter 1
1. Nei sobborghi occidentali di Sheffield - la Sheffield del 1875 - c’era un tetro stabilimento rosso che aveva visto il fallimento di almeno tre aziende che avevano avuto lì la loro sede. Quell’anno era occupato dal personale di un certo signor Wertheimer, il quale non produceva nulla che avesse un valore commerciale, ed era, in generale, piuttosto reticente a parlare di ciò che aveva intenzione di produrre. Il nome che aveva scelto per sé e i suoi soci, conosciuti e sconosciuti, era The Silver Steel Company - la Compagnia dell’Acciaio Argentato - che, come disse in seguito Biglia, era una definizione palesemente contraddittoria. Una notte d’inverno, un giovanotto calò una scala di corda da uno dei muri di cinta, scendendo furtivamente al suolo. Si chiamava Kuhl ed era uno svizzero del Cantone di Vaud, di professione ingegnere, incline per temperamento ad ammirare le belle donne. Si avviò lungo il terreno sconnesso verso la strada, e due uomini gli si fecero incontro. Una donna, che passava di lì diretta a Sheffield, notò i tre uomini che parlavano sul ciglio della strada, accanto a una carrozza chiusa tirata da due cavalli. Gli uomini parlavano ad alta voce e gesticolavano. Volgendosi a osservarli, la donna giudicò che i tre stessero litigando e si affrettò a frustare i cavalli. Non informò la polizia perché, come ebbe a dire successivamente, non erano affari suoi e, inoltre, in quel periodo le liti erano piuttosto frequenti in quell’angolo di mondo. In seguito, informò il sergente Eltham, ma non fu in grado di specificare che conclusione avesse avuto l’animata discussione. Il sergente Eltham era un poliziotto che si scusava in continuazione di mostrarsi in pubblico senza uniforme. Quanto a ciò, nessuno ricordava di averlo mai visto in divisa, dal momento che egli era uno dei più abili agenti in borghese che mai avessero prestato servizio nella polizia di Sheffield. Era alto e ben piantato, e al suo cranio pelato faceva da contrappunto una barba cespugliosa. I malviventi, che non lo amavano e che non parlavano di lui se non in termini dispregiativi, lo chiamavano, a seconda dell’ispirazione del momento, "Biglia" o "Basettoni". Anche nelle situazioni più sconcertanti, gli capitava raramente di rimanere perplesso; ma quando la Silver Steel Company lo chiamò per la seconda volta in tre mesi per chiedergli di risolvere il mistero di un dipendente scomparso, il sergente Eltham confessò di essere in difficoltà In una fredda sera di dicembre, si presentò nell’ambulatorio di Alan Mainford per bere il solito bicchiere di rum caldo e fare le solite quattro chiacchiere sulle persone e sul mondo. Il sergente, che viveva con una sorella vedova, era scapolo, e aveva poche occasioni di svago. Il dottor Mainford si chiedeva spesso quali fossero i suoi passatempi prima dell’inizio della loro amicizia, originatasi da un violento mal di denti che Alan aveva sommariamente arginato, nelle prime ore del mattino, con l’ausilio di una pinza numero 3 e di un avambraccio muscoloso. - Quella Silver Steel Company mi lascia perplesso. Biglia parlava strascicando le parole, aveva un debole per i vocaboli lunghi, e interveniva spesso in qualità di oratore durante i ricevimenti ufficiali. Alan sorrise, iniziando a riempirsi la pipa. Era un giovanotto attraente, che sacrificava buona parte della fiducia dei suoi pazienti più anziani all’abitudine di non portare la barba, abitudine che lo faceva sembrare ancora più giovane; tanto che, spesso, la gente si riferiva a lui come al "ragazzino", affermando che non gli si sarebbe affidata neanche per farsi curare un’unghia incarnita. Non aveva ancora perso del tutto la tintarella presa in India; passava fuori casa molto più tempo di quanto facessero i suoi colleghi; possedeva due cavalli addestrati per la caccia; e, se lo avesse voluto, avrebbe potuto dedicarsi a un’attività più facile e rimunerativa, in un ambiente più piacevole, dal momento che godeva di una buona rendita e aveva delle aspettative che andavano inevitabilmente realizzate. - Che cosa, riguardo alla Silver Steel Company, ti lascia perplesso? - domandò. Biglia scosse la testa lucida come una palla da biliardo. - Innanzi tutto, l’argento è argento, e l’acciaio è acciaio - osservò. - La pretesa di combinarli è ridicola e assurda. In secondo luogo, quella gente è straniera. E gli stranieri non mi piacciono. Datemi un inglese purosangue! Alan ridacchiò. - Tu sei l’incarnazione di ciò che il signor Gladstone1 chiama "l'isolano" - replicò, e Biglia sbuffò. - Gladstone! Non parlarmi di quell’uomo! Finirà per mandare questo paese in rovina! Ora, Dizzy... - Lasciamo stare la politica. Continua a parlare dei tuoi stranieri. Biglia trangugiò un sorso di rum e fece una smorfia. - Ultimamente, Sheffield ne è assediata. C’è quella gente della Silver Steel Company e c’è madame come-si-chiama a... - Schioccò le dita, sforzandosi di ricordare il nome del luogo. Biglia non riusciva mai a ricordare i nomi: era quello il suo vero punto debole. - Insomma, c’è lei, e poi quel gruppo di tedeschi che conducono esperimenti a... come diavolo si chiama quel posto? Ci tolgono il pane di bocca. - Probabilmente, anche noi togliamo loro il pane di bocca - ribatté allegramente Alan. - Non dimenticare, Biglia... - Chiamami Eltham o sergente - lo implorò l’altro. - Biglia è offensivo. - Beh, non dimenticare che Sheffield è il centro del mondo dell’acciaio, e che la gente arriva qui da tutta Europa per raccogliere suggerimenti utili. Che cosa combinano quei tipi della Silver Steel Company? - Lo sa Dio - sospirò Biglia. - Trasformano l’argento in acciaio, o viceversa. Si tratta di una piccola fabbrica, e tutti i dipendenti vivono in casette all’interno dello stabilimento. Per inciso, tali abitazioni furono costruite da un tipo di Eccleshall che ricavò sessanta sterline da ognuna di loro. Tutti stranieri. Non parlano una sola parola della nostra lingua. La fabbrica è costantemente sorvegliata da uomini armati: li ho visti con i miei occhi! Li ho anche diffidati dal continuare a farlo. Alan prese un piccolo ceppo e lo appoggiò cautamente sulla legna che ardeva nel camino. - Credo che si tratti di un procedimento segreto - osservò, - Sheffield è piena di fabbriche misteriose che conducono strani esperimenti su qualche nuovo progetto. Biglia annuì. - Con l’elettricità, stando a ciò che si dice in giro. Sembra impossibile. L’elettricità ci fornisce la luce e cura i reumatismi. Alla fiera d’inverno ho avuto modo di vedere come funziona: ti fanno stringere due maniglie di ottone e ti infilano una serie di aghi nel braccio, mentre un tipo fa andare su e giù uno stantuffo. Non so come facciano; dev’esserci un trucco. Ma che cosa c’entra l’elettricità con l’acciaio? È assurdo, ridicolo e sconcertante. Ed è anche contro natura. Allo stabilimento della Silver Steel Company erano successe strane cose, spiegò. Una domenica sera, uno dei dipendenti era andato a fare una passeggiata e non era più tornato. Un mese dopo, un altro dipendente, che parlava l’inglese abbastanza bene da poter intrattenere un rapporto epistolare con una ragazza di Sheffield, aveva scalato il muro di cinta per recarsi a un appuntamento clandestino con la fanciulla. Dopodiché, nessuno era più stato in grado di dire che fine avesse fatto, tranne una donna che l’aveva visto in compagnia di due uomini. - Coi quali stava litigando, secondo questa testimone, una donna di nome... santo cielo, prima o poi, dimenticherò anche il mio, di nome! A ogni modo, è scomparso. E perché no? Secondo il signor come-si-chiama, il proprietario della fabbrica, quell’uomo viveva in Svizzera, sulle Alpi. E chi mai rimarrebbe a Sheffield, se avesse la possibilità di andarsene sulle Alpi? - Conosco Wertheimer - spiegò Alan. - Uno dei suoi uomini si è stritolato una mano, e io l’ho curato. Pensi che l’uomo scomparso possa essere stato assassinato? - Assassinato un corno! - sbuffò Biglia. - Se n’è tornato a casa: tutto qui. È fuggito. Quell’uomo corrispondeva con una ragazza, una certa signorina... oh, Dio! Ce l’ho sulla punta della lingua! E lei è andata via la stessa sera. È la solita storia: si sposano in fretta e furia, e si pentono con comodo. - Chi è il signor Dyson? - domandò Alan. Biglia aggrottò le sopracciglia. - Dyson? Non lo conosco. Chi è? - È un ingegnere, credo. L’ho incontrato alla fabbrica. Un tipo di un’altezza spropositata. È stato in America, e sembrava conoscere Wertheimer. - Dyson... lo conosco. Lo spilungone! È una persona a posto... un gentiluomo. Lavora per le ferrovie. Uno che non ha peli sulla lingua... - Biglia si versò un altro bicchiere di rum. - Troppi stranieri, e pochi buoni inglesi dello Yorkshire a Sheffield! A cosa ci servono gli stranieri? A niente! - La faccenda dell’uomo scomparso incuriosiva Alan, che continuò a fare domande all’amico. - Non so altro. Ho troppo da fare per occuparmi di questa storia. Ultimamente, la nostra città è stata vittima di una serie di furti con scasso, e io conosco piuttosto bene l’uomo che ne è responsabile. E, nel definirlo "uomo", chiedo perdono al Creatore, perché quei tipo non è un uomo: è un mostro. Non avrebbe il diritto di stare sulla faccia della terra. - Non è certo un gentiluomo! - scoppiò a ridere Alan. - Adesso ti metterò alla porta, Biglia. Non corrucciarti: è un appellativo affettuoso. Sono stanco morto; e forse, prima dell’arrivo di un paio di bambini che dovrebbero nascere stanotte, riuscirò a schiacciare un pisolino. Ma nessun caso di maternità strappò Alan dal suo letto caldo. Quella notte, l’unico a bussare alla sua porta, risvegliandolo, fu il destino. Uscì nella notte fredda per incontrare qualcosa di nuovo e straordinario che avrebbe cambiato la sua vita.

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